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web sito ImageChef Custom Images "Ormai quasi giunto al termine della mia vita di peccatore, mentre declino canuto insieme al mondo, mi accingo a lasciare su questo blog testimonianza degli eventi a cui mi accadde, mi accade e mi accadrà di assistere durante il periglioso viaggio che mi separa dalla tomba. E Dio mi conceda la grazia di essere testimone trasparente e cronista fedele di quanto ho visto. Possa la mia mano non tremare mentre mi accingo a scrivere certi eventi e ricordare l'inquietudine sottile che opprime l'animo mio mentre mi collego quotidianamente a questo blog poiché oggi ho la certezza che sto rettamente interpretando gli indubitabili presagi ai quali, da quando nacqui, stoltamente, non diedi peso ."

giovedì 20 settembre 2012

Terra.


Buddha, un giorno disse
che tutto ciò che aveva detto
non era né vero, né falso.
E questa affermazione
è l’ unica cosa esatta che io abbia mai letto.
L’ ultima delle cose giuste.
Una goccia di rugiada tra le dune di un deserto infuocato.
Questa citazione mi è venuta in mente proprio stamattina,
dopo aver scoperto
che il mio cane di appena tre anni
era morto .
Pensavo stesse dormendo.
Quando ho compreso la triste realtà  ho pianto.
Ho pianto un piccolo oceano infinito di lacrime
e  ho pensato che quel cane io l’avevo amato; come lui aveva amato me
anche  quando ero senza un soldo
e  quello che avevo in tasca
non bastava per sfamare né me, né lui.
Eravamo così magri entrambi
che quando lo abbracciavo
i nostri cuori si toccavano
e si scaldavano l’un l’altro
dal freddo del mondo.
Così l’ho seppellito sotto un albero d’ulivo,
accanto ad una fonte d’acqua che lui adorava.

Buddha, un giorno, disse
che tutto ciò che aveva detto
non era né vero, né falso.
Ma quello che accade nel mondo, a differenza delle parole,
è sempre reale.
E  il mondo è fatto di fuoco, aria ,acqua  e terra.
Ed è nella terra  che l’ho lasciato.
                                                                                                                      Alva.

La poesia perfettibile.


Potrai scrivere quanto vorrai, fino a che la mano ti farà male,
ma la poesia perfetta, così dicono,
deve ancora esser scritta.
Cercherai le parole giuste,
infilandole con eleganza
tra le tue lacrime
che bagneranno un foglio bianco,
in attesa di inchiostro
per diventare qualcosa di più
di un semplice niente, degno di esser guardato, interpretato,
osservato con attenzione
o gettato tra le fiamme di un camino
in una notte d’inverno.
Sfinirai la tua anima alla ricerca
del pensiero elevato, della giusta dose di saggezza
che ti consentirà di penetrare
nel cuore di chi la leggerà.
Ma la poesia perfetta,
 così dicono,
deve ancora esser scritta.
Ci vuole rabbia, dolore, fatica, nausea, mal di stomaco,
indifferenza
per scrivere qualcosa che si avvicini
anche in minima parte
alla verità delle cose.
Devi avere coraggio per dire ciò che altri non dicono
mentre tutti credono che tu sia solo un pazzo
che gioca a scacchi con la sorte.
A volte ,penso che abbiano ragione loro:
gli intellettuali, i grandi poeti, i famosi scrittori, i cattedratici
quando dicono
che la poesia perfetta deve ancora esser scritta,
ma sono certo che ci sarà sempre un foglio bianco
in attesa di chi oserà sfidare il loro sublime
e illuminato pensiero
e che un giorno
o una notte
prima di impazzire
la scriverà.


                                                                                         Alva.

Fine di un amore, via cavo.


Lavagna: le due del mattino.
La via principale è deserta, illuminata da luci sfocate.
C’è una cabina telefonica,con i vetri appannati.
Dentro c’è un uomo con un lungo impermeabile nero;
ha la cornetta in mano e lo sguardo fisso a terra.
Sta parlando con foga e dice che non può finire così
dopo tutti quegli anni è impossibile che termini in quel modo,
non ci vuole credere.
Ogni tanto c’è silenzio e lui scuote la testa,
muove le gambe, pesta i piedi.
Poi ricomincia e urla che ha sbagliato
si, ha sbagliato,ma ama solo lei
c’è solo lei nella sua vita e non può finire così,
dopo tutti i momenti belli trascorsi insieme.
Nel mentre passa una volante della polizia, rallenta,
i due poliziotti dentro alla macchina lo guardano e si dicono qualcosa,
poi se ne vanno sgommando.
Lui continua e dice che farà qualsiasi cosa per farsi perdonare
dice che non può fare a meno di lei, che cambierà,
che tornerà e essere come prima.

Altro silenzio.

Adesso lui la supplica:

- TI PREGO! TI PREGO! -  geme,
chiede ancora una possibilità, una “chance”.

Ancora silenzio. L’uomo ora singhiozza, piange disperato.

- TI SCONGIURO!- mormora.

D’un tratto guarda la cornetta,la riattacca al ricevitore ed esce lentamente dalla cabina
Per qualche istante rimane immobile,
con lo sguardo davanti a se come smarrito,
come annientato,come sconfitto.
Poi si volta e se ne va. La via principale è di nuovo deserta.
Due colombi gloglottano su una scalinata.
Il camion del latte ha iniziato il suo giro.
Un colpo di vento alza delle cartacce facendole roteare per aria.

Dopo, solo il silenzio.

Ci sono sempre dei buoni motivi
per cui un amore non dovrebbe finire
ma in questa mattina, tra le due e le due e trenta
per la donna che parlava con quell’uomo
evidentemente
non hanno contato nulla.                             

                                                                                         Alva.


Bambini.


Certi bambini sono infelici.
Povere bestiole!
Hanno il cervello dei genitori: quadrato, di un millimetro quadrato.
Ridono,
saltano,
urlano,
spaccano,
sputano,
danno calci e mollano pugni
ma i genitori li giustificano,
li scusano,
gli creano alibi.
Mostri che creano piccoli mostri,
idioti che generano piccoli idioti
e hanno facce che pesteresti volentieri con la suola delle scarpe.
Ma sono bambini,
merde intoccabili.
Li hanno partoriti le loro madri
che hanno sofferto
aprendo le gambe e spingendo.
Si sono replicate.
Hanno creato inutili spurghi di fogna
che occuperanno un posto utile inutilmente.
Povere coppie illuse!
Stavate tanto bene da soli!
Passavate inosservati
nelle vostre tute da jogging blu con le strisce bianche
assolutamente uguali.
Nelle vostre cene con gli amici
con le solite foto del vostro ultimo viaggio a Parigi
e gli sbadigli trattenuti per educazione.
Come sono belli i vostri bambini!
Come sono simpatiche le vostre creature!
Meritano il meglio di ogni cosa bella!
Sicuramente meritano voi.
Ma noi non ci meritiamo di avervi.
Non desideriamo vedere i vostri mocciosi
piangere e strillare
e voi che li scusate e li coccolate.
Diventeranno come quegli stronzi
che giocano a palla sulle spiagge;
o che parlano ad alta voce nel cellulare
sul treno,
in aereo,
in ascensore,
al ristorante,
in ospedale,
e in tutti quei posti
dove nessuno si sognerebbe di disturbare.
Stavate tanto bene da soli!
Nella vostra casetta di 400 metri quadri
in riva al mare
con il sole all’orizzonte
e i vostri vezzi da artisti.
Al massimo
avreste dipinto una tela
con qualche cosa di orrendo
pagando poi un critico d’arte
per dire il contrario.
E invece no: vi siete clonati!
La massima opera d’arte.
La vostra carne.
Già scaduta appena nata.

                                                                            Alva.

L'ultima mezz'ora.


Mi ricordo che

ero bambino
e correvo
correvo
non ero mai stanco
sentivo l’aria che mi accarezzava
ed ero felice
ridevo sempre.

Mia nonna urlava dal balcone
“Attento a non cadere!”.
Io la guardavo
e continuavo a correre.
Tutto era bello
ed il sole splendeva.

Mi ricordo che

quando fui più grande
incontrai brutta gente
ed il disprezzo e l’indifferenza
verso gli altri
si accamparono in me.
Litigavo con tutti
facevo a botte
dicevo parolacce

non correvo più

e la gente
iniziava ad osservarmi
ma io li odiavo
sputavo sui loro passi.

Mi ricordo che

quando crebbi ancora
ero il più grande
ed il più grosso
io lo sapevo
e mi divertivo
a spaventare tutti

avevano paura di me.

Me ne approfittai
diverse volte
facendo piangere
tanti bambini
ma la cosa
non mi toccava più di tanto.

Mi ricordo che

quando mi sposai
giurai amore e rispetto
alla donna che mi stava a fianco
ma non mantenni nulla

ed io rimasi solo.

Mi ricordo che

ebbi molte donne
ma trattai male anche loro
le feci piangere.
Mi lasciarono tutte

ed il sole
non splendeva più come prima
e l’aria
quando mi toccava
mi faceva male.

Mi ricordo che

quel giorno all’ospedale
mi dissero
che avrei avuto
ancora poco da vivere.

Io risi.

Ero ancora forte.
Una roccia d’uomo.
Certo, non potevo più correre
tanto veloce
ma ero un gigante
incutevo ancora timore.
e mentre me ne andavo
sapevo che alla Morte
non facevo paura.

Ed ora
eccomi qua
in questo letto
con la pelle
che mi fascia le ossa
senza un capello
debole ed inerme
e le persone che stanno intorno a me
hanno tutte la faccia tirata.
Nessuno è triste.
Sono qui solo per dovere.
Sanno che sono stato un figlio di puttana
e che morire
non è una punizione sufficiente.

Li capisco.

C’è anche mio figlio.
Un uomo ormai.
So cosa sta pensando.
E me lo merito.

Appeso al muro
davanti a me
c’è un orologio
che segna le 20:30
e sono conscio
che non vedrò mai le 21.00

Mi godo in silenzio
gli ultimi istanti
della mia vita.


Non ho paura.
Io so perdere.
Solo, vorrei avere un po’ più di tempo
per scusarmi con tutti.

E’ ora di andare.

Il demonio reclama la mia anima.

Ora intorno a me
tutto è sfocato

cerco di far mia
ancora un po’ d’aria.


Ho come un tremito.

ed eccolo, l’ultimo ricordo…

mi vedo bambino
e corro
corro
corro
quando ad un tratto
incontro mia mamma.

Alzo lo sguardo
e, ansimando, chiedo:

“…mamma quando morirò io?”
“…ma cosa ti viene in mente? Tra tantissimo tempo!!”  - mi risponde

“…com’è quando si muore?” -  chiedo
“…non lo so, piccolo, non lo sa nessuno!”

Poi fa un lungo sospiro.

“…ma ora è tardi, torna a casa”  - dice sorridendo.

Io la saluto con la mano
e mi vedo riprendere a correre.

“…torna a casa!” urla mia mamma.

Sempre più veloce.

E vedo il sole che splende.

Sembra messo lì apposta per me.

Ma è un sole strano

è come se si muovesse qualcosa
al suo interno

è come se…


L’orologio a muro
segna le 20:58.


Il tempo.

Ecco cosa rincorrevo.

Il tempo.

Chiudo gli occhi.

Sto morendo.

Sto tornando a casa. 

                                                                                                     Alva.  

Lettera a mio padre.


Caro papà,

sai che ti ho visto l’altro ieri?

Camminavi come se te la fossi fatta nei pantaloni.

La tua faccia
sembrava una prugna secca
&
i tuoi occhi
due palline da ping-pong usate da troppo tempo.

Di denti & capelli nemmeno l’ombra.


Sai: mi hai quasi fatto compassione

& mi sono chiesto:

ma dov’è finito
il lurido bastardo di una volta?


quello sempre sicuro di se stesso,
quello a cui le donne non dicevano mai di no,

quello che mi diceva sempre
che non contavo un cazzo

& che non sarei mai stato nessuno?


“...a due metri da me devi stare!!questa è la giusta distanza!”

Questo è quel che dicevi
ogni qualvolta
esprimevo un concetto
diverso dal tuo.


Poi
quando mi vedevi abbassare lo sguardo
dalla vergogna,

dalla tristezza,
dalla rabbia,
dall’umiliazione

& dall’odio

allora correvi ai ripari & con la tua voce da coglione mi dicevi:

“…sono cose che si dicono nel nervoso!”

anche se sapevo
che eri sempre lo stesso vecchio stronzo
che galleggiava intorno a me.


Debbo dire
che non mi è dispiaciuto
quando ho saputo che stavi morendo di cancro

dopotutto
chi la fa, l’aspetti.

E sai una cosa?
Non mi mancherai!


D’altronde
tra non molto
tutti & due saremo felici

di essere due metri
uno distante dall’altro

con la sola differenza
che tu sarai sottoterra

chiuso in una bara

a marcire.


Da parte mia
è ora che ti dica questo:

fottiti e vai all’inferno
maledetto figlio di puttana.                


                                                                                                  Alva. 

martedì 18 settembre 2012

Sequenze underground di una bollente giornata a Cornigliano.


Mi alzai
in quella mattina
calda e umida

nella stanza
aleggiava ancora
l’odore della cena

mi sforzai di guardare
attraverso le tapparelle

il sole
più dinamico che mai

spandeva ovunque
i suoi raggi bollenti

qualche zanzara rintronata
svolacchiava senza meta apparente

arrotolai un giornale
e con un paio di colpi

la proiettai
in un’altra dimensione

poi mi diressi
come un non morto
verso il bagno

mi sedetti sulla tazza
e cagai
e pisciai
quasi all’unisono ( un gran bel colpo!)

finito tirai l’acqua
cinque volte

poichè la cacca
che tanto era stata in me
non ne voleva sapere di abbandonarmi

si era aggrappata sul fondo

con lo scopino la grattai via
vigorosamente

e vederla scivolare nel nulla
un po’ mi dispiacque

ma poi pensai

che al termine del viaggio
avrebbe trovato un sacco di compagnia

mi distolsi da quei pensieri
e mi guardai allo specchio...

chi era quello?

non lo conoscevo!!

mi somigliava un po’

ma niente più

aprii la bocca
tirai fuori la lingua

dio che orrore!!

perfino i cannibali
non l’avrebbero mangiata,oggi!

la feci rientrare

mi lavai i denti
e mi sciacquai la faccia

mi asciugai con una tenda
perché l’asciugamano era sporco di cacca
(mi ci ero pulito il posteriore)

uscii dal bagno
e guardai il letto

pareva avvitato su se stesso

diedi un’occhiata
alla foto di mia madre

era lì appesa
e sembrava dicesse:
“Ma guarda come ti sei conciato...VERGOGNA!”

abbassai lo sguardo
mi infilai i vestiti
prendendoli un po’ ovunque...

in effetti ero un attimino trasandato

la pancia mi precedeva di una lunghezza
tranne quando ero a letto

allora mi sovrastava come una collinetta tondeggiante

ma...mi piaceva!
mi teneva compagnia

se mi dimenticavo l’orologio
all’ora di pranzo
lei faceva: “Gruumble...gruumble!”

in fondo era utile

uscii

chiamai l’ascensore

quand’ecco che si aprì la porta
dell’appartamento accanto al mio

e fece capolino la deliziosa vecchietta
che da molti anni era mia vicina


“...ma quando la finirai di chiamare l’ascensore per fare 18 gradini? - esordì urlando -Ti farebbe anche bene muoverti un po', razza di ciccione sfatto!!”


la gentile signora
pareva fosse sempre esistita

quando ero ragazzo era così

e ora
dopo 40 anni

era ancora con le stesse orribili fattezze di allora


lunghi capelli canuti abbandonati al caso
naso bitorzoluto con goccia perenne
e una gobba da farla sembrare un cammello (o un dromedario? boh...)

la fissai per qualche interminabile secondo
per capire cosa stesse dicendo

ma non feci in tempo a replicare
che lei aggiunse:
“...cosa guardi, idiota, guardati tu piuttosto che sembri la morte in vacanza!!”

aveva una fottuta ragione

“ La ringrazio, gentile signora, per la istruttiva conversazione!!” riuscii a rispondere

“VAI A FARTI INCORNARE DA UN TORO!!” urlò nuovamente

l’ascensore stava scendendo
e lei era aggrappata alla ringhiera che ringhiava
dietro al mio dito medio che svettava come un monolito nello spazio


arrivato al piano terra mi sistemai i pantaloni
ripulii le punte delle scarpe con gli stessi

ed imboccai il portone di uscita appena in tempo
per assistere ad un tamponamento tra due macchine


...i guidatori schizzarono fuori
ed iniziarono un elegante battibecco


“...ehi. imbecille, cosa stavi guardando invece di guidare?”
                                                                                         disse il tamponato

“...stavo guardando dov’era il numero di casa tua perché tua moglie mi ha appena telefonato dicendo di far presto dato che tu eri appena uscito!”
                                                                                         rispose l’altro

“...ho capito...vuoi che ti ficchi la testa in un tombino?”

“...cavoli, ma se vuoi vedere una fogna non è più semplice metterti davanti allo specchio?”

“...amico...sei in cerca di rogne, vero? allora vuol dire che le hai trovate!”

“...no...trovo strano che tu sia qui. Quelli come te non dovrebbero viaggiare nelle fogne?”



Era quasi divertente starli ad ascoltare
ma me ne andai e li lasciai a loro



“...devi solo ciucciarmi un calzino, amico!”

“...quale? il destro o il sinistro!”

“...tra un po' ,si che vedrai un destro e un sinistro!”

“... santo cielo, non mi preoccupo di ciò che ti sta ai lati ma della schifezza che sta al centro!”



sentii ancora in lontananza

era iniziata un’altra gran bella giornata
e ce ne sarebbero state ancora

il traffico impazziva
in un mondo pieno di pazzi

il sole vomitava calore
sul genere umano

facendo sudare tutti di brutto
ed anche me

i gatti dormivano all’ombra
mentre un cane attraversava la strada
con la lingua a penzoloni

guardai prima a sinistra e poi a destra
e la attraversai anch’io.                                


                                                                                         Alva.




Il gabbiano di Dover.


Probabilmente
non esistono al mondo
volatili più belli ed eleganti

dei gabbiani del Kent.

Hanno penne candide
macchiate di grigio sulle ali
e sono giganteschi!

Ti chiedi :  “Come potranno alzarsi in volo?!”.

Ed invece lo fanno.

Con una grazia incredibile.

Sono anche furbi
e
spaventosamente affamati.

Ma la loro non è una fame
come quella che colpisce quotidianamente
chiunque di noi. No!

La loro è una fame atavica.

Una voracità che non ha pari
tra i loro simili.

Mangerebbero qualunque cosa

ma

essendo inglesi

esercitano self-control.

Mi affascinarono subito
sin dalla prima volta che li vidi.

Volete sapere come ci incontrammo?

Ecco qua…


…attraversai la Manica per la prima volta
durante una giornata brutta e piovosa

il mare era gonfio
ed il traghetto ondeggiava.

Ad una signora scappò di mano
una bimba molto piccola
che rotolò per mezza nave.

La madre le correva dietro gridando:
“Oh…miodiomiodiomiodiomiodio…!”

Non sapevo se ridere o aiutarla.

Decisi di ridere
anche perché
sarebbe bastato attendere
la fase ascendente del rollio

per riavere la bimba
di nuovo al suo posto.

Iniziai a stare male
verso la fine della traversata
quindi decisi di mangiare qualcosa.

Acquistai – a carissimo prezzo – un panino.

Avevo sentito dire
che se lo stomaco lavorava
sarebbe passato il malessere.

Mancavano circa venti minuti
all’arrivo a Dover.

Mi sedetti
ed iniziai a sgranocchiare
il mio panino.

Alla mia sinistra
c’era un oblò rifinito in ottone:

da lì vedevo il mare infuriato.

Ad un certo punto
mi sentii osservato.

Mi girai verso la gente
di fianco a me.

Nulla!

Io ero per loro
come la sedicesima luna di Plutone: inesistente!

Continuai a masticare.

La sensazione
diventò tangibile.

Questa volta
mi voltai a sinistra
e guardai attraverso l’oblò:

un enorme gabbiano
si faceva trasportare
dal vento

e con il suo testone
mi guardava.

Il vento
lo sbatacchiava ovunque
ma lui resisteva!

Era incredibile!

Rimasi ad osservarlo:
aveva una pancia gigantesca
all’incirca come la mia

solo che lui volava
mentre io riuscivo a malapena
a fare le scale.

Ci guardammo ancora
poi lui cabrò e sparì.

Stavamo attraccando
per cui scesi
al ponte inferiore
e salii sul mio mezzo.

Il portellone di prua si aprì
e mi avviai lentamente.

Sbrigate le formalità doganali
mi posteggiai
e, mentre trafficavo con dei documenti,

sentii la cabina
inclinarsi leggermente a sinistra.

D’istinto guardai lo specchio laterale
e proprio sopra di esso c’era lui:

il gabbiano dell’oblò.

Lo riconobbi dalla pancia.

Si era ricordato di me
anzi
del mio panino.

Era lì
maestoso
con la sua livrea in bianco e nero
ed il becco un po’ curvo.

Decisi di chiamarlo Gibbo.

Abbassai il vetro
e tentai di accarezzarlo
ma lui faceva il gesto di beccarmi.

Poi iniziò ad urlare
“YAAHKK! YAAHKK! YAAHKK!”

Muoveva il collo avanti ed indietro
alzava le zampe
ed apriva il becco.

Avevo capito:

era affamato!

Io avevo solo
scatolette di tonno e carne.

Ne aprii una al tonno
e provai a dargliela:

sbranò il contenuto
in un colpo!

Ne aprii un’altra:

idem!

Aprii la scatoletta di carne:

uguale!

Era famelico.
Ogni tanto faceva
“YAAHKK! YAAHKK!”

Era felice.
Aveva trovato un grullo!

Gli diedi ancora
un pezzo di parmigiano
mezza mela e cinque caramelle.

Era tardi
ed io dovevo andare.

Spiegai a Gibbo la situazione.

Lui rispose “YAAHKK!”.

Allora iniziai a muovermi
piano piano.

Niente!
Era sempre aggrappato alla staffa.

E mi guardava.

Ingranai la marcia e partii.

La scena era ridicola:

chi ci vedeva poteva pensare
che a quel povero gabbiano
gli avevo imprigionato le zampe

per tenerlo come soprammobile
là fuori!

Iniziai a preoccuparmi.

Guidavo e lo guardavo

Sembrava inebetito.

Forse era in piena digestione.

Ma quando raggiunsi
la cima della costa
si staccò.

Fece un largo giro
sopra di me

e poi
picchiò verso il mare.

Sembrava uno Stukas
in fase di bombardamento!

Salutai Gibbo

mentre dietro a me
scomparivano
le bianche scogliere di Dover

stupidi

inanimati

pezzi di roccia.


Alva.

Sfogo legittimo di un barista di Campi.


Alva , ancora avvoltolato nelle coperte del suo letto decise che per iniziare la giornata, una buona colazione ci poteva stare alla grande così telefonò al bar di Renzo, .

“Ciao Rè’…come stai?”
“OHILA’ CARISSIMO - scandì ad alta voce il veterano della tifoseria sampdoriana -
COME VA’?”
“Noncemale - risposi cercando di ricordare il sogno appena consumato - non è che mi puoi portare il solito caffè? Sai, non sto’ tanto bene e non posso muovermi per…”
“ MA SCHERZI? PER TE QUESTO E ALTRO!!” - disse con il solito timbro, quindi riattaccò.
Ero discretamente famoso in quella zona.
Tutti meriti guadagnati sul campo.
D’altronde ero stato io a risolvere l’intricato caso dei furti di elemosine nella chiesetta adiacente a via Bianchi.

In poche parole i furti avvenivano sempre nelle domeniche dispari e i sospettati potevano essere tutti o nessuno.
Ricordo di aver passato intere giornate a fare la posta ai vecchietti della zona, quelli con una pensione da fame, ma le mie indagini non sfociavano in nessuna direzione.
Proprio quando stavo per rassegnarmi, una notte verso le 23.30, vidi un’ombra furtiva che attraversava il cortile della chiesa. Mi ci buttai dietro a rotta di collo e, con un gesto da poliziotto americano, placcai il proprietario di quell’ombra.

“ OH, SANT’IDDIO! FIGLIOLO NON HO NULLA!” - gemette il don, temendo di essere derubato dall’ennesimo tossico e mollando, en passant e all’unisono, una scoreggia così fetente da provocarmi i conati di vomito.
“ LEI? E cosa ci fà a quest’ora in questo luogo buio e malfamato?” - mormorai, cercando aria pura indietreggiando di un passo.
“ Io abito qui! Ricordi?”.
“ Mi scusi don… ero convinto di essere riuscito finalmente ad acchiappare il ladro
 dei giorni dispari!” - mi giustificai, felice nell’osservare che una leggera brezza si era levata da mare. Inspirai ed espirai rumorosamente in una sorta di disinfezione interna.
“ E poi oggi è il 24 Aprile! PARI!” - sillabò il don, come a voler rimarcare la mia stupidità infinita.
“ Si, si,lo so…è che………….MA CERTO!!! - urlai d’un tratto - SO’ CHI E’ IL LADRO!”.
“ Chi?” - domandò il sacerdote.
“ Ma chi se non Lei? “ - risposi con una voce alla Perry Mason.
“ IO?! Ma come ti permetti lurido imbecille, rintronato nel cervello!” - svalvolò il prevosto, avvicinandosi a me con in mano un crocefisso stilizzato modello IKEA e assumendo il tono e la postura richiesta per un perfetto esorcismo.
“ L’ho capito quando mi ha detto che oggi era il 24 aprile, perché oggi NON E’ il 24 aprile! - spiegai con sussiego - oggi è il 23 aprile e per uno strano caso il furto alla elemosina non si è verificato e sa perché?”.
“ No - rispose il prete con la bava alla bocca e in evidente stato di alterazione psichica - ma hai l’aria di uno che sta per dirmelo!”.
“ Ho truccato il calendario a strappo appeso in canonica!” - dissi cinicamente.
“AHR,AHR,AHR,AHR - rise il prelato vomitando liquidi verdi insieme a ciocche di capelli di ragazze vergini - E QUESTA E’ UNA PROVA? TUTTI QUELLI CHE VENGONO IN CHIESA POSSONO ESSERE CADUTI NELL’ERRORE ED AVERE SBAGLIATO GIORNO!”
“ Certo, tutti possono essersi sbagliati MA NON gli abitanti di questa zona!” - sentenziai.
“ E PERCHE, COS’HANNO GLI ABITANTI DI QUESTA ZONA DI DIVERSO DAGLI ALTRI?” - ululò l’uomo di dio appollaiato su una cancellata.
“ Sono analfabeti, quindi non possono aver letto la data!”
“ MA CHE CAZZO DICI? - sbraitò come un indemoniato - SONO DEI NUMERI E NON PAROLE!”

Entrai in canonica, presi il calendario e lo girai verso il prete.
C’era scritto: ventiquattro aprile duemilaequattro.

Si avventò su di me e iniziò a rantolare mollando crocifissate a destra e manca. Cercai di stare a sinistra per evitare i colpi. Nella colluttazione, dalle sue tasche, caddero centinaia di monetine da 1 centesimo. Era il corpo del reato. Subito dopo pensai: elemosine da 1 centesimi: analfabeti e barboni.
Cercai di colpirlo con il mio jab destro, rinvigorito da 2 mesi di palestra alla Virgin Active. Ci riuscii. Ma mi resi subito conto che 2 mesi erano stati insufficienti.
Allora mi sfilai dalla tasca il contratto della Virgin con tutti i depliant e la videocassetta intitolata “MENS MALATA IN CORPORE SANO” e gliela scagliai.
Il prete cadde a terra e iniziò a dissolversi. Ripresi il tutto con la videocamera e spedii il nastro alla curia.
La chiesa fu rasa al suolo e ci fu una libera asta per l’appezzamento di terreno. Se lo contesero Castorama e la Q.K.C TRANSPORT  di Genova. Vinse Castorama poiché nessun dirigente della Q.K.C. si presentò il giorno stabilito con la proposta di offerta, a causa di una riunione per decidere l’offerta da proporre, indetta alla 10 del mattino. Con un’ora di anticipo rispetto all’asta, ma col fuso orario di Tunisi! Cose che capitano ai manager in pieno jet - lag.

Questo, in estrema sintesi, è il sunto del caso che mi fece conoscere in questa zona.
Ritorniamo a noi.
Il suono cacofonico della porta annuncia il mio caffè.

“ LA PORTA E’ APERTA!” - urlo.

E’ Renzo.                                                                                                                                                                                                                                      
“Uu-uun caa-affe-tt-ino beee-lllo beee-llli-nno per TEEEEEEE!” - entra cantando con la voce roca, provata dal tifo allo stadio.
“ Uèila, servizio a domicilio con musichetta da abbelinato!”  - replico da vero bastardo.
“ Che cosa stai facendo di beeeeee-lll-oooo?”
Renzo è un uomo simpaticissimo. Sui sessanta ( tra le 9 e le 11 ne dimostra non più di 50, a causa dell’improvviso sbalzo termico che caratterizza la zona di Campi ), alto all’incirca sul metro e 65 ma basso quanto basta per passare sotto le sbarre di un passaggio a livello in semichiusura ( manovra che effettua spesso e volentieri per accelerare il tempo di rientro nella sua casa di Nervi [ci tiene a dire che abita nelle zone “bene”] ) . Ha un sorriso bellissimo che ,ad occhio e croce, deve essere costato non meno di 5000 euri. I capelli, quelli che hanno resistito ad un attacco di “ ALOPECIA VIRULENTIA “, sono di un grigio tendente al bianco ( ma dalle 17 alle 19 il colore vira incredibilmente sul castano scuro, a causa degli spostamenti cromatici in atto a Campi per via delle continue asfaltature indette dal Comune di Genova nel periodo elettorale).

“ Grazie Renzo, metti la tazzina sul tavolo e siediti!”
Renzo, con estrema leggiadria, appoggia il tutto e si sgnacca sul divano zen, preso all’IKEA .
“Mi sembri stanco Rè’,hai fatto le ore piccole?”  - chiedo, mentre verso un cucchiaio di zucchero di cannabis nel caffè.
Lui mi guarda con uno sguardo simile a quello di un bastardino che è appena stato abbandonato sulla sopraelevata in una afosa domenica di Luglio.
“ Ma no, no, è che…ho un dubbio!” - risponde con gli occhi persi nel vuoto.
Mi avvicino a Lui  e lo afferro ad un braccio.
“ Dimmi Rè’…lo sai che di me ti puoi fidare!” - sussurro con la voce tipica del vigile che ti ha appena beccato a sorpassare in via Gramsci a 180 all’ora.
Segue un attimo di silenzio all’interno del quale si sistema, in maniera prepotente, lo sciacquone del vicino accanto.        
“ Beh, per farla breve, non reggo più coloro che entrano nel mio bar; sono stanco di sentire: -  ‘e mi dia un caffè ristretto, uno ristretto ma non tanto caldo , uno caldo ma lungo, un cappuccino con tanta schiuma, con poca schiuma e il cacao sopra, un marocchino in tazza larga, con poco latte e tanto cacao, una birra fredda ma non troppo, un ACE versato piano così i preziosi ingredienti di cui è pregno non subiscono alterazioni bio magnetiche, e per favore ce l’ha una spuma al gusto di noce dell’India meridionale?, avrebbe mica da cambiarmi 1800 monetine da 5 centesimi? sò che a voi in un bar servono più che a me…’ - MA PORCATROIA CHE CAZZO ME NE FACCIO DI 1800 MERDOSE MONETE CHE CI VUOLE UN CAMION PER TRASPORTARLE? EH? ME LO SPIEGHI?”

Era uno sfogo in piena regola. Stetti ad ascoltarlo in semisilenzio poiché le mie dita tamburellavano nervosamente sul tavolo pieghevole in similcompensato, acquistato in scatola di montaggio all’IKEA e montato in due giorni e mezzo a causa della mancanza di una chiave DETERMINANTE PER IL CORRETTO ASSEMBLAGGIO e costruita in 3 miliardi di esemplari, tutti nel villaggio di OKRIBUIJJJGIRST  che si trova a 800 km a nord di Caponord il che vale a dire a non meno di 200 dal Polo Nord magnetico terrestre.
Povero Renzo. Non si era ancora rassegnato al fatto che la sua mente non sarebbe stata più come prima, dopo la sprangata presa al termine della partita Sampdoria - Roma disputatasi a Marassi prima del G8 e seconda, in termini di violenza gratuita esercitata in 90 minuti, solo agli episodi di lancio del porfido stradale da parte dei BLACH - BLOCK in Cso. Italia.

“ Scusa Alva, scusa…è che debbo essere esaurito! Ho bisogno di ferie anticipate. “ - pigola Renzo, -  mentre il suo viso assume un aspetto contorto, rugoso, come una prugna California appena estratta dalla confezione.
“ No problem! - replico con una certa sicurezza, acquisita dopo un tot di inculate dalla vita - ti capisco, è tutto un casino mentale. A volte devi sforzarti per non svalvolare, mi segui Renzo? E’ come se ogni cosa intorno a noi ci volesse male, ci perseguitasse. Accumuliamo così tanta energia negativa, durante le nostre giornate, che poi da qualche parte, voglio dire, se ne deve scappare, capisci Re’?”.

Dopo aver detto questa saggezza, mi alzo perché ho un prurito al culo così devastante
che mi paralizza ogni pensiero. Mi rendo conto che grattarmi il tafanario in presenza di ospiti non è cosa, ma devo farlo.
Renzo non si è accorto di nulla. E’ancora immerso nel suo personale purgatorio mentale che sta valutando l’ipotesi di cambiare vita, di trasferirsi dall’altro capo del mondo, di far su baracca e burattini e mandare al diavolo Campi, Genova e la Liguria.
Lo vedo che ad un certo punto ha come un tremito: scuote la testa e si stravacca sulla sedia che cigola impetuosamente. Il suo flusso di pensiero è  arrivato al punto X, il punto in cui fai due più due e ti rendi conto che ci vogliono troppi soldi per farlo, ci vuole troppo tempo per spiegare a chi ti sta intorno che non ti sei rincoglionito ma soprattutto che sei troppo vecchio per ricominciare da capo.
Eccolo lì: una bella sbuffata, un sorriso da 5000 euri ed è di nuovo in piedi.

“ OHILAAA-LAAA-LLA, OHIII-LAAA-LLIII CACCIA 80 CENTS E ME NE VO’
FUORI DA QUUUU-IIII!!”

Sgancio la pecunia e lo vedo allontanarsi in una specie di danza maori, sculettando come una vecchia baldracca da porto. Il caro vecchio Renzo: più giovane lui di qualunque altro pivello nel raggio di 8 miglia marine.

 Alva.