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web sito ImageChef Custom Images "Ormai quasi giunto al termine della mia vita di peccatore, mentre declino canuto insieme al mondo, mi accingo a lasciare su questo blog testimonianza degli eventi a cui mi accadde, mi accade e mi accadrà di assistere durante il periglioso viaggio che mi separa dalla tomba. E Dio mi conceda la grazia di essere testimone trasparente e cronista fedele di quanto ho visto. Possa la mia mano non tremare mentre mi accingo a scrivere certi eventi e ricordare l'inquietudine sottile che opprime l'animo mio mentre mi collego quotidianamente a questo blog poiché oggi ho la certezza che sto rettamente interpretando gli indubitabili presagi ai quali, da quando nacqui, stoltamente, non diedi peso ."

mercoledì 31 ottobre 2012

Lei non mi ha riconosciuto.



Il mio nome è Francesco anche se mi hanno sempre chiamato “ Ceccù”.  Sono nato a Genova nel ’49, in Corso Perrone. Ho lavorato 35 anni in Italsider  all’altoforno fino al 2002, proprio quando le cokerie chiusero per il loro impatto sulla salute . Ricordo ancora con terrore l’esplosione, nel 1991, del crogiolo Afo2 e la perdita di ghisa liquida a 1550° nel 2004 che sconvolse l’intero quartiere.  In quei tempi chi stava in quel reparto doveva per forza essere robusto e senza tante storie per la testa. Penso ancora ai i volti dei colleghi che erano alla linea di decapaggio di acido cloridrico e solforico: avevano 30 anni ma ne dimostravano 50 e i loro  volti erano scavati intorno ad occhi come palline da golf usate da troppo tempo. Ho sempre nelle orecchie il frastuono dei treni per la laminazione a freddo vicino alle linee di stagnatura e cromatura elettrolitica. Era una bolgia infernale di fumi e fuoco e odori nauseabondi e noi stavamo lì come dannati senza aver commesso peccati particolari se non quello di avere una famiglia a cui dare da mangiare. Quando tornavo a casa mia moglie, talvolta, mi vedeva così stanco che non diceva nemmeno di togliermi i vestiti sporchi, permettendomi di sedere direttamente alla tavola per il pranzo o la cena. Mi lavavo solo le mani: quelle si. A volte, fissando il buco del lavandino che inghiottiva l’acqua sudicia , mi chiedevo se insieme a quella nera miscela ,sarebbero scivolate via anche le ultime forze rimaste per aprire la bocca e masticare. Ho anche un sacco di amici. Alcuni di loro, purtroppo, sono morti così ogni tanto vado a portare loro un fiore, su al cimitero di Coronata.  E lì ritrovo il Parodi morto di tumore al polmone, addetto alla cokeria; il Canepa, morto di leucemia, anche lui alla cokeria; Sciaccaluga Vittorio, “il gigante buono”, che invece di schiacciare l’uva, come l’origine del suo nome farebbe pensare, ha “pestato” per 30 anni i laminati con la pressa che ora sta arrugginendo davanti al Leroy Merlin.
Ma la cosa strana di cui volevo parlarvi è quello che è accaduto proprio oggi, 1° novembre,  mentre facevo il mio solito giro a salutare vecchi colleghi. Dopo aver lasciato un crisantemo sulla tomba del caro Ferrando, anche lui scomparso per un brutto male, ho visto un mio vecchio amore di tanti anni fa. Ma proprio tanti! Ci siamo incrociati lungo il vialetto che porta all’ossario comune.  Mi ha guardato ma non mi ha riconosciuto. E quasi immediatamente la memoria ha scaraventato nel mio naso un profumo di uva, pitosforo, glicine ed erba appena tagliata. Mentre le passavo vicino, senza guardarla, sfiorando appena con un braccio il cappotto del marito, la mia mente ha attivato le immagini sbiadite di una merenda dietro un casolare su alla Guardia e un bacio appassionato davanti ad un tramonto, che in quei periodi era ancora uno dei più bei film che si potessero vedere. Quella passione era durata qualche mese, anche se ci eravamo promessi che non sarebbe finita mai.
L’ho guardata e ho capito che a ricordarmi di quell’amore ero rimasto solo io e mentre stavo uscendo dal cimitero, qualcosa mi ha detto che è andata bene così. Scendendo la lunga discesa verso il centro ho pensato che tra i due chi mi ha fatto rabbia è il marito: tutto ben coperto, con cappotto, sciarpa, cappello e ombrello sul braccio. Aveva l’aspetto sano di un ricco imprenditore in pensione. Uno di quelli che l’aria di Cornigliano, in quegli anni, l’aveva sempre respirata attraverso il filtro di un condizionatore: sia d’estate che d’inverno.
Ma forse quello non era il posto giusto per simili cattivi pensieri e nemmeno il giorno.

                                                                                          Alva.