Alva entrò nel suo solito locale, nel solito girone
infernale del quartiere di Quezzi, a Genova, dove da anni viveva. Ordinò una birra da quattro soldi e si
sedette nell’angolo del bar più scuro e umido. Lì era al sicuro: non si sarebbe
avvicinato nessuno a causa della vicinanza al cesso al quale mancava la porta
di ingresso che avrebbe impedito, almeno in parte, la fuoriuscita dei miasmi intestinali
dei tossici che lo usavano come seconda casa. Era pensieroso. La sua mente andava
ripetutamente a quel periodo in cui, con Ale, era solito combinare un perù di
casini. Gli mancava, in un certo senso, anche se quella sua tranquillità,
acquisita dopo un tot di inchiappettate a basso prezzo, lo rassicurava. Iniziò
a sorseggiare l’intruglio con la calma e la flemma di chi nel passato è stato
un grande bevitore.
Ad un certo punto, senza che la sua visione periferica lo
avesse messo in allarme, si sedette al suo tavolo un tizio: sui 30 anni, alto
un po’ meno di lui, magro più di lui, bello più di lui, vestito senz’altro
meglio di lui. Alva lo squadrò puntando lo sguardo sulle sopracciglia: era un
vecchio trucco che faceva imbestialire gli sbirri quando ti facevano un
interrogatorio: mai occhi negli occhi. Evadere lo sguardo in certi frangenti
era come parlare continuamente con sarcasmo a causticità. Questione di postura.
Il tizio aveva sul grugno un sorriso che avrebbe potuto causargli un sacco di
guai.
Stavo quasi per informarlo che se avesse continuato a
sorridere in quel modo avrebbe passato una considerevole parte della sua vita
in ospedale, quando mi disse:
“ HO 32 ANNI MA QUANDO SONO ENTRATO NELLA MACCHINA NE AVEVO
30!”
Appoggiai il boccale sul tavolo e lo fissai con curiosità.
La mia mente stava tentando di decodificare ciò che mi aveva detto. Masticai
lentamente in una sorta di massaggio mandibolare.
“ L’HO INVENTATA IO.
L’HO CHIAMATA ‘SUSPENSION’S MACHINE’!”.
Il mio primo pensiero fu quello che, come al solito, i pazzi
mi stavano sempre intorno. Era una condanna peggio della galera a vita. Potevo
fuggire sulla montagna più alta e desolata del pianeta e mi sarei trovato un
pazzo disposto a raccontarmi una vagonata di idiozie.
“ NON E’ STATO DIFFICILE. CI LAVORAVO DA ANNI E MI MANCAVA
UN EQUAZIONE ALGEBRICA PER RAGGIUNGERE UN RISULTATO E POI UNA MATTINA: ZAC!
ECCOLA LI’, DAVANTI A ME, CIOE’ VOGLIO DIRE, NELLA MIA MENTE, LINDA E PULITA
COME APPENA PENSATA!”
“ DEVE ESSERE STATO DIFFICILE, INVECE.” - risposi con malcelato interesse.
Tentai la strada più semplice e al tempo stesso
difficoltosa: assecondarlo.
“ NO,NO,NO…SEMPLICISSIMO! UNA VOLTA CHE CAPISCI COME
INTRODURTI ALL’INTERNO DI UN CALCOLO HAI TUTTI I NUMERI AI TUOI PIEDI. L’HO
INVENTATA PER I MOMENTI DIFFICILI, QUEI MOMENTI STORICI IN CUI L’UOMO NON PUO’
PIU’ REAGIRE CON LE SUE FORZE E QUINDI , ANZICHE’ VIVERE UN PERIODO STORICO
NEGATIVO, LO ‘SALTA’…LO AGGIRA….LO EVITA!”
Alva diede un sorso alla sua birra e, a stento, trattenne un
rutto. Non lo fece per educazione ma per una sinapsi che in quel momento aveva
seguito il suo schifoso retaggio cattolico secondo cui non è bello digerire
davanti a una persona educata che ti sta spiegando quanto il manicomio da cui
proviene è orgoglioso di lui.
“ QUESTA MACCHINA, LA SUSPENSION’S MACHINE, APPUNTO, RIESCE
A CRISTALLIZZARE I TEMPI IN CUI VIVI PROIETTANDOTI, IN UN LASSO DI TEMPO
BREVISSIMO,NELLO STESSO ESATTO PUNTO DA DOVE SEI PARTITO SENZA FARTI PASSARE
DAL VIA!” – disse scoppiando in una risata isterica, certo di aver fatto una battuta
eccellente.
Alva avrebbe voluto sfragnargli il muso con il boccale della
birra che aveva in mano ma gli sovvenne che alcuni anni prima, dopo aver
compiuto un gesto del genere nella vecchia Inghilterra, gli era costato un periodo
nelle patrie galere non proprio esaltante quindi si limitò a dire:
“ MMMHHHH….DAVVERO INTERESSANTE…E DOVE SI TROVA QUESTA…COME
HAI DETTO CHE SI CHIAMA?”
“ SUSPENSION’S MACHINE…E SI TROVA NEL GARAGE DI CASA MIA
…NON MOLTO LONTANO DA QUI…”
Alva si alzò e si diresse verso il tipo che nel mentre stava
cercando di estrarre dalle sue tasche un fazzoletto di carta. Quando gli fu
abbastanza vicino gli sussurrò in un orecchio:
“ VOGLIO VEDERE QUESTA SUSPENSION’S MACHINE!”
Il tipo ,che per convenzione chiameremo “ragazzo”, fece un
sorriso così grande che fece pensare ad Alva il fatto che in quel locale una
cosa del genere non era mai accaduta. Nessuno, a sua memoria, aveva mai sorriso
per qualcosa o qualcuno. In quel posto di merda si erano ritrovati i peggiori
spurghi di fogna della città a discutere su come fare una rapina o il modo
migliore per derubare una vecchietta inerme.
Il ragazzo gli fece cenno di seguirlo. Alva si incamminò
dietro lui. Dopo una scarpinata di mezz’ora in mezzo ai carruggi di Genova
entrarono in un portone, poi infilarono una porta e il ragazzo accese
la luce. In mezzo ad uno stanzone campeggiava in tutta la sua sfolgorante
schifezza una accozzaglia di lamiere e vetri e viti e bulloni e pezzi di legno
e scarti di fabbrica di plastica e altre mostruosità. Alva non disse niente ma attese che il ragazzo aprisse
la bocca.
“ ECCOLA” LE PIACE? ORA, SE LEI MI PERMETTE, LA FAREI SEDERE
NEL CENTRO DELLA SUSPENSION’S MACHINE PER PROIETTARLA IN UN UNIVERSO PARALLELO
IL QUALE …”
Alva non lo fece finire. Lo afferrò sotto il collo
sollevandolo per circa 12 cm dal suolo. Lo fissò con gli occhi iniettati di
sangue. Gli era capitato di esser preso per il culo ma qui si era passata la
misura. Il ragazzo era in debito d’aria. Faceva strani suoni e il colore del
suo faccione da imbecille aveva virato istantaneamente verso il rosso. Con uno
scatto dell’avambraccio lo scaraventò nella sua suspension’s machine che, come
previsto, si disintegrò in un attimo. Il ragazzo giaceva tra i resti della sua
invenzione quando, ad un certo punto, urlò:
“ HAI DISTRUTTO LA MIA SUSPENSION’S MACHINE! ORA TE LA
DOVRAI VEDERE CON ME! FORSE NON TE L’HO DETTO MA SONO CAMPIONE DI KUNG FU!”
Alva non desiderava altro: massacrare un indifeso non era
proprio nelle sue corde ma con un campione…beh…le cose cambiavano. Con un gesto
chiuse la porta dietro a se, diede un giro di chiave e se la mise in tasca. Il
ragazzo, già in posa da Bruce Lee, guardò il gesto con fare interrogativo. Non
poteva sapere che in via preventiva Alva gli aveva precluso l’unica via di fuga
e che una dura, durissima punizione stava per abbattersi su di lui. Subito dopo
il vecchio Alva fece uscire il bastardo sanguinario che era in lui e ridusse il
ragazzo in tale maniera che non lo avrebbe riconosciuto nemmeno la sua mamma. Successivamente
uscì da quel luogo e si infilò in un altro bar lì accanto. Si sedette e ordinò
un’altra birra. Accanto a lui due tizi discutevano di calcio. Si guardò le
mani: aveva tutte le nocche sbucciate e sangue rappreso sulle braccia. La
cameriera si avvicinò e, dopo aver posato il bicchiere sul tavolo, esclamò:
“ SIGNORE, LEI E’ FERITO! VUOLE CHE CHIAMI UN’AMBULANZA?”
Alva chiese:
“ HA MAI SENTITO PARLARE DELLA SUSPENSION’S MACHINE?”
“ NO, MAI!” - rispose
lei di getto, continuando a fissargli le mani.
“ MEGLIO COSI’…SI, CREDO CHE SIA MEGLIO COSI’…” - bisbigliò Alva.
La cameriera se ne andò. I due tizi che erano accanto a lui
dissero:
“ UN ALTRO FOTTUTO PAZZO! “
Alva rise. Tutto poteva essere, eccetto un pazzo. Però
quella sera un po’ lo era stato. Aveva creduto per un attimo che la
Suspension’s Machine potesse esistere veramente.
Maledetto mondo. Ci era cascato di nuovo.
Alva.