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web sito ImageChef Custom Images "Ormai quasi giunto al termine della mia vita di peccatore, mentre declino canuto insieme al mondo, mi accingo a lasciare su questo blog testimonianza degli eventi a cui mi accadde, mi accade e mi accadrà di assistere durante il periglioso viaggio che mi separa dalla tomba. E Dio mi conceda la grazia di essere testimone trasparente e cronista fedele di quanto ho visto. Possa la mia mano non tremare mentre mi accingo a scrivere certi eventi e ricordare l'inquietudine sottile che opprime l'animo mio mentre mi collego quotidianamente a questo blog poiché oggi ho la certezza che sto rettamente interpretando gli indubitabili presagi ai quali, da quando nacqui, stoltamente, non diedi peso ."

domenica 2 settembre 2012


E beccati questa! Asilo Moiso,1969. Foto di Cazzulini Cine Foto Color. 

E di questa che ne dici? Fu scattata ( poi darò un'occhiata al concetto del trapassato remoto passivo...per ora me ne astengo) una mezz'ora dopo da quella della piscina. Siamo sulla cima di Lussito, in un luogo che usavo a mo' di scannatoio. Si vede il ponte della ferrovia con la circonvallazione e una Bormida mesta e gelida. 

Amarcord: la famiglia.


Ora, caro Ale, ti apro lo scrigno segreto della famiglia. Questa è la foto del mio primo compleanno. Mio padre, con il suo sorriso da coglione; mia madre, in quel periodo, vagamente somigliante a Mina, che appoggia delicatamente la sua mano sinistra sulla mia spalla, pare cercare un consenso da chi fa la foto ( nessuno sa chi la stesse facendo...probabilmente l'amante di mio padre): mia nonna è sorridente. Ora, isola con le dita i capelli e le guance di mia nonna e pasciti di risate nell'incredibile ed orripilante sguardo di Ratzinger!! Per ultimo ci sono io: cicciobomba e, se noti bene, in procinto di afferrare la fiamma della candelina. Da notare con interesse storico: la cappa economica straccion-operaia che campeggia sulla sinistra in alto e subito sotto i fiori di plastica che si usavano tenere accanto al cesto della frutta intorno alla quale vagavano perennemente i moschini. Tra mia madre e mia nonna compare un triangolo di televisione a valvole che mio padre, qualche mese dopo , lancerà giù dalla finestra nel tentativo di far tacere alcuni ragazzi che si erano accampati sotto la sua finestra, interrompendo così il suo meritato riposo pomeridiano da disoccupato.

Amarcord.



Questa foto, caro Ale, è stata scattata nel '73, sul primo tornante della strada che va a Lussito. Puoi notare il vecchio Kursaal sulla destra, il trampolino da dieci che ora non esiste più, la passerella centrale, anch'essa scomparsa, della piscina che, se ti ricordi, serviva a passeggiare facendo finta di niente per poi affiancarsi alla vittima designata ( solitamente qualche sfigatello che ci aveva negato due patatine o una morsicata nel suo panino) e, con una poderosa spallata, scaraventarlo nelle acque semi torbide dove per toccare dovevi essere alto, se non ricordo male, almeno 1.60 pena la bevuta di parecchie litrate di liquido mefitico e, cosa peggiore, l'intervento salvifico di Dulfo che non si gettava mai nell'acqua ma ti veniva ad urlare ad un metro dal tuo personale inferno di sguazzi e pensieri di morte ,insulti pesantissimi sulla tua condizione miserrima e di totale idiozia mentale per il solo fatto di esserti cacciato in quella situazione da invertebrato mentre noi,  maledetti drughi,  riparati all'ombra del corridoio delle cabine, sghignazzavamo alla scena e nel contempo curavamo con la nostra lugubre visione periferica qualche altro sventurato a cui chiedere cibo .

Esperienze di vita delle quali avrei fatto a meno.


Molto tempo fa ho lavorato presso una struttura,( della quale è pietoso e saggio tacerne il nome), con una squadra di operatrici, infermiere e dottori dedita,come lavoro regolarmente retribuito, alla cura di anziani più o meno drasticamente invalidati dal tempo e ho potuto constatare un tremendo coacervo di realtà demoralizzanti. Nelle stanze asetticamente incolori, nei letti strutturalmente perfetti (dal punto di vista della mansione loro preposta) ma privi del pur minimo richiamo a quella che io definisco Vita, intravedevo un malinconico senso di decadenza e dissoluzione. Uomini e donne ormai ridotti a fragili cariatidi malferme sulle gambe con i visi solcati da rughe che mi richiamavano alla mente i crepacci delle Montagne Rocciose e i capelli stopposi vagamente assimilabili alla paglia che da bambino scorgevo sui campi,quando mio padre mi conduceva in collina,talune domeniche di fine estate. Svariate volte provai a parlare con quelle persone risucchiate e mangiate dai lunghi evi lasciati alle spalle:esse mi rammentavano quelle mosche,o meglio,quelle spoglie di mosche,divorate dai ragni e sputate per terra dai cinici , seppur innocentemente istintivi,aracnidi. Rimaneva, nel tono basso delle loro voci, soltanto il calco di quella che fu una regolare esistenza. A stento credevo di riuscire a decifrare,nel profondo umido pozzo dei loro occhi mesti,così come nella loro espressione, irritualmente semi-anestetizzata dal lungo giacere in una inesorabile camminata lenta verso l'exitus, una qualche traccia di lontani fragori esistenziali. Talora mi sussurravano strane parole,provenienti da chissà quale sinapsi mnemonica:la memoria dei vecchi è abilissima nel ripercorrere reminescenze risalenti a varie decadi addietro; altre volte mi sospingevano crudamente,con rabbuffi burberi, a paragoni infelici tra il loro caldo e spumeggiante palpito vitale giovanile di un tempo e l'attuale semi-spento strascichio spiritual-corporeo. Si, spesso anche dal punto di vista spirituale essi mi inducevano ad intravedere la fine di tante,troppe illusioni dell'anima e, pare, che persino le robuste armature di credi e fedi, un tempo incredibilmente solide,erano venute lentamente ossidandosi ed arrugginendosi:di esse,ormai,non restavano che scarsi granelli di rossiccia polvere. Ricordo che provai a trattarli con tutto l'amorevole tatto e la delicatezza di cui ero e sono capace e,nel complesso,il mio sforzo sortiva brevi impercettibili risultati,riguardo alle loro reazioni comportamentali verso di me. Mi osservavano mentre praticavo loro la pulizia quotidiana con silenziosa sorpresa; a volte elargendomi materni o paterni sorrisi che constatavano in un incrocio inquietante tra la gratitudine sincera ed il sorriso canzonatorio probabilmente incontrollabile da parte delle loro menti ormai assimilabili a quelle dei bambini, ovvero incapaci di trattenere il riso o il sorriso qualora una situazione presentasse lati,ahimè,grottescamente ed involontariamente comici. In certi momenti intuivo,nel dialetto usato da alcuni di loro, emozioni e sensazioni che mi erano famigliari e che mi scagliavano,in un attimo,a scene di vita che io stesso avevo esperito, in epoche ormai remote della mia giovinezza. C’erano anche quelli che si attenevano a un mutismo permanente all’interno del quale nemmeno i miei migliori tentativi di umana solidarietà  conseguivano il benché minimo risultato  dal punto di vista della creazione di un rapporto confidenziale .
Oh, come avrei voluto alleviare,almeno per un giorno,la pena interiormente lacerante,di chi era in balìa di quel destino,anzi,di quel destino crudamente anaffettivo, meccanicamente concentrato sul compimento della propria ineluttabile spietata natura, ossia l'adempimento della sua funzione primaria consistente nell'annientamento garantito,a tappe forzate, dei nostri corpi biologici.

Questo è quello che voglio dire alle mie ormai ex colleghe: voi, allora, eravate veterane mentre io nient'altro che una recluta ma ho purtroppo notato con sgomento, come alcune di voi abbiano eretto una sorta di muraglia d'acciaio tra la loro anima, il loro cervello ( per alcune un vero e proprio optional)  ed il mestiere difficile che svolgono:in parte vi siete divertite alle mie prime reazioni istintive di ribrezzo e difficoltà di adattamento e, in successione, siete state molto forti in occasione delle mie iniziali partecipazioni, in prima persona, alla pulizia corporea degli infelici ospiti della struttura; poi, pian piano, sempre alcune di voi,  hanno assunto un atteggiamento di leggero distacco verso me; quasi come se avreste desiderato che io rimanessi per sempre un novellino ipersensibile e,in quanto tale, perennemente suscettibile di una riserva di giudizio da parte vostra  poiché ,a motivo di quel poco materiale professionale che mi avete elargito per via orale ,avevo già allora intravisto la netta e cruda affermazione assiomatica di una verità incontrovertibilmente desolante: era certo che mi dovevo ancora avvezzare, o meglio: dovevo  assolutamente svezzarmi in questo lavoro e, solamente dopo questo passaggio, dopo questa mia,per così dire, avvenuta iniziazione, avrei potuto davvero usufruire dei vostri codici di comunicazione e delle vostre sincere confidenze. In tutta sincerità vi dico, ora che è passato molto tempo,anche a motivo dell’incolmabile gap intellettivo che sta tra alcune di voi e me,che le vostre confidenze non potranno mai interessarmi.  Ma c’è una cosa, sempre di alcune di voi, mie ex colleghe,che mi ha lasciato perplesso e,per certi versi,sconcertato: l'assenza, parziale o totale,della capacità di amare,di esprimere empatia,di iniettare sollievo spirituale ai miserabili che abitano quelle stanze traboccanti di tristezza inguaribile. Ottemperate gelidamente a quanto scritto dal regolamento lavorativo seguendo diligentemente le prassi inerenti all'adempimento delle vostre mansioni,ma in tutto questo,giorno dopo giorno,purtroppo, nessuna di quelle povere creature abbandonate a se stesse riuscirà a cogliere né a percepire il benché minimo afflato di quella solarità del cuore che,da sola,porterebbe a quella dimenticata umanità, piagata dal decadimento fisico, un soffio di profumata speranza;speranza in un cammino dolce verso l'ignoto,che,seppure foriero di malcelate inquietudini, proseguirebbe grazie anche alla vicinanza di calde anime soccorrevoli e non solo dal punto di vista fisiologico ma anche da quello psicologico rappresentato dalle  serene aspettative che dovreste generare in loro con tutte le capacità di cui disponete. E quando rimugino su tutto questo,beh,a dispetto di tutte le mie consolanti pseudo certezze, legate al mio credere fortemente in una Vita che tutto  abbraccia e tutto salva e che dispenserà gioia senza fine in un nuovo sistema di cose vi confesso che,nonostante la mia notevole forza interiore non di rado, un  freddo e incontrollabile brivido mi percorre la schiena,lasciandomi,per qualche  istante, incredibilmente solo a riflettere sulla parola                                                  MISERICORDIA.  
Io ne conosco il significato e credo di fare cosa buona e giusta a rammentarlo anche a voi:
“Espressione di benevola considerazione o pietà che reca sollievo agli infelici.”

Non so cosa farò né come lo farò, ma nella Bibbia, nella lettera che Paolo scrisse ai Filippesi, al capitolo 4 versetto 13 si legge:
 Per ogni cosa ho forza in virtù di Colui che mi impartisce potenza.”
Probabilmente non ci crederete ma ogni volta che ripenso a queste parole mi sento sereno.

Alva.