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web sito ImageChef Custom Images "Ormai quasi giunto al termine della mia vita di peccatore, mentre declino canuto insieme al mondo, mi accingo a lasciare su questo blog testimonianza degli eventi a cui mi accadde, mi accade e mi accadrà di assistere durante il periglioso viaggio che mi separa dalla tomba. E Dio mi conceda la grazia di essere testimone trasparente e cronista fedele di quanto ho visto. Possa la mia mano non tremare mentre mi accingo a scrivere certi eventi e ricordare l'inquietudine sottile che opprime l'animo mio mentre mi collego quotidianamente a questo blog poiché oggi ho la certezza che sto rettamente interpretando gli indubitabili presagi ai quali, da quando nacqui, stoltamente, non diedi peso ."

lunedì 28 maggio 2012

Amarcord.


Provincia di Alessandria,maggio 2012.


La giornata è tiepida,anzi decisamente calda. Ale sta guidando verso Acqui Terme,ormai è sul tratto
di tangenziale che bypassa Strevi,ogni tanto scorre con lo sguardo una copia de l" l'Ancora",
e, mentre guida,-cosa da non farsi mai -sbircia
sottécchi gli articoli su eventuali spettacoli o happenings. Scorge la foto di un suo vecchio compagno 
di scuola:l'articolo dice che si terrà un concerto del noto pianista Enrico Pesce,ottimo musicista laureato al Conservatorio di Alessandria. Gli viene quasi la tentazione di fare un salto da lui,magari una
sorta di rimpatriatina,ma poi opta per un giro sulle colline acquesi,anzi bistagnesi, per la precisione .
Prosegue lungo la circonvallazione supera Acqui,poi Terzo e infine approda a Bistagno. Parcheggia
l'auto subito fuori del paese,e si incammina per una collina che lui conosce bene. Lì c'è ancora
la cascina,ormai piuttosto malridotta e semi-diroccata,che era appartenuta al suo amato-odiato
zio Italo,classe 1911,un zio acquistato:negli anni della sua seconda infanzia Ale soleva passare qui il mese di agosto,tra vigne lussureggianti,canti di cicale,e pomeriggi assolati e afosi;Ale amava soprattutto avventurarsi sui ciliegi che dominavano la vallata,quella della statale per Savona;annidato trai rami più alti,questo strano poeta in erba di 13 anni,magrolino e complessato,amava perdersi in 
fantasie e sogni di futuri grandi amori,futuri successi professionali,future e fastose glorie. Poi la
vita gli aveva riservato ben altro,ma in fondo lui aveva saputo fregarsene. Ora sta percorrendo la stradina tufacea che si arrampica per la collinetta;si intravede la casetta squinternata,parte del tetto è crollata.
Le vigne non ci sono più. I ricordi si affollano turbolenti,decide che la nostalgìa è in fuorigiri e dunque
svicola verso la collinetta a nord-est(come se quei 300 metri di distanza non racchiudessero,anch'essi,
montagne di ricordi) e si inerpica per un sentiero ormai corroso dalle piogge,coperto di roveti e tronchi
marci:ce n'è abbastanza per rischiare qualche brutta caduta;Ale prosegue e arriva ai ruderi di un
vecchio ciabottino(ciabotto,in piemontese=cascinotto,stamberga):rimane solo un cerchio di mattoni,
un piccolo muretto...si ricorda di quando i vecchi contadini collinari ,di pavesiana memoria, lavoravano
intere giornate su questi bricchetti(bricco=poggio,collinetta),dissetandosi con la bottiglia di vino rosso;
ora rammenta una vecchia col foulard  avvolto sui capelli,ecco che accende la legna di vite,i tralci secchi all'interno della stufa,come una artista, che segua minuziosamente il ritmo di un invisibile metronomo, ella attizza le fiamme,regola il tiraggio con gli sportellini della stufetta,pone il pentolino con l'acqua e  in pochi minuti,vi immerge tre uova. Ale ricorda ancora il sapore succulento di quell'uovo sodo,cotto così, su due piedi. Poi rivede il vecchio Giuàni(Giovanni),grosso,tarchiato,le gote rubiconde per il troppo bere quel delizioso dolcetto che soltanto le colline piemontesi del Monferrato sanno creare.
Ora quell'omone antico urla "Hìttaalòoo!! " (=Italo!) e dalla collinetta di sud-ovest mio zio risponde,
con un grido un po' meno  stentoreo. I due parlano,o meglio,urlano in dialetto, "Se che t'foi què ancòi?"
(=che ci fai qui oggi?) Mio zio risponde del suo mosto da curare e Giovanni rilancia sulle sue nocciole
da raccogliere. Ora Ale guarda verso sud,la vallata è bellissima:a sud-est c'è la collinetta con le
rovine della Tinazza (la tinòsa),un tempo fortezza dei Templari;se si guarda bene,più oltre,molto
in lontananza, si intravede la collina successiva:il secondo tetto rosso verso l'alto è la cascina Spiotta,
dove ci fu il conflitto a fuoco tra carabinieri e brigatisti rossi,con la morte di un carabiniere,della
Mara Cagol ed il ferimento grave di altri due militi.Era la prigione improvvisata di Vittorio Vallarino
Gancia,rapito dalle br e poi ritrovato in quella tragica circostanza e liberato. Ale ricorda quel giugno
1975,con gli elicotteri della polizia che perlustravano le colline,ricorda i suoi giri con la bicicross,fino
alla locale caserma dei carabinieri di Acqui Terme, e tutti quei militi in mimetica con i loro mitra.
Ora è lì,tutto solo,tra i resti di un cascinotto che fu,tra erbacce e natura ormai brada. I vigneti non
esistono più,solo la macchia mediterranea che piano piano si rimpadronisce della collina.Prima
di riprendere la via del ritorno si ferma a osservare quel muretto,vi scorge una specie di scritta:
recita così:” Giovanni-Virginia   28 agosto 1947”.Si raccapezza quasi subito: è la data di nozze di
Giovanni,lui aveva costruito quel piccolo rifugio-simil-baita in miniatura-poco più che uno sgabuzzino
con un secondo piano adibito a pagliaio..e lì ci aveva trascorso (chiamiamole così) le sue ferie estive.
con la sua amata consorte,una dolce contadina che lo avrebbe accompagnato tutta la vita in 
quelle fatiche scarsamente premiate.
Squilla il cell,è Alva-diavolo d'un Alva - ce l'ha fatta! Sorride dentro di se e preme il tasto.
“Welà ,ragazzo,pensavi che non ti avrei trovato, eh? ma google maps non scherza! aaawhawhawhawhwa!”

“Alva,sei lì all'imbocco della stradina,vicino al fosso?”
“Si,tu piuttosto,dove caspita sei?!
“Resta lì, devo ritornare giù,ma ci sono tre o quattro spineti e una dozzina di tronchi marci da guadare,quindi se non mi vedi fra 7 minuti vieni a prendermi!”.
“Ok,campione!-“
Alva approfitta della pausa imprevista
e osserva il paesaggio bucolico circostante.E' fortunato,la pioggia recente ha risuscitato un rivoletto
allegro,che scorre lungo il campo est attiguo alla stradina,e il delizioso mormorìo giulivo di
quel ruscelletto lo mette di buon umore. Dopo un po' arriva Ale,i due salgono sulla moto di Alva,
proseguono per un mezzo chilometro,poi scendono verso il fiume Bormida.Passano un ponticello
sulla Bormida di Millesimo,finalmente depurata e limpida,procedono e dopo un chilometro
si fermano.Lasciano la moto,e si incamminano verso una piccola fattoria.
“Ale,questi posti mi piacciono un casino,dunque è qui che venivi a giocare?”
“Qui e in mille altri angoli,sai,con mio fratello era solo in estate che potevamo stare assieme,ora ti mostro una curiosità”.
 I due oltrepassano la linea del casolare,scendono verso il fiume:è la Bormida di Spigno.
“Alva,vedi, quella parte del fiume che è di colore verde scuro,beh,lì è il famoso ZO' dei Gallòn! Zò,da queste parti,vuol dire fossa,buca,è un punto dove il fiume è profondo parecchi metri,c'è chi dice
perfino 8 o 9.E’ il frutto delle esplosioni dei minatori,si,i minatori,più di centocinquanta anni
fa spostarono il corso naturale del fiume,con la dinamite,per far si che l'acqua passasse
lungo le colline e lambisse Bistagno.Fino a qualche anno fa era ancora visibile il vecchio
mulino,alimentato appunto dal Bormida.”
 I due si siedono sull'arena fine della riva.

“Ale,tu ami la Natura,lo si vede a pelle”.
“Si,io ne vado matto. E poi il fiume ha una sua magìa,dicono che le ondine,o ninfe,sono presenti al tramonto,se le evochi con rispetto potrebbero perfino rendersi visibili,ma vanno rispettate perché se no possono diventare cattive.”
“Ale, a volte penso che tu sia un poeta dal cuore di panna...mi ricordi me! awhwahwahwahawah!-“Già, sai che d'estate,la sera,col buio,qui si sentivano le rane? Era un canto meraviglioso,un gracidare sterminato che ti cullava in lontananza ,e ti faceva volare verso suggestioni dal profumo di tiglio.Ora le rane non ci sono quasi più.”

“Tante cose sono cambiate,Ale,forse certi scorci di vita si sono estinti,perduti irrimediabilmente.”
“Non tutto è peggiorato, Alva:devi sapere che qui il fiume era limpido,ma portava il pericolo
mortale di gas e liquidi chimici invisibili.Ora è pulito. Più avanti,alla confluenza con la
bormida di Millesimo era ben visibile l'inquinamento dell'Acna di Cengio;ricordo ancora
il colore rosso nerastro di quella Bormida,tipo fiume Stige dell'inferno dantesco,e se ci tiravi un sasso,il
ribollio  spumoso del fiume faceva risalire strani e sinistri gorghi di colo rosso sangue.
Era spaventoso solo a vedersi. Ora l'Acna è chiusa,il fiume è pulito ed ha riacquistato il 
colore naturale che aveva cento anni fa. Dai,campione,andiamo,che con la tua
moto facciamo in tempo a passare per Roccaverano,ci prendiamo un pezzo di robiola 
dalla fabbrichetta locale e la porti a Carla.”
“Ok,che poi devo passare da mia madre,e gliene porto un po' anche a lei!”
I due si incamminano a ritroso,verso la moto,
Tutt'intorno era verde e quiete e profumo leggero di biancospini.
Non lo sapevano  ancora,ma quel tuffo nei colori e nei ricordi di un tempo,sarebbe restato indelebilmente impresso nei loro spiriti arzilli di geniacci incompresi.

By Ale
                                                                         A&A

mercoledì 23 maggio 2012

L'improvvisata di Ale.


Ale aveva trovato un monolocale in zona ponente,proprio all'estremo lembo di Genova,presso Cornigliano, perchè l'affitto era più accessibile e poi lui amava le periferie.
Quel mercoledì pomeriggio prese i mezzi pubblici e si accinse al solito menosissimo
viaggetto in autobus.Ci sarebbero voluti un 40 minuti per arrivare in zona centro storico dato che 
aveva in mente una improvvisata con Alva a Quezzi, quartiere in cui lui viveva.Verso le 16.30 era a zonzo per i carruggi,provò  un particolare senso di libertà nel vivere i rumori e il viavai della zona,senza pensare a niente nè progettare niente. Caso volle che gli parve di intravedere,in lontananza,la sagoma robusta, di schiena,di Alva ma il tramestìo improvviso di un gruppetto di acnosi adolescenti  gli fece perdere di vista quello che,con una certezza quasi matematica,era Alva.Proseguendo si avvide di una
porta semichiusa,all'interno di un androne,e udì una serie di lamenti discretamente marcati
provenire da là dentro:si avvicinò e rimase un po' perplesso:uno strano figuro stava strisciando
pateticamente verso la luce dell'ingresso,lamentandosi con un assiduo" ohi ohi ohi,ohi ohi ohi.."
che andava facendosi sempre più flebile. Dietro di lui,o meglio,tutto intorno a lui,giacevano
carabattole e ciarparmi di ogni specie,da lattine dell'olio per motori,a bottiglie di plastica,a
stendi biancheria senza più cordine, finanche a secchielli di plastica bucati nel centro e con
infilate alcune lancette di orologio;una specie di cartello in miniatura,formato poster,recava
una strana,e per Ale,del tutto insignificante scritta:" Suspension Machine". Il tipo aveva la  faccia coperta di sangue e bava,gli occhi neri e si intravedevano un paio di spazi vuoti
dove avrebbero dovuto trovarsi due incisivi superiori; Ale di colpo ebbe come un flash,
voltò i tacchi e si allontanò,non prima di aver chiamato un ambulanza,dando  l'indirizzo del
buco nel quale strisciava quel povero umano topoide.Quindi riprese a camminare verso
via Cellini; da lì si sarebbe raccapezzato a naso per raggiungere la fetida tavernetta
nella quale sapeva solersi rintanare il suo amicone. Lo scorse seduto ad un tavolino
sgangherato,nella solita posizione che dà di fronte all'entrata,un po' discosto rispetto al
centro del localino:in pratica adiacente al cesso,la cui porta era malmessa e sempre aperta:
Ale sapeva che Alva si piazzava lì dato che i fetori provenienti dal bagno erano un antidoto
ai rompicoglioni eventuali; Alva era fatto così:quando beveva la sua birretta non voleva
più saperne del Mondo,ivi accluse le innumerevoli rotture di cazzo che lo caratterizzavano.

“Ciao ragazzo!” - esclamò Ale,raggiungendo l'altro.
”Weilà brigante!” - fu la risposta allegra di Alva.
“Volevo vederti,era tempo che non ci raccontiamo cose,e poi non mi hai più detto
se hai trovato quel posto al magazzino del minimarket:novità?”.
 Ale notò le nocche spellate dell'amico e qualche residua macchia di sangue,malamente ripulita:in due secondi ebbe chiara la scena che doveva essersi svolta nel ripostiglio dello sfigato rattiforme.

“No,per quel posto nisba,porca vacca,ma sono in corsa per un lavoro di 4 mesi presso
una casa-famiglia,sai,dovrò probabilmente badare ad un vecchio di 94 anni,forse 
gli dovrò cambiare il pannolone e fargli da mangiare .Dopo se lo riprenderanno i
nipoti immigrati in Argentina.Meglio che niente”
“Si,prendi la palla al balzo,campione, perchè oggi come oggi vale il detto: ‘meglio un ovetto oggi che un pollastro domani’ ; io stesso ho avuto un calo mostruoso nel lavoro e forse dovrò attrezzarmi per cambiare vita,porca miseria ladra  e puttana!”
”Ale,mi fa piacere rivederti,per caso hai più notizie di quell'investimentino che avevamo fatto a Praga,in quella mini-birreria?”
“Alva,se la vuoi sapere tutta mi hanno scritto via mail che ci manderanno un piccolo risarcimento,
diciamo del 3,76 per cento oltre la nostra cifra investita,la somma totale è già stata bonificata sul mio conto; la birreria è fallita o meglio: ha chiuso per via di un giro di prostitute e travestiti che più che altro spacciavano .Il proprietario era proprio un gran coglione,e a quanto pare non è riuscito a pagare per intero il locale. E’ andata di lusso che abbia almeno restituito i soldi ai 4 soci che,compresi noi,lo avevano sostenuto. Ora è al reparto psicolabili dell'Ospedale Maggiore di Praga.”

“Cazzo,Ale,notizie buone mai,eh? Ma come si chiamava già...fammi pensare..”
Alva,lascia fare,hai la memoria corta come un pisello di passero,quello è Enrijev Peschja,ho saputo che aveva già avuto grane con uno strano giro di import- export  di wurstel viennesi bacati. Sembra che soffra di enuresi notturna e abbia il complesso del parrucchino.Appena mi arrivano tutti i soldi ti faccio l'assegno e te lo porto”.

“Ok,demonio,oggi proprio non ho voglia di muovere un dito”.
“Le mani però le hai mosse eccome, eh,cazzaro che non sei altro!”
“In che senso,Ale,erudiscimi,prego!”
 I due  iniziano a ridacchiare
“Nel senso che prima di brevettare un macchinario,mi devi consultare,insulso malandrino!Avevi per le mani un marchingegno da brevetto milionario e te lo sei lasciato scappare!
” Ale,ma dai i numeri?Io..un brevetto milionario?”
“Ovvio,mister muscolo,non capita tutti i giorni di assistere all'evento del secolo, ovverosia al collaudo sperimentale della fantasmagorica, ipertecnologica e indistruttibile
SUSPENSION MACHINE!”
I due ora scoppiano in una fragorosa risata,e per qualche secondo dimenticano le grane,la sfiga e perfino il tanfo stomachevole che,a mo' di nebbia sospesa,attanaglia la postazione  di Alva.
                                  Ale                                                                                         da A&A

domenica 20 maggio 2012

Suspension's Machine.


Alva entrò nel suo solito locale, nel solito girone infernale del quartiere di Quezzi, a Genova, dove da anni viveva.  Ordinò una birra da quattro soldi e si sedette nell’angolo del bar più scuro e umido. Lì era al sicuro: non si sarebbe avvicinato nessuno a causa della vicinanza al cesso al quale mancava la porta di ingresso che avrebbe impedito, almeno in parte, la fuoriuscita dei miasmi intestinali dei tossici che lo usavano come seconda casa.  Era pensieroso. La sua mente andava ripetutamente a quel periodo in cui, con Ale, era solito combinare un perù di casini. Gli mancava, in un certo senso, anche se quella sua tranquillità, acquisita dopo un tot di inchiappettate a basso prezzo, lo rassicurava. Iniziò a sorseggiare l’intruglio con la calma e la flemma di chi nel passato è stato un grande bevitore.
Ad un certo punto, senza che la sua visione periferica lo avesse messo in allarme, si sedette al suo tavolo un tizio: sui 30 anni, alto un po’ meno di lui, magro più di lui, bello più di lui, vestito senz’altro meglio di lui. Alva lo squadrò puntando lo sguardo sulle sopracciglia: era un vecchio trucco che faceva imbestialire gli sbirri quando ti facevano un interrogatorio: mai occhi negli occhi. Evadere lo sguardo in certi frangenti era come parlare continuamente con sarcasmo a causticità. Questione di postura. Il tizio aveva sul grugno un sorriso che avrebbe potuto causargli un sacco di guai.
Stavo quasi per informarlo che se avesse continuato a sorridere in quel modo avrebbe passato una considerevole parte della sua vita in ospedale, quando mi disse:
“ HO 32 ANNI MA QUANDO SONO ENTRATO NELLA MACCHINA NE AVEVO 30!”
Appoggiai il boccale sul tavolo e lo fissai con curiosità. La mia mente stava tentando di decodificare ciò che mi aveva detto. Masticai lentamente in una sorta di massaggio mandibolare.
“ L’HO INVENTATA IO.  L’HO CHIAMATA ‘SUSPENSION’S MACHINE’!”.
Il mio primo pensiero fu quello che, come al solito, i pazzi mi stavano sempre intorno. Era una condanna peggio della galera a vita. Potevo fuggire sulla montagna più alta e desolata del pianeta e mi sarei trovato un pazzo disposto a raccontarmi una vagonata di idiozie.
“ NON E’ STATO DIFFICILE. CI LAVORAVO DA ANNI E MI MANCAVA UN EQUAZIONE ALGEBRICA PER RAGGIUNGERE UN RISULTATO E POI UNA MATTINA: ZAC! ECCOLA LI’, DAVANTI A ME, CIOE’ VOGLIO DIRE, NELLA MIA MENTE, LINDA E PULITA COME APPENA PENSATA!”
“ DEVE ESSERE STATO DIFFICILE, INVECE.”  - risposi con malcelato interesse.
Tentai la strada più semplice e al tempo stesso difficoltosa: assecondarlo.
“ NO,NO,NO…SEMPLICISSIMO! UNA VOLTA CHE CAPISCI COME INTRODURTI ALL’INTERNO DI UN CALCOLO HAI TUTTI I NUMERI AI TUOI PIEDI. L’HO INVENTATA PER I MOMENTI DIFFICILI, QUEI MOMENTI STORICI IN CUI L’UOMO NON PUO’ PIU’ REAGIRE CON LE SUE FORZE E QUINDI , ANZICHE’ VIVERE UN PERIODO STORICO NEGATIVO, LO ‘SALTA’…LO AGGIRA….LO EVITA!”
Alva diede un sorso alla sua birra e, a stento, trattenne un rutto. Non lo fece per educazione ma per una sinapsi che in quel momento aveva seguito il suo schifoso retaggio cattolico secondo cui non è bello digerire davanti a una persona educata che ti sta spiegando quanto il manicomio da cui proviene è orgoglioso di lui.
“ QUESTA MACCHINA, LA SUSPENSION’S MACHINE, APPUNTO, RIESCE A CRISTALLIZZARE I TEMPI IN CUI VIVI PROIETTANDOTI, IN UN LASSO DI TEMPO BREVISSIMO,NELLO STESSO ESATTO PUNTO DA DOVE SEI PARTITO SENZA FARTI PASSARE DAL VIA!” – disse scoppiando in una risata isterica, certo di aver fatto una battuta eccellente.
Alva avrebbe voluto sfragnargli il muso con il boccale della birra che aveva in mano ma gli sovvenne che alcuni anni prima, dopo aver compiuto un gesto del genere nella vecchia Inghilterra, gli era costato un periodo nelle patrie galere non proprio esaltante quindi si limitò a dire:
“ MMMHHHH….DAVVERO INTERESSANTE…E DOVE SI TROVA QUESTA…COME HAI DETTO CHE SI CHIAMA?”
“ SUSPENSION’S MACHINE…E SI TROVA NEL GARAGE DI CASA MIA …NON MOLTO LONTANO DA QUI…”
Alva si alzò e si diresse verso il tipo che nel mentre stava cercando di estrarre dalle sue tasche un fazzoletto di carta. Quando gli fu abbastanza vicino gli sussurrò in un orecchio:
“ VOGLIO VEDERE QUESTA SUSPENSION’S MACHINE!”
Il tipo ,che per convenzione chiameremo “ragazzo”, fece un sorriso così grande che fece pensare ad Alva il fatto che in quel locale una cosa del genere non era mai accaduta. Nessuno, a sua memoria, aveva mai sorriso per qualcosa o qualcuno. In quel posto di merda si erano ritrovati i peggiori spurghi di fogna della città a discutere su come fare una rapina o il modo migliore per derubare una vecchietta inerme.
Il ragazzo gli fece cenno di seguirlo. Alva si incamminò dietro lui. Dopo una scarpinata di mezz’ora in mezzo ai carruggi di Genova entrarono in un portone, poi  infilarono  una porta e il ragazzo accese la luce. In mezzo ad uno stanzone campeggiava in tutta la sua sfolgorante schifezza una accozzaglia di lamiere e vetri e viti e bulloni e pezzi di legno e scarti di fabbrica di plastica e altre mostruosità. Alva non  disse niente ma attese che il ragazzo aprisse la bocca.
“ ECCOLA” LE PIACE? ORA, SE LEI MI PERMETTE, LA FAREI SEDERE NEL CENTRO DELLA SUSPENSION’S MACHINE PER PROIETTARLA IN UN UNIVERSO PARALLELO IL QUALE …”
Alva non lo fece finire. Lo afferrò sotto il collo sollevandolo per circa 12 cm dal suolo. Lo fissò con gli occhi iniettati di sangue. Gli era capitato di esser preso per il culo ma qui si era passata la misura. Il ragazzo era in debito d’aria. Faceva strani suoni e il colore del suo faccione da imbecille aveva virato istantaneamente verso il rosso. Con uno scatto dell’avambraccio lo scaraventò nella sua suspension’s machine che, come previsto, si disintegrò in un attimo. Il ragazzo giaceva tra i resti della sua invenzione quando, ad un certo punto, urlò:
“ HAI DISTRUTTO LA MIA SUSPENSION’S MACHINE! ORA TE LA DOVRAI VEDERE CON ME! FORSE NON TE L’HO DETTO MA SONO CAMPIONE DI KUNG FU!”
Alva non desiderava altro: massacrare un indifeso non era proprio nelle sue corde ma con un campione…beh…le cose cambiavano. Con un gesto chiuse la porta dietro a se, diede un giro di chiave e se la mise in tasca. Il ragazzo, già in posa da Bruce Lee, guardò il gesto con fare interrogativo. Non poteva sapere che in via preventiva Alva gli aveva precluso l’unica via di fuga e che una dura, durissima punizione stava per abbattersi su di lui. Subito dopo il vecchio Alva fece uscire il bastardo sanguinario che era in lui e ridusse il ragazzo in tale maniera che non lo avrebbe riconosciuto nemmeno la sua mamma. Successivamente uscì da quel luogo e si infilò in un altro bar lì accanto. Si sedette e ordinò un’altra birra. Accanto a lui due tizi discutevano di calcio. Si guardò le mani: aveva tutte le nocche sbucciate e sangue rappreso sulle braccia. La cameriera si avvicinò e, dopo aver posato il bicchiere sul tavolo, esclamò:
“ SIGNORE, LEI E’ FERITO! VUOLE CHE CHIAMI UN’AMBULANZA?”
Alva chiese:
“ HA MAI SENTITO PARLARE DELLA SUSPENSION’S MACHINE?”
“ NO, MAI!”  - rispose lei di getto, continuando a fissargli le mani.
“ MEGLIO COSI’…SI, CREDO CHE SIA MEGLIO COSI’…” -  bisbigliò Alva.
La cameriera se ne andò. I due tizi che erano accanto a lui dissero:
“ UN ALTRO FOTTUTO PAZZO! “
Alva rise. Tutto poteva essere, eccetto un pazzo. Però quella sera un po’ lo era stato. Aveva creduto per un attimo che la Suspension’s Machine potesse esistere veramente.
Maledetto mondo. Ci era cascato di nuovo.
                                                                                                                                     Alva.
   

sabato 19 maggio 2012

Io e Julien Roissy.


Nacque a Troyes,nel nord della Francia,
e come tutti i francesi
era orgoglioso della sua terra.

All’età di 23 anni
salì per la prima volta su un camion,

trasportava legname

da Troyes a Reims

era il 1964.

Io avevo un anno.


Dopo 10 anni di massacrante lavoro
si era fatto una famiglia,

aveva sposato una deliziosa parigina
di nome Nicol ed erano felici.


Io avevo 11 anni.


I miei genitori erano già divorziati da 5.


Dopo 12 anni Julien e Nicol
si trasferirono a Dijon
con il loro figlio di 8.

Julien non portava più legname,
ma aveva chiesto di fare tratte più lunghe
per guadagnare di più.

Andava avanti e indietro da Marsiglia a Dijon
e caricava qualunque cosa capitasse.

Io avevo 23 anni, appena terminato gli studi e una gran voglia di viaggiare.                                       


Salii sul camion nel maggio del 1986.
Iniziai a fare la linea Genova - Marsiglia.

I primi tempi furono terribili, ma tenni duro.

Trascorsero ancora 10 anni.

Julien si ammalò di Alzheimer
e dovette smettere di viaggiare.

Aveva guadagnato abbastanza                                                            
e alla sua famiglia non mancava nulla.


Io, invece, cominciai la vita dura.
Milano-Liverpool –Milano  due volte la settimana.

Mi tiravo le orecchie per non addormentarmi,
e  mordevo le labbra fino a farle sanguinare.


Due anni dopo (era il 1998)
la malattia di Julien degenerò a tal punto
che la moglie Nicol, d’accordo con il figlio,
decise di metterlo in una casa di cura.                                                           
                                                                                                                               
Era una simpatica villetta
appena fuori Dijon;
dalle finestre, in lontananza, si poteva scorgere l’autostrada
e, durante le ore notturne, quando i rumori tutt’intorno si affievolivano,
giungeva il sibilo delle auto e il rombo dei camion.

A Julien pareva piacere quel posto;
soprattutto di notte
quando trascorreva lunghe ore
con lo sguardo verso l’autostrada.


Il 5 Luglio del 2000
l’infermiera entrò nella camera di Julien alle 20.30
e la trovò vuota.

Iniziarono le ricerche: invano.

Alle 22.30, dopo due ore di cammino,
Julien scavalcò il guard-rail
di quel tratto di autostrada
che da due anni vedeva in lontananza.

Aveva indosso una camicia da notte bianca
ed era scalzo.

Si piazzò proprio in mezzo
alla corsia di marcia
con le braccia alzate
come a voler fermare
chiunque gli si fosse parato davanti.


Ventidue minuti dopo
arrivò un autotreno.

L’autista lo vide all’ultimo momento.
Cercò di frenare,
ma lo prese in pieno.


Julien fece una morte orribile.
E se la procurò da ciò che aveva guidato
per così tanti anni: un camion.


Io guidavo quel camion.

                                                                               Alva.

Una parola.


E’ una parola. 
Semplice da pronunciare. 
Tutti possono compiere questo sforzo. 
Non ci sarà mai nessuno che non sarà felice nel sentirselo dire o infelice nel dirlo.
E’ solo una parola ma può aprire il cuore di chiunque o chiuderlo per sempre.
A volte non significa nulla. 
Altre dice tutto o quasi. 
Rende l’essere umano degno di sé stesso e riempie di sgomento chi la dignità non l’ha mai conosciuta. Ci differenzia dagli stupidi poiché è merito loro se sappiamo di non esserlo.
Ci fa sentire saggi quando la si dice nonostante tutto.
Sono sei lettere: tre vocali e tre consonanti.
C’è tutta la storia del mondo nel loro interno.
C’è tutta la riconoscenza per qualcosa di bello che si è ricevuto.

E’ per questo che voglio dirti: GRAZIE!




                                  Alvaro.

Dio, dove sei?


Ho cercato Dio ovunque.
In posti dannatamente incredibili e in altri chiaramente ovvi.
Ma niente!
Non lo trovavo.

Così, verso la fine degli anni settanta,
decisi di andarlo a cercare nel continente indiano pensando:

“ Se Dio è per i poveri e con i poveri, quale posto meglio dell’India?”.

E ci andai. Per diverse volte.

La attraversai in lungo e in largo,
mangiando , a volte, cibo disgustoso
e dormendo in posti così orrendi
da far rabbrividire il Demonio.

Incontrai Guru e Santoni
o presunti tali
e tutti dispensavano parole,
saggezza e filosofia spicciola.

Parlai con pazzi e derelitti
e ognuno di loro
aveva la soluzione in pugno.

Ma di Dio nemmeno l’ombra!

Dove si era rifugiato?

Trascorsi notti insonni.
Per i pensieri, per il caldo e le zanzare.

Fui morsicato da uno scorpione e rimasi in coma due giorni.

Quando mi svegliai qualcuno gridò: - MIRACOLO! -

Io sorrisi. Ma ormai non credevo più a quel genere di cose.

Avevo incubi
in cui
ero sempre ad un passo
dal parlare con Dio.

Così,
una mattina di Marzo,
in un caldo opprimente
me ne andai.

Smisi di cercarlo
e decisi
che se mai un giorno
ci fossimo incontrati
le prime parole
avrebbe dovuto dirle Lui.

Ritornai alla mia vita
e alla mia mediocrità
lasciando che il tempo
scivolasse dietro a me.

Poi
un giorno
dopo molto tempo
in un ricovero per disabili
conobbi Giovanni
un paraplegico
pieno di vita
anche se a 32 anni
quella vita lo aveva tradito.

Ora ne aveva 77
ed era un pozzo di saggezza.

Durante uno dei nostri numerosi incontri
gli confidai
della mia vana ricerca, negli anni passati, di Dio.

Mi guardò a lungo e in silenzio poi disse:

- Ti sembra un mondo dove qualcuno o qualcosa abbia voglia di essere Dio? -

Tacqui.

- Guarda me - disse - sono 45 anni che sto su questa maledetta sedia a rotelle. Ho perduto la mia famiglia, il lavoro e la mia vita! L’unico passatempo che ho ora è quello di parlare con te, mentre attendo la morte. -

Continuai a tacere, con lo sguardo fisso al pavimento.

- DIO SIAMO NOI! - urlò - SE NON MI FOSSI TUFFATO NELL’ACQUA BASSA, ORA IO E TE STAREMMO PASSEGGIANDO! LO DECISI DI FARE IO, NON DIO O CHI PER LUI! -

Poi, a voce bassa, continuò:

- Le conseguenze delle nostre azioni le decidiamo noi; decidiamo cosa vogliamo essere, cosa vogliamo fare, dove vogliamo andare. -

Lo ascoltavo mentre fuori iniziava a piovere.

- Siamo liberi di ucciderci o di uccidere, di costruire o distruggere! Nessuno mi darà più l’uso delle gambe perché non esiste altro Dio all’infuori di noi stessi! - concluse.

Poi si girò
e con forti spinte delle sue braccia sulle ruote, si allontanò.

Rimasi lì
per qualche minuto ancora
mentre fuori la pioggia
lavava il mondo.

Dopo un po’ me ne andai anch’io.

Non lo rividi mai più.

Morì la notte stessa
per un infarto
o qualcosa del genere.

Di Lui non mi rimangono
che quelle parole
che ho appena scritto
e una sua foto.

Il suo corpo è al sicuro.
Della sua anima non so chi se ne occuperà.
Ma mai come ora, io spero che Giovanni si sia sbagliato.
                                                                                                                               
                                                                                                  Alva.

Danza.



Io ballo senza musica da quando sono nato.
Sulle note stridenti della mia esistenza che,
giorno dopo giorno,
passo dopo passo,
mi dicono che vivo.

E' un ballo faticoso e difficile
dove non c'è musica
ma solo tempo.

E non sei tu che tieni il tempo
ma è lui che tiene te.

La mia danza è la mia vita.

E' così che ballo: senza musica e senza applausi.

E' una strana danza questa.

Ma è così.

Ed è mia.

                                                                  Alva.

Musica.


Mi sei entrata dentro,
ti ho ingoiata come si fa con un insetto,
o con una pillola
in modo distratto,
consapevole.
E’ stato piacevole abbracciarti, piangendo,
mentre le tue vibrazioni scuotevano la mia anima dannata.
Eri lì
intorno a me
e le mie lacrime
ti attraversavano.
Come raggi di buio
nell’eterna luce.
Come rami di gelso
in controluce
in pieno giugno.
Come sangue
sul marmo lucido dell’eternità.
Ho ballato con te
e la mia mente era triste.
Ho abbracciato
la tua voce
e ho capito che nulla
avrebbe sfiorato
la tua poesia.
Continuo a piangere
certo che nulla
potrà mai cambiare
le carte in tavola.
Musica.
Parole.
Tutto e niente.
Come un cane mi sdraio.
Musica.
Il sonno mi assale.
Chiudo gli occhi.
La vita è adesso.
Non so nulla del domani.
Musica. Solo musica. E io che mi addormento.
Dentro di te.           

Alva.           

Count down.


Ha oltrepassato la soglia dei 50 anni
ed è ancora piacevole allo sguardo;
spende una fortuna in cosmetici per la pelle
cercando di dimostrarne 40;
indossa solo vestiti firmati
che le fasciano il corpo
e la stringono
dove è più necessario
come ne avesse 30;
è pervasa da fantasie sessuali
e pulsioni erotiche
come una ragazza di 20;
si commuove a tutte le ricorrenze
e ride sguaiatamente guardando i cartoni animati
come una bimba di 10.
Ogni volta che l’incontro
mi fa sempre una grande tenerezza;
la osservo nei suoi movimenti elastici,
nei suoi capelli tinti,
nei suoi denti finti
che brillano anche al buio
e capisco che ha paura.
Paura di morire.
E’come se tentasse di ingannare il tempo
con tutti quei diversivi;
e tutte le volte
dopo avermi spiegato
la sua intricata e preziosa vita
guarda l’orologio ed esclama:
“DIO MIO, E’ TARDISSIMO!”
Subito dopo mi saluta.
Io resto sempre qualche attimo a guardarla
fino a quando scompare in qualche viottolo.
Poi me ne vado anch’io,
trascinando la mia disgustosa persona altrove
mentre il tempo
con una cinica precisione
continua la sua inarrestabile corsa
attraverso i secoli.


                                                                                         Alva.