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web sito ImageChef Custom Images "Ormai quasi giunto al termine della mia vita di peccatore, mentre declino canuto insieme al mondo, mi accingo a lasciare su questo blog testimonianza degli eventi a cui mi accadde, mi accade e mi accadrà di assistere durante il periglioso viaggio che mi separa dalla tomba. E Dio mi conceda la grazia di essere testimone trasparente e cronista fedele di quanto ho visto. Possa la mia mano non tremare mentre mi accingo a scrivere certi eventi e ricordare l'inquietudine sottile che opprime l'animo mio mentre mi collego quotidianamente a questo blog poiché oggi ho la certezza che sto rettamente interpretando gli indubitabili presagi ai quali, da quando nacqui, stoltamente, non diedi peso ."

giovedì 14 agosto 2014

Un’operazione quasi perfetta.

Ciò che ho scritto non vuol essere una cronaca. Tanto meno un racconto. E’ solo la storia di quello che accadde 20 anni fa ad Alessandria una cittadina dell’Italia  settentrionale. Troppo piccola per essere considerata città. Troppo grande per essere un paese.  E' a due passi dal mare e  a tre dalla montagna. La gente si conosce tutta e, almeno una volta alla settimana, ci si ritrova tutti in casa dell’uno o dell’altro. E', paradossalmente, il posto ideale per trascorrere la propria esistenza con la meravigliosa e sacrilega sensazione di averla già vissuta.
Me la raccontò un anziano signore, un giorno, mentre stavo rincasando nella mia abitazione, al quinto piano di un vecchio condominio ad Acqui Terme. Era teso e con gli occhi spiritati. Ora non ricordo se fu tutto un sogno o un'allucinazione dovuta al caldo torrido di quel periodo, ma è certo che mi disse che voleva dirla a me perché le ero simpatico, buttando lì il fatto che quello avrebbe potuto essere il suo ultimo giorno di vita.
Purtroppo aveva ragione.



                                          



Erano da poco passate le due del mattino e Ale si apprestava ad affrontare il suo 46° minuto di sonno, quando il telefono squillò in maniera cinica e brutale.
Gli ci vollero almeno tre minuti per trovare la cornetta. Quando la individuò la alzò.

“Chi diavolo è a quest’ora?”  ringhiò come un cane inferocito.
“Ale...sono io ...Enrico; scusa per l’ora ma...”.

Enrico era il capitano della centrale di polizia criminale. Un bravo ufficiale. Piuttosto in gamba. Tutta tecnica e  niente pratica. Aveva la divisa sempre impeccabile quindi la persona giusta per stare in un ufficio e far bella mostra di se. Faceva sempre sfoggio della sua cultura, infarcendo tutti i suoi discorsi con paroloni di nessun’utilità. Insomma, il tipo d’ufficiale che sarebbe morto in combattimento ancor prima di riuscire a mettere un colpo in canna.

“ Enrico, lo sai che ora sono? “  lo interruppe Ale.
“Chiedo venia per averti disturbato ma ho...”
“Cosa chiedi?”
“Chiedo venia, chiedo scusa...”
“Ah...”
“Comunque sia, ho bisogno che torni in ufficio; è accaduto un pasticcio di portata internazionale.”
“Cosa?” chiese Ale
“Non posso spiegare al telefono; te lo paleserò quando sarai qui!”
“SANTODDIO ENRY, non potresti parlare come mangi?” urlò Ale.
“Scusa, mi viene spontaneo!”
“Anche a me verrebbe spontaneo mandarti al diavolo, ma mi trattengo!”
“ O.K! O.K! Non ti arrabbiare! Ce la fai ad essere qui tra mezz’ora?”
“Dammi almeno un’ora!”
“O. K.! A proposito: stavi mica dormendo?”.
“Enry?”
“Si?”
“ Vai al diavolo!!”.

Ale era sott’ufficiale della squadra speciale antiterrorismo. Il migliore. Un pò volgare e rozzo ma efficiente. Prima di assumerne il comando aveva girato il mondo ed “operato” in missioni ad altissimo rischio. Era specializzato nel “blitz”; toccata e fuga, come lo chiamava lui.
Ne portava le conseguenze su tutto il corpo, sottoforma di cicatrici e altro. Incerti del mestiere, diceva lui.
Un tipo tosto insomma;bastava stare al suo fianco per essere certi di uscire vivi da qualunque brutta situazione.

Si rivestì, prese la sua 38 parabellum e la caricò. Mise un colpo in canna e se la infilò sotto la cintura dei pantaloni. Da dietro.
Non usava la fondina ascellare: troppi movimenti allo scoperto!
Uscì dal suo appartamento e scese le scale. Prima di oltrepassare il portone dello stabile, controllò accuratamente la situazione all’esterno. Uno come lui si era fatto un sacco di nemici. Poi, lentamente, aprì, e con un passo fu in strada. Si diresse verso il Centro Operativo. La mattina era calda e umida e lui odiava l’umidità. Gli ricordava l’Africa, il fango, i parassiti e la puzza di morte; una volta che l’avevi odorata ti restava nel cervello per sempre. Poco dopo saliva già le scale del C.O. Due guardie lo salutarono sull’attenti. Non ci badò neanche. Odiava le formalità, soprattutto quando erano rivolte alla sua persona. Una vetrata automatica si aprì. Qualcuno, dentro ad una garitta antiproiettile, lo salutò. Come risposta gli strizzò l’occhio sinistro e attese l’apertura della seconda vetrata. Si aprì. Entrò, quando un giovane ufficiale gli si parò davanti.

“ Mi spiace sergente, ma devo perquisirla!!”  disse sommessamente.
“ Che cosa?!”  disse Ale.
“ Beh...ecco...sono...sono LE NUOVE DISPOSIZIONI!!”
“Chi le ha pensate?”  domandò.
“Il capitano Dez!!”
“Il solito idiota!” esclamò ad alta voce. E tirò avanti.

Sentì il giovane, da dietro, snocciolare il regolamento, ma sapeva che non avrebbe mai osato fermarlo.
Percorse un lungo corridoio ed entrò nella sala delle “grandi decisioni”.
Intorno ad un tavolo quadrato c’erano due tizi infilati dentro uno splendido vestito ed avevano un largo sorriso. Troppo largo per quell’ora. Nella penombra, appoggiati al muro, i loro guardiaspalla. A capotavola c’era Dez che appena lo vide disse: “ Oh, ciao Ale, hai fatto prestissimo...scusa ancora per...”.

Non lo fece terminare.

“Cos’è ‘sta storia della perquisizione?”
“Ecco…ho pensato di aumentare un pò la sicurezza qui all’interno e.....”
“Dez, PERLAMADOSCA, fare perquisizioni in questo posto è una gigantesca stronzata!” e si sedette.
Tutti gli altri intorno lo guardarono sbigottiti. Poi guardarono Dez, come se si aspettassero una reazione da lui.
“E’ il nostro uomo migliore!” biascicò invece.
“SANTO CIELO! - continuò Ale - controllare un poliziotto in un posto di polizia è come fare una multa per eccesso di velocità in un gran premio di formula 1!” e rise.

Risero anche tutti gli altri. Non si ricordava dove l’aveva sentita quella battuta, ma aveva sortito l’effetto desiderato.
Dez era in evidente imbarazzo, ma ci pensò subito Ale a mettere tutti a proprio agio.

“Allora? Di che si tratta? Il gatto della moglie di qualche generale in pensione è scomparso?” chiese con sarcasmo.

Ci fu un’altra risata, ma più breve. Tutti capirono che sarebbe anche stata l’ultima.

“C’è stato un sequestro di persona all’ambasciata del Ghana!” esordì l’uomo in cravatta alla sua sinistra.
Enry guardò Dez.
“Ale...ti presento il signor Kumanga, il segretario particolare dell’ambasciatore”.

Lo squadrò dalla testa ai piedi.

“Quanto particolare?” chiese allusivamente, con un mezzo ghigno sul lato destro della bocca.
“Abbastanza da farla degradare se qualcosa andrà storto!!” rispose.
“Ehi Dez, CHE VUOLE QUESTO QUA? Glielo hai detto chi sono?”  domandò infuriato.
“Sappiamo chi è Lei; ed è per questo che si trova qua!” si introdusse determinato Kumanga.
“Anch’io so chi sei tu! Tu sei una grossa merda con un bel vestito addosso!!”  ringhiò Ale.

I guardiaspalla, che fino a quel momento erano rimasti appoggiati al muro come due armadi solitari, si smossero leggermente e fecero un passo in avanti, come se qualcuno avesse osato dire che la loro mamma era stata una escort tanto tempo prima; ma poi occhieggiarono verso Kumanga il quale, con un gesto della mano destra, fece cenno che era tutto ok,così i due colossi si riappoggiarono al muro come chi ha appena deciso che il passato è  passato!

“ADESSO BASTA!!” intervenne Dez urlando.

Stranamente ci fu silenzio.

“Abbiamo perso fin troppo tempo!  In casi come questi può essere prezioso!!”.
L’ufficiale si schiarì la voce con un colpo di tosse.

“Allora...la situazione è questa: un fottuto pazzo si è introdotto, dio sa come, nell’ambasciata del Ghana, ha preso in ostaggio l’ambasciatore e poi si è chiuso all’interno della saletta antistante a quella delle riunioni. Ora minaccia di ucciderlo se non saranno liberati tre detenuti politici. Ci ha già consegnato i nomi!”
“Un classico!” disse Ale
“Sarà anche un classico - s’introdusse nuovamente Kumanga - ma dato i delicati equilibri politici che intercorrono tra i nostri paesi, non vorremmo che venissero a crearsi...”
Ale l’interruppe.

“Senti amico, mi devi solo dire che cosa devo fare: lo volete morto o lo volete vivo ma sulla sedia a rotelle? Il resto delle tue cazzate tientele per quando sarai in vacanza!!” rispose.

Non si poteva dire che corresse buon sangue tra loro due.
Ci furono molti secondi di silenzio.
“Uccidetelo!!” - disse Kumanga a denti stretti - “Morto non parla!!”
“O. K.!!” sibilò Ale alzandosi e dirigendosi verso l’uscita.

Dez si congedò dai convenuti bofonchiando qualche scusa. Subito dopo corse dietro a Ale mettendoglisi a fianco.
“Potevi evitare di essere così scurrile!!” lo redarguì.
“Politici merdosi e leccaculi...non li sopporto!!” rispose.


Poi si diressero nell’ufficio di Dez e si sedettero. Ale prese un bicchiere che stava sul tavolo e si versò dell’acqua da una bottiglia che si trovava sul tavolo. La bevve avidamente.
“Cos’hai bisogno?” chiese Dez.

Chinò la testa come per pensare, lasciando che i muscoli del collo ne traessero sollievo.
“Una planimetria dell’ambasciata, qualche ragazzo con le palle e Alva!”
“Alva?” domandò stupefatto Dez.
“Si! Proprio lui!!”
“Dove lo trovo Alva? Sono anni che non lo vedo! Per quel che ne sappiamo potrebbe anche esser morto!!”  disse Dez.
“Non è morto!”
“Tu come fai a saperlo?”
“Lo so e basta! TROVALO!” fu l’imperativo di Ale. Poi si alzò e se n’andò.
S’erano fatte le cinque e trenta e le prime luci della città iniziavano a sdraiarsi sulla città. Stava tornando al suo appartamento. Si sarebbe fatto una doccia, per riprendersi, e solo dopo avrebbe considerato l’ipotesi di tornare in quell’ambasciata.



Ci arrivò verso le sette e quindici e dovette faticare non poco per attraversare tutte le misure di sicurezza. L’edificio era circondato ai suoi quattro lati e parecchie macchine della polizia sbarravano le principali vie d’accesso. C’erano anche svariate emittenti televisive, pronte a cogliere il primo rivolo di sangue.
Entrò all’interno. Un sacco di gente sciamava ovunque: giornalisti, diplomatici, portaborse. I camerieri, come se nulla fosse, servivano i drink!!

“Incredibile!!” disse a bassa voce.

Era in atto un sequestro di persona e tutto lì intorno dava l’impressione di un party!!Poco dopo arrivò Dez di corsa.
“Ale...ti aspettavo fuori!”
“Invece sono qui! Hai fatto quello che ti ho chiesto?” domandò.
“Si! Questa è la planimetria; fuori ci sono due ragazzi dell’antiterrorismo e Alva. E’ stato difficilissimo scovarlo in meno di due ore, pensa che...”.

Ale non lo ascoltava più. Stava già uscendo.
“Dove sei, maledetto caprone?” urlò all’esterno, tra gli sguardi allibiti della piccola folla. Un giornalista gli si avvicinò e chiese: “ Lei può dirci qualcosa?”
“Certo: QUAL-CO-SA!!!” e continuò a scrutare nella calca carniforme.

Ad un tratto si levò un vocione imperioso che sovrastò ogni rumore.

“ALE, VECCHIO CIALTRONE!”

Alva era un uomo gigantesco. Alto quasi due metri, 100 chili di peso e con una lunga capigliatura intorno a una barba foltissima. Lui e Ale erano sempre stati insieme in tutte le missioni più cazzute e tra loro esisteva un “feeling” che li accomunava. Inoltre era il tiratore scelto più in gamba che avesse mai conosciuto. Divenne celebre durante una missione riguardante un dirottamento aereo, in cui il dirottatore era da due giorni fermo con l’aereo sulla pista dell’aeroporto.
Aveva già ucciso uno dei passeggeri e l’avrebbe rifatto. Così Alva si posizionò sulla torre di controllo e da quasi 300 metri, con un proiettile speciale, finì il terrorista. Un vero cecchino!

“Alva, ragazzaccio! Dov’eri rintanato?” I due si abbracciarono con forza.

“Santo cielo! Stavo tranquillo in un pub a Liverpool a scolarmi una birra quando sono venuti due vostri sgherri, mi hanno caricato su un aereo e mi hanno portato qua! Sono salito solo quando ho sentito il tuo nome! Deve essere accaduto qualcosa di terribile per giustificare questo spiegamento di forze!!” terminò Alva.
“Più o meno Al...più o meno; adesso seguimi che ti spiego tutto!”

Rientrarono nella sala dell’ambasciata e si sedettero. Nel mentre si avvicinò Dez con una discreta quantità di materiale cartaceo tra le mani. Lo appoggiò sul tavolo davanti a loro e si sedette anch’egli.
“Al, lui è Dez, l’ufficiale delle operazioni. Dirigerà la logistica e le trasmissioni via radio.”.
Si strinsero la mano.
“Piacere Al - sorrise Dez - ho sentito molto parlare di te!”.
“Peccato che io non possa dire altrettanto!” rispose l’altro sghignazzando.
“Che cosa intende dire?” chiese Dez guardando Ale.
“Nulla, non farci caso...Al è un po’ pazzo, ma lo saresti anche tu se fossi rimasto ventuno giorni in una boscaglia, braccato dal nemico, a mangiare serpenti e radici con contorno di fango e a bere il tuo piscio!” rispose Ale

Dez deglutì lentamente. Era troppo per lui.

“Allora Al, là dentro c’è un merdoso fuori di testa, con un merdoso ambasciatore, di un merdoso paese; è armato, incazzato e non sa che tra poco morirà!!” e rise.

Rise anche Al.

Afferrò un largo foglio. Era la planimetria dell’ambasciata. La aprì sul tavolo sotto gli occhi di tutti.

“Questa è la stanza in cui si trovano i due piccioncini! L’unica entrata è quella porta. L’unica uscita pure!” disse Ale.
“Beh, mi pare che se lo sia messo nel culo da solo!!”
“Sì, lo so, ma è che l’ambasciatore DEVE uscire da lì senza il minimo graffio. Un operazione chirurgica. Come ai vecchi tempi!”
“O. K.!Cosa debbo fare?” chiese.
“All’interno della stanza c’è una finestrella, sul lato est, ed è alta da terra 170 cm. Sappiamo chi è il terrorista e lui è alto 173 cm. Il diplomatico misura a malapena 160 cm, perciò non c’è possibilità d’errore. Credi di farcela da 150 metri?”.
“Beh, Ale, da quella distanza riuscirei a fargli la riga in mezzo ai capelli!” e iniziò a ridere convulsamente.
“Bene, bene...hai il tuo ‘strumento’?”
“Certo! E’ il mio migliore amico...dopo di te, naturalmente!!”
“O. K. Dez,  fagli vedere la postazione e dagli una radio a bassa frequenza.
“Sarà fatto! Vieni Al, seguimi.” Lo condusse sul tetto di una casa poco distante.

“Ecco...vedi quella finestrella sotto quel cornicione rosso?” chiese Dez, indicando un punto tra i tetti.
“Certo! E anche bene!” rispose.

Era diventato serio e i suoi occhi guizzavano. Stava valutando tutte le variabili: vento, distanza, inclinazione. Estrasse dalla custodia il suo Remington 7.65. Lo accarezzò. Innestò, su di esso, il cannocchiale di precisione con lenti Bausch&Lomb e lo armò.
 Si sdraiò a terra, puntando il fucile con cura, fece qualche profondo respiro e disse: “Sono pronto!!”.
“Bene; la radio è già sul canale; se ci fosse qualche problema ti avvertiremo”.

Alva non rispose. Era già tutt’uno con il suo “strumento”. Da lì a non molto ci sarebbe stato un piccolo concerto e lui si stava preparando.
Dez ritornò all’ambasciata e vide Ale, pensieroso, chino sulla planimetria.

“C’è qualcosa che non mi quadra in questo disegno!”
“Cosa?"  chiese Dez.
“Vedi il tratteggio della finestrella? E’ come se fosse stato,per così dire...corretto!”
“C’è un solo modo per saperlo - replicò - ed è quello di chiederlo a Kumanga!”
“E’ da tanto tempo che lavora qui?”
“C’è praticamente nato!”rispose Dez.

Diedero disposizioni per rintracciarlo. Intanto Alva, sul tetto della casa, aveva quella finestrella nel mirino e qualunque cosa fosse transitata nel suo campo l’avrebbe intercettata.
Intanto il terrorista, all’interno della stanza, dava segni di nervosismo. La situazione poteva precipitare da un momento all’altro. Due incursori stavano all’esterno della porta pronti ad intervenire.
Poco dopo arrivò Kumanga, dritto, con passo lento e gli occhi come il ghiaccio.
“Mi avete fatto chiamare?” disse con un tono di voce sarcastico.
“Si sieda - rispose Ale - devo farle vedere una cosa; su questa planimetria c’è un particolare che non mi convince: vede il riquadro della finestra? E’ come se fosse stato corretto, o sbaglio?”
“Assolutamente no, mio caro...quella finestra, tre anni fa, fu alzata di 18 cm per evitare che i raggi del sole cadessero direttamente sui quadri appesi nella parete opposta!” fu la risposta.
“MERDA! - imprecò Ale - allora Alva non può far nulla perché là dentro nessuno è alto 1.88 cm!”

Dez prese la radio.

“Lo chiamo e gli dico che la missione è annullata?” chiese.

Pensò a lungo su cosa rispondere.

“No, no...lasciamolo lì! Può venirci bene!”

All’esterno, un violento temporale frustava la città, e l’acqua veniva giù come dio la mandava.
Alva, su quel tetto, era fradicio, ma non si muoveva di un millimetro.

Il poliziotto che conduceva le trattative con il sequestratore si avvicinò a Ale.
“Sergente, sarà meglio sbrigarsi perchè quel pazzo sta dando il peggio di se !”
“Va bene, grazie!”  rispose.

Si avvicinò ai suoi due uomini e con il linguaggio dei segni, impartì loro dei precisi ordini. Si stava giungendo all’epilogo. Un’azione così diretta poteva costar cara; ma non c’era altra scelta. Tutti si posizionarono. Poi attivarono il puntamento laser sopra le pistole. Erano pronti.

Ale alzò la mano sinistra e iniziò il countdown. Allo scadere ci fu l’irruzione. Precisa. Fulminea. Durò in totale 40 secondi durante i quali furono esplosi solamente tre colpi. Tutti a segno.
Il corpo senza vita del terrorista fu trascinato fuori della stanza. L’ambasciatore, invece, vi rimase. La forte emozione lo aveva provato. Per dirla in parole povere: si era quasi cagato addosso!!

“Ottimo lavoro Ale - disse Dez raggiante - ottimo lavoro!!”
“Come al solito.” - fu la sua risposta.

Si diresse verso i suoi uomini, si congratulò con loro e li mise in libertà. Poi si sedette e chiese del whisky. Arrivò quasi subito. Ne ingollò un bicchiere d’un fiato.
Mentre la tensione stava allentando la sua presa, sentì del trambusto provenire dall’entrata.

“Che sta succedendo?” chiese ad alta voce
“Pare che il Presidente stia venendo proprio qua, per far visita all’ambasciatore.”. rispose con zelo un addetto.
“Dannazione! Sarà meglio che me ne vada!” disse tra sé e sé.

Si alzò, salutò tutti con un ampio gesto e si diresse verso l’uscita. Proprio mentre stava scendendo le scale, incrociò il Presidente della Repubblica Italiana e la Sua scorta che salivano. Lo salutò ma Lui non rispose.
Era la prima volta che lo vedeva di persona. Pensò che in televisione pareva più piccolo. Scese  in strada e chiamò un taxi. Non se la sentiva di tornare a piedi. Aveva bevuto a stomaco vuoto. Non riusciva a togliersi dalla mente l’incontro con il Presidente. Il taxi arrivò e lui salì. Diede l’indirizzo e si stravaccò sul sedile. Pioveva ancora.  Qualcosa gli ronzava nella testa. Aveva la stessa sensazione che prende quando si esce di casa troppo in fretta e si è certi di aver dimenticato non si sa cosa. Gli veniva in mente solo l’immagine del Presidente. Era molto più alto di tutti i suoi predecessori.
Quando pensò quell’ultima frase, sentì come un CRACH dentro la testa.


“ALVA!”   urlò.
Scese dal taxi e iniziò a correre da dove era venuto. La pioggia lo faceva scivolare.  Correndo si ricordò finalmente che il Presidente, da ragazzo, era stato per tanti anni nella nazionale di pallacanestro...dall’alto dei suoi 192 cm d’altezza.

Era spacciato se non si sbrigava.
Intanto Lui si era intrattenuto con la polizia nel salone antistante alla camera con la finestrella; si stava celebrando l’antica liturgia dei convenevoli e delle presentazioni.
Ale, invece, stava correndo a più non posso per fermare Alva.

LA TRASMITTENTE!!
L’aveva Dez. Imboccò il viale dell’ambasciata. Lì, come per miracolo, lo incontrò.
“Ehi Ale, che succede?” domandò stupito.
“La trasmittente...DAMMELA!!” ordinò Ale trafelato.

Gliela diede. La attivò.

“Alva, missione annullata, mi hai sentito? MISSIONE ANNULLATA!”  urlò.
Purtroppo il destino, quella mattina, si volle beffare di loro. La trasmittente di Al era andata in corto a causa dell’acqua. Materiale di stato. Il peggiore.
Ale la scagliò a terra e riprese la sua corsa. Arrivò alle scale e le salì più in fretta che poteva.

Il Presidente ora stava proprio all’ingresso della stanza, e dalla parte opposta l’ambasciatore era seduto con accanto un medico che gli misurava la pressione.

“Caro ambasciatore! Come sono felice di vederla!!”  disse sorridendo mentre si dirigeva verso di lui.
Ale entrò nel salone, si voltò verso la stanza ma non poté far altro che assistere.

“SI FERMI PRESIDENTE!” urlò con tutto il fiato che gli rimaneva.

Alva, sul tetto, era ancora incollato al mirino nonostante l’acqua a barili. Un vero professionista.
Ad un tratto, nel campo visivo del suo occhio destro, apparve qualcosa. Al fece una leggera smorfia di compiacimento con la bocca e disse: “ VAI ALL’INFERNO!!”. Poi premette il grilletto.
Il proiettile partì velocissimo per il suo viaggio di morte, scaraventando Alva, Ale e il Presidente su tutti i libri di storia.

                                                                                        
                                                                                                            Alvaro.