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web sito ImageChef Custom Images "Ormai quasi giunto al termine della mia vita di peccatore, mentre declino canuto insieme al mondo, mi accingo a lasciare su questo blog testimonianza degli eventi a cui mi accadde, mi accade e mi accadrà di assistere durante il periglioso viaggio che mi separa dalla tomba. E Dio mi conceda la grazia di essere testimone trasparente e cronista fedele di quanto ho visto. Possa la mia mano non tremare mentre mi accingo a scrivere certi eventi e ricordare l'inquietudine sottile che opprime l'animo mio mentre mi collego quotidianamente a questo blog poiché oggi ho la certezza che sto rettamente interpretando gli indubitabili presagi ai quali, da quando nacqui, stoltamente, non diedi peso ."

domenica 20 maggio 2012

Suspension's Machine.


Alva entrò nel suo solito locale, nel solito girone infernale del quartiere di Quezzi, a Genova, dove da anni viveva.  Ordinò una birra da quattro soldi e si sedette nell’angolo del bar più scuro e umido. Lì era al sicuro: non si sarebbe avvicinato nessuno a causa della vicinanza al cesso al quale mancava la porta di ingresso che avrebbe impedito, almeno in parte, la fuoriuscita dei miasmi intestinali dei tossici che lo usavano come seconda casa.  Era pensieroso. La sua mente andava ripetutamente a quel periodo in cui, con Ale, era solito combinare un perù di casini. Gli mancava, in un certo senso, anche se quella sua tranquillità, acquisita dopo un tot di inchiappettate a basso prezzo, lo rassicurava. Iniziò a sorseggiare l’intruglio con la calma e la flemma di chi nel passato è stato un grande bevitore.
Ad un certo punto, senza che la sua visione periferica lo avesse messo in allarme, si sedette al suo tavolo un tizio: sui 30 anni, alto un po’ meno di lui, magro più di lui, bello più di lui, vestito senz’altro meglio di lui. Alva lo squadrò puntando lo sguardo sulle sopracciglia: era un vecchio trucco che faceva imbestialire gli sbirri quando ti facevano un interrogatorio: mai occhi negli occhi. Evadere lo sguardo in certi frangenti era come parlare continuamente con sarcasmo a causticità. Questione di postura. Il tizio aveva sul grugno un sorriso che avrebbe potuto causargli un sacco di guai.
Stavo quasi per informarlo che se avesse continuato a sorridere in quel modo avrebbe passato una considerevole parte della sua vita in ospedale, quando mi disse:
“ HO 32 ANNI MA QUANDO SONO ENTRATO NELLA MACCHINA NE AVEVO 30!”
Appoggiai il boccale sul tavolo e lo fissai con curiosità. La mia mente stava tentando di decodificare ciò che mi aveva detto. Masticai lentamente in una sorta di massaggio mandibolare.
“ L’HO INVENTATA IO.  L’HO CHIAMATA ‘SUSPENSION’S MACHINE’!”.
Il mio primo pensiero fu quello che, come al solito, i pazzi mi stavano sempre intorno. Era una condanna peggio della galera a vita. Potevo fuggire sulla montagna più alta e desolata del pianeta e mi sarei trovato un pazzo disposto a raccontarmi una vagonata di idiozie.
“ NON E’ STATO DIFFICILE. CI LAVORAVO DA ANNI E MI MANCAVA UN EQUAZIONE ALGEBRICA PER RAGGIUNGERE UN RISULTATO E POI UNA MATTINA: ZAC! ECCOLA LI’, DAVANTI A ME, CIOE’ VOGLIO DIRE, NELLA MIA MENTE, LINDA E PULITA COME APPENA PENSATA!”
“ DEVE ESSERE STATO DIFFICILE, INVECE.”  - risposi con malcelato interesse.
Tentai la strada più semplice e al tempo stesso difficoltosa: assecondarlo.
“ NO,NO,NO…SEMPLICISSIMO! UNA VOLTA CHE CAPISCI COME INTRODURTI ALL’INTERNO DI UN CALCOLO HAI TUTTI I NUMERI AI TUOI PIEDI. L’HO INVENTATA PER I MOMENTI DIFFICILI, QUEI MOMENTI STORICI IN CUI L’UOMO NON PUO’ PIU’ REAGIRE CON LE SUE FORZE E QUINDI , ANZICHE’ VIVERE UN PERIODO STORICO NEGATIVO, LO ‘SALTA’…LO AGGIRA….LO EVITA!”
Alva diede un sorso alla sua birra e, a stento, trattenne un rutto. Non lo fece per educazione ma per una sinapsi che in quel momento aveva seguito il suo schifoso retaggio cattolico secondo cui non è bello digerire davanti a una persona educata che ti sta spiegando quanto il manicomio da cui proviene è orgoglioso di lui.
“ QUESTA MACCHINA, LA SUSPENSION’S MACHINE, APPUNTO, RIESCE A CRISTALLIZZARE I TEMPI IN CUI VIVI PROIETTANDOTI, IN UN LASSO DI TEMPO BREVISSIMO,NELLO STESSO ESATTO PUNTO DA DOVE SEI PARTITO SENZA FARTI PASSARE DAL VIA!” – disse scoppiando in una risata isterica, certo di aver fatto una battuta eccellente.
Alva avrebbe voluto sfragnargli il muso con il boccale della birra che aveva in mano ma gli sovvenne che alcuni anni prima, dopo aver compiuto un gesto del genere nella vecchia Inghilterra, gli era costato un periodo nelle patrie galere non proprio esaltante quindi si limitò a dire:
“ MMMHHHH….DAVVERO INTERESSANTE…E DOVE SI TROVA QUESTA…COME HAI DETTO CHE SI CHIAMA?”
“ SUSPENSION’S MACHINE…E SI TROVA NEL GARAGE DI CASA MIA …NON MOLTO LONTANO DA QUI…”
Alva si alzò e si diresse verso il tipo che nel mentre stava cercando di estrarre dalle sue tasche un fazzoletto di carta. Quando gli fu abbastanza vicino gli sussurrò in un orecchio:
“ VOGLIO VEDERE QUESTA SUSPENSION’S MACHINE!”
Il tipo ,che per convenzione chiameremo “ragazzo”, fece un sorriso così grande che fece pensare ad Alva il fatto che in quel locale una cosa del genere non era mai accaduta. Nessuno, a sua memoria, aveva mai sorriso per qualcosa o qualcuno. In quel posto di merda si erano ritrovati i peggiori spurghi di fogna della città a discutere su come fare una rapina o il modo migliore per derubare una vecchietta inerme.
Il ragazzo gli fece cenno di seguirlo. Alva si incamminò dietro lui. Dopo una scarpinata di mezz’ora in mezzo ai carruggi di Genova entrarono in un portone, poi  infilarono  una porta e il ragazzo accese la luce. In mezzo ad uno stanzone campeggiava in tutta la sua sfolgorante schifezza una accozzaglia di lamiere e vetri e viti e bulloni e pezzi di legno e scarti di fabbrica di plastica e altre mostruosità. Alva non  disse niente ma attese che il ragazzo aprisse la bocca.
“ ECCOLA” LE PIACE? ORA, SE LEI MI PERMETTE, LA FAREI SEDERE NEL CENTRO DELLA SUSPENSION’S MACHINE PER PROIETTARLA IN UN UNIVERSO PARALLELO IL QUALE …”
Alva non lo fece finire. Lo afferrò sotto il collo sollevandolo per circa 12 cm dal suolo. Lo fissò con gli occhi iniettati di sangue. Gli era capitato di esser preso per il culo ma qui si era passata la misura. Il ragazzo era in debito d’aria. Faceva strani suoni e il colore del suo faccione da imbecille aveva virato istantaneamente verso il rosso. Con uno scatto dell’avambraccio lo scaraventò nella sua suspension’s machine che, come previsto, si disintegrò in un attimo. Il ragazzo giaceva tra i resti della sua invenzione quando, ad un certo punto, urlò:
“ HAI DISTRUTTO LA MIA SUSPENSION’S MACHINE! ORA TE LA DOVRAI VEDERE CON ME! FORSE NON TE L’HO DETTO MA SONO CAMPIONE DI KUNG FU!”
Alva non desiderava altro: massacrare un indifeso non era proprio nelle sue corde ma con un campione…beh…le cose cambiavano. Con un gesto chiuse la porta dietro a se, diede un giro di chiave e se la mise in tasca. Il ragazzo, già in posa da Bruce Lee, guardò il gesto con fare interrogativo. Non poteva sapere che in via preventiva Alva gli aveva precluso l’unica via di fuga e che una dura, durissima punizione stava per abbattersi su di lui. Subito dopo il vecchio Alva fece uscire il bastardo sanguinario che era in lui e ridusse il ragazzo in tale maniera che non lo avrebbe riconosciuto nemmeno la sua mamma. Successivamente uscì da quel luogo e si infilò in un altro bar lì accanto. Si sedette e ordinò un’altra birra. Accanto a lui due tizi discutevano di calcio. Si guardò le mani: aveva tutte le nocche sbucciate e sangue rappreso sulle braccia. La cameriera si avvicinò e, dopo aver posato il bicchiere sul tavolo, esclamò:
“ SIGNORE, LEI E’ FERITO! VUOLE CHE CHIAMI UN’AMBULANZA?”
Alva chiese:
“ HA MAI SENTITO PARLARE DELLA SUSPENSION’S MACHINE?”
“ NO, MAI!”  - rispose lei di getto, continuando a fissargli le mani.
“ MEGLIO COSI’…SI, CREDO CHE SIA MEGLIO COSI’…” -  bisbigliò Alva.
La cameriera se ne andò. I due tizi che erano accanto a lui dissero:
“ UN ALTRO FOTTUTO PAZZO! “
Alva rise. Tutto poteva essere, eccetto un pazzo. Però quella sera un po’ lo era stato. Aveva creduto per un attimo che la Suspension’s Machine potesse esistere veramente.
Maledetto mondo. Ci era cascato di nuovo.
                                                                                                                                     Alva.