VOTAMI!

web sito ImageChef Custom Images "Ormai quasi giunto al termine della mia vita di peccatore, mentre declino canuto insieme al mondo, mi accingo a lasciare su questo blog testimonianza degli eventi a cui mi accadde, mi accade e mi accadrà di assistere durante il periglioso viaggio che mi separa dalla tomba. E Dio mi conceda la grazia di essere testimone trasparente e cronista fedele di quanto ho visto. Possa la mia mano non tremare mentre mi accingo a scrivere certi eventi e ricordare l'inquietudine sottile che opprime l'animo mio mentre mi collego quotidianamente a questo blog poiché oggi ho la certezza che sto rettamente interpretando gli indubitabili presagi ai quali, da quando nacqui, stoltamente, non diedi peso ."

venerdì 13 dicembre 2013

La danza della merda.

Io sono un Operatore Socio Sanitario, lavoro in un istituto psichiatrico e ho visto cose che a voi, normali esseri umani, (non so se scrivere “per fortuna” o “ purtroppo”) è stato negato di vedere e quello che mi accingo a raccontarvi è accaduto in un Centro di Riabilitazione Psichiatrica non molto lontano da Genova di cui è pietoso e saggio tacerne anche il nome.

Era una giornata tranquilla. Il solito bastardo psicopatico aveva già distrutto due estintori, tre sedie in plastica dura e lo sportello di protezione del dispositivo antincendio. Erano le 9.30 e prima di sera la direzione avrebbe dovuto mettere a bilancio almeno 600 euro di disastri. Le sorelle schizofreniche stavano dando testate contro il muro appena tinteggiato e, nell’esatto punto in cui la loro fronte incontrava il cemento, una macchia rossa si stava allargando a vista d’occhio. Le guardavo distrattamente mentre un autistico si masturbava accanto a me con l’uccello infilato in una di quelle cerate per isolare il materasso dall’urina. Poco più in là un ciccione con in mano due radioline senza pile e l’auricolare infilato negli orecchi stava ascoltando una beata minchia di niente con estremo coinvolgimento. Ogni tanto chiudeva gli occhi come se fosse immerso in un’estasiante versione del Bolero di Ravel diretta da Muti. Mi veniva  da ridere al pensiero di come questi “ errori biologici” potessero ancora affascinarmi tanto. La palestra ( così veniva chiamato il luogo dove i derelitti trascorrevano la maggior parte della loro giornata) non era altro che un capannone fatiscente in plastica con tetto in alluminio riciclato, riscaldato da un ventilatore industriale da soffitto che tentava di mantenere il microclima ad una temperatura di poco superiore all’accettabile fisiologico.  Qualcuno dormiva steso su uno di quei tappeti imbottiti su cui ci si dovrebbero fare le capriole; qualcun altro leccava avidamente il pavimento costituito da parquet di scadente fattura; alcuni ululavano rumorosamente in una tale sintonia che, a volte, si sarebbe riusciti a cucirci sopra l’aria di un opera ambientata all’inferno o giù di lì.

Mentre il mio pensiero cercava affannosamente di salire sul primo aereo diretto dall’altra parte del mondo senza conoscerne la destinazione intravedo un ragazzo nudo in fondo alla palestra. Acuisco lo sguardo e tento di identificare il soggetto: razza bianca, altezza 1.80, incredibilmente peloso e pene in erezione. Nota di costume: ride e ha gli occhi strabuzzati come se a guardarmi lo diverta. E’ Giosuè, il bevitore instancabile di acqua. Egli può berne anche 10 litri al giorno e trascorrerlo sopra il water a pisciare. Molte volte non riesce ad arrivarci in tempo per assecondare il suo bisogno e così inonda se stesso. Ho scritto se stesso perché è proprio ciò che fa: tutti i suoi indumenti, dalle scarpe alla t-shirts, dopo la super minzione , sono zuppi. Mi avvicino a Giosuè ma sono conscio che è un povero idiota fin dalla nascita:da bambino usava sfrucugliarsi l'ano con le sue dita salvo poi odorarne l'acre fetore. Sua madre era una povera zoppa,madre di otto figli,l'ultimo dei quali,a motivo di un parto soffertissimo,le aveva lasciato come ricordino perpetuo un'anca malmessa, causa evidente della sua attuale situazione di sciancata. Giosuè ha fatto ingresso nella casa di riabilitazione mentale( tradotto:manicomio) diversi anni fa; l'hanno trovato infinite volte nell'atto insolito di bere la sua stessa urina,normalmente tagliata con sputacchi e caccole di naso. Il dottore diceva che sarebbe stato recuperabile mediante lunghi percorsi psicoanalitici:secondo questo luminare della scienza psichiatrica sarebbe sufficiente percorrere a ritroso i vissuti di ciascun paziente,anche attraverso l'ipnosi,per ristabilire un punto di contatto tra cuore e mente. Alva
in verità ritiene che difficilmente Giosuè riuscirà mai a stabilire un eventuale contatto tra cervello e buco del culo.
Giosuè è anche un  mangiatore compulsivo. Il problema è che egli ha inventato un suo ghiribizzo psicotico piuttosto originale: ogni giorno,verso le tre di pomeriggio,si infila furtivamente nell'infermeria dell’istituto,approfittando delle chattate interminabili allo smartphone di due infermiere sottraendo ogni volta un'intera scatoletta di perette di glicerina per  poi  inocularsele nel retto,una dietro l'altra.  Il risultato? Nel volgere di pochi minuti, una sorta di tornado all’interno delle sue budella  lo pone in preda ad un diabolico esibizionismo CHENON PUO' ASSOLUTAMENTE NON ESIBIRE. Ecco che correndo come un pazzo lungo i lati della palestra,applaudito dai degenti picchiatelli, e rincorso dagli infermieri più robusti, ,inizia a spruzzare merda dal suo culo  emorroidico ( dovete sapere che Giosuè detiene il record non invidiabile di ben sei,dicesi 6, grappoli di emorroidi color polpo morto che gli si estroflettono dall'orifizio anale) e i suoi schizzi virulenti seguono traiettorie imprevedibili.  Ma il meglio,Giosuè il pazzo,lo offre appena giunge al luogo da lui estemporaneamente selezionato. Ieri per esempio è salito sul termosifone enorme del refettorio e  ha iniziato a ballare una specie di tarantella interamente nudo, mentre il suo ritmico saltellare imponeva al suo membro un'oscillazione verticale rapidissima,con leggero rumorino causato dall'urtare del prepuzio, or sulla sacca scrotale or sull'ombelico,cosicché  Giosuè addiviene al suo vero scopo: inzaccherare di feci chiunque si trovi nelle sue vicinanze.
Danzando egli alterna, ai guizzi verticali, una lesta torsione del busto,con conseguente effetto-mitraglia delle sue deiezioni, sparate a salva di cannone dal suo retto iperimperettato. Alva e altri infelici infermieri e operatori accorrono e spesso non possono non subire un coatto e  odioso scontro con le saette merdose del tragico Giosuè. Di tutto questo Alva  se ne fa una ragione,e,solitamente, finito il turno, va a farsi un giro in un super mercato per mischiarsi alla folla lasciandosi travolgere dalle becere discussioni delle massaie liguri le cui elucubrazioni vertono, in questo periodo, quasi esclusivamente, sulle tecniche di preparazione della cena di natale. Sembrerebbe proprio quella  la normalità ma Alva sa che le cose non stanno così e che l'inferno non è poi così lontano da loro. 

                                                                   A&A

mercoledì 11 dicembre 2013

In memoria di un poeta sconosciuto quindi a me stesso.

Ho fatto balli intorno
con i miei muscoli potenti
bagnandomi la pelle
nelle raffiche del nord,
muovendomi avvolto dalla nebbia
con diversa gloria e gran coraggio.
Oh, certo: ho molto mentito!
Ma mai ho contemplato la strage del nemico.
E’ più bella la conquista
di un guerriero che cade senza vita
poichè anche sottoterra non si disperde
la fama di quell’uomo.
Egli diventa senza morte,
vivendo
da eroe
in piena resistenza di battaglia.
Lo sai che Dio non dà sanzioni?
Ma beato è chi ricuce i suoi giorni senza pianto.
Io non ho mai avuto scudo,
né nastri d’oro,
né ragazze d’oriente con occhi vellutati.
Sul mare limitato della mia esistenza
ho affondato il pianto del mio cuore anonimo e vile,
che fiorì
in benessere e abbondanza
insieme ad un assurdo patrimonio di miseria.
Ma ora che non sono più parte di questo mondo,
potrai avvertire la mia tristezza immensa
come il sapore in bocca di polistirolo espanso
poiché non  sapendo vivere altra vita se non questa
ad oggi
non ho saputo far altro che morire.


                                                                                                     Alva







venerdì 22 novembre 2013

Il natale dei normali esseri umani.

                                          


Alva vede arrivare Ale e fa per dire qualcosa ma Ale parte per la tangente urlando: “BUON NATALE!”e  con la sua solita risata del tipo  ahwhahwhawhahahw   capisco che si è di nuovo scolato un mezzo litro di sambuca con birra , intruglio saraceno di provenienza lidleiana che si incastonerà in maniera criminale tra la sua cistifellea e il fegato, lato sud, innescando un maledetto e sudicio cancro che lo scaraventerà due metri sotto terra alla velocità della luce. Non dobbiamo lamentarci: sta succedendo quello per cui abbiamo peccato poichè pare che lo stato  italiano non digerisca affatto che due persone trafughino cadaveri solo per farsi delle macabre foto di gruppo ma lo stato non può sapere che quelle foto a noi piacciono. E poi sono frutto di fatica incredibile perché scavare a mano nei cimiteri due fosse per notte ed estrarre bare vecchie di 20/30 anni non è cosa da tutti e poi aprirle ci vuole fegato e anche stomaco e noi li abbiamo e così lo guardo come si guarda un incidente stradale che sta accadendo dietro la tua macchina: dallo specchietto retrovisore che per l’occasione è rappresentato da un pezzo di specchio a forma della regione liguria con un pezzetto di emilia romagna appeso  alla parete con un chiodo arrugginito deformato a mò di elle e dentro di me inizia a salire la pressione perché so che quel drugo ubriaco è foriero di una qualche nuova tortura medioevale che ci farà precipitare per l’ennesima volta nella sensazione fantastica ed appagante che solo il dolore altrui può dare ma avevo promesso a me stesso di non partecipare più a certe liturgie infernali perché  so che i cattivi sono i primi ad andare all’inferno mentre i  buoni arrivano con un certo ritardo solo dopo aver metabolizzato che  in fondo in fondo nel paradiso c’è un clima meraviglioso mentre qui si può godere di un ottima compagnia e d’un tratto comprendo che ho detto “mentre qui” come a voler paragonare il presente con l’inferno. Immediatamente comprendo che l’intelligenza è per gli stupidi perché solo alcuni esseri superiori improvvisano ed è così che mi ritrovo ad improvvisare aprendo la porta di ingresso e dicendo alla sbirraglia esterna che ha preso d’assedio la casa che vogliamo arrenderci anche se Ale, con una smorfia  tarda un pelo a capire la manovra ma quasi immediatamente sorride e come un grande attore inizia a parlare come una checca impaurita urlando che vuole uscire e che si sarebbe arreso così il gruppetto di piedipiatti all’esterno decidono di entrare sparando cazzate tipo STIAMO ENTRANDO o USCITE CON LE MANI ALZATE o SE FATE I BRAVI NESSUNO SI FARA’ DEL MALE ma io ed Ale, come due piccoli Fonzie siamo tranquilli, calmi e decisi , purtroppo per loro, a far del male e li vediamo entrare tra mille cautele ma la lucente falce della morte , ancora una volta, ha decretato le regole del gioco e così grazie ad una botola costruita in tempo di guerra dove i suoi nonni si riparavano dalle bombe, la piccola task force sbirresca precipita in un pozzo sotto il pavimento profondo nove metri con un tonfo sordo seguito da un silenzio anche se dopo un certo tot di minuti  qualche fortunato con solo una decina di osse fratturate inizia a lamentarsi e Ale indispettito mi dice che fare e io faccio spallucce ma poi vedo la tanica di benzina delle emergenze e con uno sguardo chiedo consenso anche se so che Ale la pensa come me ma d’altronde sono in casa sua e così vuoto i 5 litri di benza nel buco e lancio un cerino e il colpo dell’accensione crea uno spostamento d’aria così potente da far staccare il lampadario secolare dal soffitto che con un gran tonfo raggiunge il pavimento.  Ale è attonito: lui , il custode di quel luogo non ha saputo proteggerlo. Siamo tutti sudati. All’esterno un elicottero sorvola la casa e sappiamo che da li a non molto saremo tutti e due all’obitorio con una targhetta appesa all’ alluce di un piede.  Nonostante tutto ci sediamo ad un tavolo di noce del 1600. Su una rastrelliera di metallo ci sono due bottiglie di Champagne datate 1839. Ale attendeva un momento speciale per stapparle ed è capitato proprio oggi: il natale dei normali esseri umani .Ne afferra una la apre e me la porge poi apre l’altra e la avvicina con delicatezza alla mia fino a sentire TLING!  come in un brindisi e  poi iniziamo a bere alla canna ed è più quello che esce dalla bocca di quello che ci entra nello stomaco ma non importa: siamo di nuovo io e lui. I custodi di un nuovo inferno: il nostro.

                                                                                                                                                Alva

venerdì 15 novembre 2013

Tracotanza urbana.

E' strano, ora, pensare a te,
mentre cammino sul mio personale asfalto.
Ho parlato,
ho letto,
ho ascoltato
& ho perfino pianto
pensando come a volte si soffre
sognando di nuovo la vita
come una corsia preferenziale
verso l'Apocalisse.
Mentre cammino
mi volto a guardare
le centinaia di finestre negli edifici,
luoghi di povertà
che io conosco
& tu conosci.
Non facciamo più parte
di questo sistema.
Abbiamo finito con questo secolo.
Finito col sentiero che lo attraversa.
Non abbiamo più sorelle,
nè fratelli,
nè segreti.
Siamo astratti.
Con poche immagini.
Avevamo giurato di illuminare il genere umano
ma ci siamo ritrovati a fissare l'angolo di una finestra
sperando di intravedere una poiana su un albero
o un ramo pieno di civette.
Ci hanno gettato addosso i germi del veleno.
Ci hanno impedito di prenderci la nostra tazza di caffèlatte mattutina.
E poi
a 12 anni
ci hanno insegnato a ridere degli idioti
quelli con occhi sognanti e corpi rachitici.
Alla sera
andavamo a letto esausti
ignorando il dolore
che proveniva dal profondo delle nostri carni.
Valanghe mortali di profanate montagne.
Ricordo ancora quando mi svegliai alle 3 del mattino
e mi trovai con la mano tesa
a chiedere la carità al buio.
Pensai a come cercare di essere posseduto da me
ma ero nudo,
con un corpo pieno di cicatrici
come orrende e spesse cerniere lampo.
Abitavo in sudici appartamenti
e in stanze buie
mi mangiavo le unghie
e la carne intorno ad esse
e ascoltavo la mia vicina
che urlava di piacere
nell'ennesimo coito
del suo ennesimo amante.
Avrei voluto essere glorificato
ma il mio occhio era sepolto
e il mio grido volava intorno all'universo.
Lascio qui il mio pensiero istantaneo
più veloce della luce
e per tutto il resto
torno a dormire nel mio letto buio sulla terra.

                                                                                          Alva.



sabato 2 novembre 2013

Uno strappo alla regola.

Non devo starmene chiuso in casa
con l'umore che mi ritrovo.
Intorno a me è tutto pericoloso
come la discesa di un ghiacciaio.
Faccio quello che faccio sempre:
affogo il mio dolore nel vino.
Penso ad altre cose
nel tentativo di ricolonizzare la mia mente
atrofizzata e surriscaldata
in piena post alienazione.
Seduto su un cadavere di sedia
mi rilasso.
Giù a mare un auto della polìs ulula
mentre, io, con un tremito,
tento un ritorno alla realtà.
L'atmosfera mi prende male
per cui esco.
Vado a piedi fino a Chiavari
e ragiono che malgrado l'ideologia
integralista che ho adottato
sono sempre e comunque un bravo figliolo
con un buon odore di sapone di Aleppo.
E' certo che gli anni trasformano la maggior
parte delle bambine in donne ma gli uomini no:
non smettono mai completamente di essere bambini.
E' questo che mi strugge, l'intrinseca capacità di grufolare nell'idiozia e nell'immaturità, una virtù che mi sforzo sempre di imitare.
Sono di sicuro in fase -no e quindi vulnerabile.
Pensavo che il tempo fosse bello che scaduto.
Però parlare parlo e, sotto la brutalità della scimmia alcolica,
trovo duro rimanere concentrato.
Certe volte bisogna lottare di brutto per non conoscere una persona.
Un senso nauseante di perdita mi stagna addosso.
E' facile amare,
e anche odiare, se è per questo, qualcuno in sua assenza; qualcuno che non conosciamo davvero; e io sono un esperto dell'argomento.
Il problema più grosso è l'altra parte.

Mi fermo e vomito.
Svuoto il mio essere.
Inizia a piovere forte.
Devo tornare a casa.
Le forze mi stanno abbandonando.
Ho fatto tutte le cose che non ho mai fatto.
Sto tentando di essere migliore.
Sto tentando di fare la cosa giusta e di sistemare tutto.
Prima non avevo mai pianto sul serio.
Avevo imparato a non piangere.
Stasera, però, mi concedo uno strappo alla regola.
Nel buio, dietro la curva, non mi vedrà nessuno.

                                                                                        Alvaro.


sabato 28 settembre 2013

Parole non dette.

L’uomo era rimasto fermo per un tempo indefinito, immobile, granitico, quasi che fosse regredito ai tempi remoti della sua personale esistenza quando ancora giocava a “Uno-due-tre- stella”.
La sua figura, stretta nel giaccone Moncler, si stagliava massiccia, sullo spoglio sky-line  costituito dalle poche case fronte mare. Era rimasto a lungo pensieroso, lo sguardo fisso in un punto indefinito, là, sulle onde grigio-argento di quella triste giornata di fine Novembre. Improvvisamente si era scosso, come animato da un’idea repentina: aveva estratto il portafogli dalla tasca, lo aveva aperto e, poi, come rassicurato alla vista della mazzetta di banconote verdi al suo interno, lo aveva riposto con cura, avviandosi verso un’ Audi nera, scintillante. Stava percorrendo la via, un largo stradone diritto, che costeggiando il mare, dalla periferia portava alla città. Al lato monte, a intervalli di una cinquantina di metri una dall’altra, le prostitute erano già uscite, sotto la luce gialla dei lampioni che iniziavano ad accendersi, ed esponevano i loro giovani corpi agli sguardi concupiscenti degli automobilisti di passaggio ma anche ai primi rigori dell’inverno. Erano tutte belle, fresche, merce selezionata per il marciapiede esclusivo sopra il quale erano sfornate ogni sera: alte, slanciate, alcune poco più che adolescenti; i dati somatici le registravano come donne provenienti dall’est anche se non mancava qualche nota contrastante  costituita da alcune ragazze di colore. Le mani in tasca, battevano i piedi fasciati da scarpe con tacchi vertiginosi sull’asfalto, scrutando con sguardo sfrontato i possibili clienti.
L’Audi scura procedeva lentamente: l’uomo alla guida si era abbassato, protendendosi verso il finestrino del viaggiatore, per meglio valutare la mercanzia.
Aveva percorso quasi tutto il vialone quando improvvisamente si fermò davanti a una biondina, poco appariscente, vestita in maniera semplice, con un paio di jeans e una giacca di lana blu. Niente di esagerato, nemmeno il trucco. Era quasi fuori luogo nella sua normalità che le conferiva l’aria di “ragazza della porta accanto”. Per lei, poteva essere l’arma vincente per attirare i timidi o i pavidi, quelli che a casa avevano lasciato una donna dominante e che erano messi in fuga dall’aggressività e dalla volgarità delle sue colleghe.
-Sali su, dai!- l’uomo le fece cenno e la ragazza si fiondò in un amen dentro l’abitacolo caldo, sfregandosi le mani livide, grata di quella pausa dal freddo esterno.
-Sono 150 completo, 100 solo con bocca- buttò lì senza neppure guardarlo, in un italiano approssimativo.
-Te ne do 500 ora e 500 fra tre ore, se fai una cosa particolare per me-
-Tu non capisci: io non fare cose strane come manette, strette a gola, fruste, o fatto con altri, no, no, io non fare questo-
- Infatti ti chiedo di fare la “normale” più di quanto tu faccia ogni sera- e le aveva messo in mano 500 euro.
La ragazza dapprima allarmata si era tranquillizzata: aveva rigirato per un attimo le banconote fra mani prima di riporle nella borsa e poi aveva iniziato a togliersi la giacca.
L’uomo la fermò con un gesto.
-Ti voglio vestita. Come ti chiami?-
-Snejana- rispose confusa, la donna.
-Snejana è un nome complicato. Ti chiamerai Nina e dovrai essere molto- e l’uomo ripeté, modulando la voce - MOLTO gentile, con la persona che andremo a prendere ora. Quando ti parlerà, dovrai fingere di non capire una parola d’italiano e dovrai rispondere solo nella tua lingua. Capito?
-Ti ho detto che non faccio a tre, né con uomo, né con donna. Capito tu?-
-Appunto. Devi solo fare ciò che ti ho chiesto. Ok?-
La ragazza fece un cenno di assenso, proprio mentre l’auto imboccava il vialetto d’accesso a una villa stile Liberty, proprio nel centro città. L’uomo scese, la fece passare sul sedile posteriore, poi si diresse verso la casa: aprì con le chiavi il portone d’ingresso e fu fagocitato dal buio della casa. Riapparve dopo una ventina di minuti al braccio di un’anziana signora, dall’aspetto fragile come di carta velina. Anche la voce era tremula quando mise la testa candida nell’abitacolo e salutò la ragazza.
-Ciao Nina. Mio figlio mi ha parlato tanto di te: peccato non averti potuto conoscere prima.-
E aveva attaccato con una serie di complimenti , mentre si accomodava al’interno dell’auto e ripartivano,su quanto era bella e quanto fosse stata brava a prendersi cura del figlio adesso che lei non poteva fare più niente per lui, e peccato che non si potevano comprendere data la diversa provenienza.
Snesjana aveva eseguito gli ordini: aveva pronunciato poche parole, tutte rigorosamente nella sua lingua d'origine, ed era stata gentile e premurosa accompagnando la donna fino all’ingresso della clinica,davanti alla quale, dopo mezz’ora di strada si erano fermati.
Poi aveva atteso in auto, sprofondata nei sedili di pelle, al buio, respirando l’odore del lusso.
Dopo circa un’ora, l’uomo era tornato e si era rimesso alla guida senza una parola. Solo quando erano ormai molto vicini al luogo dove si erano incontrati, l’uomo aprì bocca:
-E’ molto malata, ne avrà si e no per un mese. Mi voleva sapere felice, con una donna accanto.-
-Ma tu sei bello, ancora giovane, ricco. Potevi avere tutte donne che volevi. Perché tu preso me?-
Dall’uomo nessuna risposta.
Avrebbe potuto spiegare che lui era sì felice, però con una “donna” che si chiamava Sergio ed era in realtà un uomo. Ma non lo fece.
Mise in mano alla ragazza gli altri 500 euro e la scaricò, là dove l’aveva raccolta.
-Buona fortuna Nina anzi, Snesjana. Grazie.-
Un colpo d’acceleratore e l’auto era già lontana. La ragazza la guardò allontanarsi.
Non le sarebbe dispiaciuto essere Nina, pensò:si sarebbe appropriata di quella normalità il cui sapore aveva appena percepito per due ore e ventitré minuti della sua vita e che purtroppo,lei, possedeva solo nell’aspetto.


                                                                                                         Alvaro.

domenica 15 settembre 2013

Se.

Se, avendo il terrore di esser sepolto vivo,  decidi di farti cremare ma ti svegli nella bara dentro il forno crematorio;

Se, in una gelateria, non hai mai voluto comprare la Coppa del Nonno per rispetto all'anzianità;

Se hai mandato tutti a quel paese e ora vivi in una città deserta;

Se non hai mai schiacciato un pisolino  perchè sei un brontolone;

Se tutto quello che dici ha un senso ma non ha senso se lo dici;

Se, quando sali su un aereo e chiedi alla hostess se il volo arriverà in orario, ma lei ti risponde al condizionale;

Se  stai attraversando un fiume in secca a piedi in una vallata, ma a monte qualcuno decide di abbassare il livello della diga a scanso di disgrazie;

Se hai un diavolo per capello ma sei calvo;

Se ti senti male e poi scopri di avere un tappo di cerume nelle orecchie;

Se, quando avevi 20 anni, ti addormentavi col cazzo in erezione e adesso, che ne hai 60, col cazzo che ti addormenti;

Se, in un campo nudisti, mentre dormi a pancia all'aria, un passero cerca di strapparti l'uccello  perchè lo ha scambiato per un verme;

Se, deciso come non mai, entri in banca per ottenere un fido ed esci con un cane;

Se fingi di essere intelligente ma reciti male;

Se, ogni volta che entri in banca per conoscere la tua situazione finanziaria, il direttore chiama la polizia;

Se gli ultimi 3 minuti della tua vita li trascorri guardando il soffitto per il solo fatto che ti stai impiccando;

Se hai un sacco di rituali per addormentarti ma nemmeno uno per svegliarti;

Se, dopo esserti lanciato nel vuoto dal 12° piano, realizzi che la macchina sulla quale ti sfracellerai è la tua;

Se trascorri le tue giornate a dire che la religione è l'oppio dei popoli e poi ti fai le canne per rilassarti;

Se ti senti un pezzo da 90 ma hai passato i 90 da un pezzo;
Se, ogni volta che entri al bar e chiedi un caffè corretto,  il barista prende la tazzina
e se la infila da dietro nei pantaloni per qualche secondo;


se ti accade tutto questo, amico mio,


DON’T WORRY, BE HAPPY! 

Voltri's C.E.P. ( Case Edilizia Popolare di Voltri)

Non c’era nulla di buono in quel cuore,solamente rabbia e tristezza. Nulla che sarebbe riuscito ad  accomunarlo a qualunque altro cuore. Nulla che avrebbe permesso a qualcosa di positivo di potervi entrare.
Era solo un muscolo al centro del petto. Che pompava migliaia di litri di sangue ogni giorno. Che potevi ascoltare nel silenzio della notte. Che ti avrebbe accompagnato fino al mattino. Che tu lo avessi voluto o che avessi sperato il contrario.
Era, per così dire, un indispensabile “oggetto” che valeva la pena di sopportare per non perdersi l’ennesima puntata di quell’incredibile commedia chiamata vita.


“ALLORA,  LA VOGLIAMO FINIRE O NO?”

Era sempre così,tutte le notti, alla stessa ora, nello stesso medesimo momento in cui il suo vicino apriva la porta del bagno che dava sopra la sua camera da letto.


“ EHI, HAI SENTITO? QUELLA MALEDETTA PORTA NON MI FA DORMIRE!

Non si poteva certo dire che il suo carattere fosse dei migliori; anzi, a ben analizzare i fatti, si poteva affermare,con un bassissimo margine di errore, che Alvaro avesse il carattere più bastardo e degradato della terra. Si era trasferito in quel caseggiato di periferia dopo essersi rovinato col gioco, anche se le donne avevano fatto la loro parte in grande misura. Viveva in un appartamento di 35 metri quadrati e l’unico balcone che tentava di dare un po’ di spazio e aria a quell'angusto locale si affacciava su uno   stradone sterrato che alzava tonnellate di polvere ogni minuto.
La sua intera esistenza era stata costellata di momenti grandiosi: soldi, donne, gente importante...ma non se li era saputi gestire con parsimonia e così era stato scaraventa-
to nei bassifondi della vita alla stessa velocità con la quale, anni addietro, aveva raggiunto la vetta su cui, così dicono, risiedono gli Dei.

“ IL GIORNO CHE VERRO’ SU DA TE IN QUEL TUO LURIDO APPARTAMENTO , SARA’ SOLO PER SPACCARTI IN TESTA QUELLA STUPIDA  PORTA!”

Non accadeva quasi mai nulla nel quartiere in cui viveva;voglio dire mai nulla che potesse essere ricordata con un sorriso. Ai lati delle strade le siringhe usate ti sbattevano in faccia la realtà della droga mentre la gente, che camminava con la testa bassa, era ben poco disposta al dialogo. I pochi alberi che avevano avuto la sventura di crescere in quel luogo erano rinsecchiti e con i rami puntati verso terra, come se ad un certo punto si fossero accorti in che razza di posto avessero deciso di piantare le proprie radici e volessero, con un pietoso quanto inutile inchino, ritornare verso la terra. Era certo che se quelle piante avessero avuto un desiderio da esprimere, non avrebbero esitato nemmeno un secondo a far ripiombare quella strada nella più assolata solitudine.

“SEI SOLO UN MALEDUCATO! HAI CAPITO O NO? SE TI DA’ FASTIDIO LA MIA  PORTA NON DEVI FAR ALTRO CHE TRASLOCARE DA UN ALTRA PARTE. E’ CHIARO?!”

I gatti occupavano un ruolo predominante nel quartiere: dare la caccia ai topi. Essi venivano foraggiati dalle vecchiette rimbambite che non avevano null'altro da fare se non quello di raccattare cibo di ogni genere per i loro pasti. Le vegliarde,nella loro obnubilante senilità, non potevano sapere che così facendo invogliavano alla pigrizia i loro adorati felini. Avete mai visto un gatto, con la ciotola zeppa di carne trita, correre dietro a un topo? Certo che no! Il risultato? I ratti si moltiplicavano in maniera esponenziale e da lì a non molto si sarebbe dovuto ricorrere all'esercito!

“PERCHÉ’ NON SCENDI GIÙ’ E VIENI A DIRE  LE STESSE COSE DAVANTI A ME? HAI PAURA? SECONDO ME TI CAGHI ADDOSSO!”

Tutto intorno al quartiere una strada si inerpicava fino a raggiungere un santuario, luogo di devozione per quelli che ancora credevano in dio. Oltre quel santuario solamente un cimitero che nascondeva i resti di chi aveva osato sfidare una vita dura in un quartiere durissimo.La gente che “da basso” saliva per visitare i propri cari, si aggirava in quel luogo senza timore; quasi con un senso di invidia per chi si trovava sotto quella terra. Sapevano che alla fine sarebbe toccato a loro ma non immaginavano quando. Forse proprio per questo erano così nervosi: non sapere quando, finalmente,sarebbe giunta l’ora di abbandonare quel luogo, senza per questo doverselo ricordare anche solo per un minuto.

“VUOI CHE SCENDO GIÙ’, EH? SAI CHE SUCCEDE SE SCENDO? SE SCENDO GIÙ’ TI INFILO UN DITO IN UN OCCHIO E TE LO FACCIO USCIRE DA UN ORECCHIO. ECCO QUELLO CHE SUCCEDE SE SCENDO!”

I tossicodipendenti vagavano come sterco galleggiante in preda a lente correnti marine che dalla costa si spingono verso l’orizzonte senza mai oltrepassarlo. Erano sempre in cerca di denaro facile, soprattutto quello degli altri; soprattutto quando gli altri non si sarebbero mai sognati di darglielo. Ti avrebbero spaccato il vetro della macchina anche solo per rubarti un euro e venduto la loro madre per molto meno.

“ NON HO BEN CAPITO CHE COSA HAI DETTO. VERAMENTE TU PENSI DI FICCARMI UN DITO IN UN OCCHIO? E SE IO INVECE TI APRISSI LA TESTA IN DUE E CI SPUTASSI DENTRO? POTREBBE ESSERE DIVERTENTE!”

Non era una zona di fighetti o cose del genere. Chi viveva lì aveva le carte in regola. Se abitavi al C.E.P. non potevi essere uno qualunque. Dovevi per forza cercare di essere il migliore o perlomeno tentarci. Non c’era spazio per l’improvvisazione.
Era come una giungla circoscritta: ognuno aveva il proprio ruolo, finalizzato al buon andamento del territorio. Volevi star tranquillo e goderti i giorni che gli dei ti avevano riservato? Dovevi farti gli affari tuoi! Nella maniera più assoluta.

“ MA CHI TI CREDI DI ESSERE? NON SEI NESSUNO! DA QUANDO SEI ARRIVATO IN QUESTO POSTO NON FAI ALTRO CHE FAR CASINO A TUTTE LE ORE! STAI ALL'OCCHIO STAI. HO UN PEZZO DI FERRO CALIBRO NOVE PARABELLUM CHE HA UNA VOGLIA MATTA DI CONOSCERTI!”

A volte, anche quando non rompevi l'anima a nessuno, c’era sempre la testa calda pronta a romperla a te. Era come se ogni tanto ci si dovesse confrontare per forza, nonostante il motivo potesse essere banale e puerile come un semplice sguardo.

“ SAI DOVE LO DEVI METTERE QUEL FERRO? NELL'UNICO POSTO DEL TUO CORPO DEGNO AD ACCOGLIERLO!”

Poteva anche capitarti di incontrare la polizia. Si trattava, quasi sempre, di visite volute dall'amministrazione comunale per tranquillizzare l’onesta schiera di elettori che vivevano  nei quartieri “bene”, preoccupati che alle loro profumate figlie non venisse in mente di frequentare certa gente; e che se proprio avessero dovuto subire il loro maschio fascino non sarebbero state costrette di ritornare ad Albaro o Castelletto con un maledettissimo ricordo di quella zona.

“ PERCHE’ NON VIENI SU A FARLO? PERCHE’ NON VIENI SU CON TUTTA QUELLA TUA TRIPPA BUDEGOSA?”

Alvaro non se lo fece ripetere due volte: aprì la porta e iniziò a salire le scale che lo dividevano dal vicino.

“ STO ARRIVANDO, SPURGO DI FOGNA ! STO ARRIVANDO E SONO NERVOSO E QUANDO SONO NERVOSO SCOPPIANO GUAI!”

L’altro uomo corse in camera, aprì uno sportello ed estrasse la calibro nove.
La caricò velocemente, la armò e con passo veloce si diresse verso il pianerottolo.

“ TI STO ASPETTANDO, IMBECILLE.  TI STO ASPETTANDO!”

Alvaro fece gli ultimi gradini quasi di corsa e, quando intravide la sagoma dell’uomo, gli si avventò contro. Le sue grandi mani iniziarono a stringere il collo dell’altro.

“ CREPA!TI STACCO IL COLLO.TE LO STACCO QUESTO COLLO !”

L’altro, quasi totalmente in apnea, gli sorrise e disse:

“VAI ALL'INFERNO!”

Poi si udirono due colpi in rapida successione.
Subito dopo il silenzio.
Alvaro indietreggiò per qualche metro e si accasciò a terra. Un rivolo di sangue sgorgava da sotto il suo corpo ormai esanime.
L’altro uomo, con ancora la pistola in mano, rimase per qualche secondo a guardare la scena che gli si presentava davanti agli occhi. Era come inebetito. Quando realizzò cosa aveva fatto alzò la canna della pistola all'altezza della tempia sinistra e, senza esitare, premette nuovamente il grilletto.
Qualcuno, da dietro la porta, chiamò la polizia.
Arrivarono molte macchine. Furono scattate decine di fotografie. I cadaveri furono infilati in due sacchi di plastica neri e spediti all'obitorio. Un solerte poliziotto fece  molte domande, senza mai avere risposte esaurienti.
La gente, da dietro le persiane, spiava ogni cosa.
Le ultime due macchine della madama se ne andarono con le sirene spiegate.
Le luci blu dei lampeggianti si infiltrarono, per pochi attimi ancora, tra quei vicoli dove qualche anima persa si iniettava l’ennesima dose.
Dopo un attimo tornò il buio e con esso un forte vento si levò da mare.
Il camion della nettezza urbana stava iniziando il suo giro mentre l’autista, bestemmiando, compiva evoluzioni da circo per evitare le macchine che si erano posteggiate in malo modo. In lontananza i rumori del V.T.E. si lasciavano sfuggire gli strazianti urli dei trackers che sollevavano i container; dalle navi alle banchine. Incessantemente.
Il mattino incalzava e nell'appartamento, sopra quello che fu di Alvaro,una finestra sbatté per effetto del vento, lasciando entrare un delicato profumo di salsedine.
La porta del bagno iniziò nuovamente a cigolare, spaccando in due il mortale silenzio che vi regnava.
Il rumore si fece regolare ed  insistente. Insopportabile ed ipnotico.
Col passare dei minuti quel cigolio diventò un tormento, come un trapano nel cervello. In un appartamento accanto un ragazzo si stava facendo il caffè. Da lì a non molto avrebbe iniziato il suo turno di mattina in porto. Aveva dormito bene quella notte. Non era poi male quel quartiere, pensava. Certo, quel cigolio che sentiva, se fosse stato di notte sarebbe stato un problema . Al ritorno lo avrebbe fatto presente al vicino.



                                                                                                  Alvaro.

Raptus

Alvaro stava seduto nell'angolo della cucina. La finestra era aperta e sul davanzale c’erano piccoli pezzi di pane e biscotti. Ogni tanto qualche piccione atterrava lì sopra per beccare quel ben di dio e lui, con la sua pistola ad aria compressa, gli sparava con assoluta precisione. Il volatile cadeva giù in strada dal 3° piano e le macchine provvedevano a fare il resto. In quel periodo aveva 39 anni, ma ne dimostrava  molti di meno. Almeno 8 di meno. Alle sue spalle una vita orrenda: molti anni come sottufficiale dell’esercito, due nella legione, un divorzio e un bel po’ di reati…perlopiù risse. Stava quasi sempre da solo e aveva l’aspetto di un amicone che poteva, all'occorrenza, trasformarsi in un maledetto figlio di n.n. Quel giorno, mentre giustiziava i piccioni, le sue malsane idee si misero d’un tratto sull'attenti, rivolte in un’unica direzione: la chiesa della città.
Nel suo interno viveva il sacerdote più bastardo che avesse mai conosciuto: un rifiuto di fogna, vestito di nero che pontificava di amore e pace, ma solo per esigenze di copione.
Avevano tutti il terrore di lui e centinaia di mamme andavano spesso a supplicarlo per far avere un posto di lavoro ai propri figli, lasciando ogni volta generose elargizioni nella speranza, quasi sempre remota, che ciò accadesse.
Al prete, non gli importava un accidente di quei "delinquentucoli", come amava definirli. L’unica cosa veramente importante, per lui, erano i soldi. Ah! Quelli si! E ne usava molti per riempirsi la pancia di cibo raffinato. A chi non era capitato di vedere, almeno una volta, il furgone del ristorante “ Chez Louis”, fermarsi nel retro della sacrestia e scaricare velocemente i costosi manicaretti già pronti per lui?  Questo accadeva due volte al giorno: pranzo e cena. Per la colazione, il sant'uomo, era solito recarsi nella pasticceria in fondo alla strada già di buon mattino, ben sapendo che il proprietario, un uomo timorato di Dio, non avrebbe mai osato farlo pagare.
Se tutti quei poveretti avessero saputo dove andava a finire il denaro delle elemosine, quel lungo crocefisso, che pendeva dal suo collo, glielo avrebbero piazzato in un altro posto anziché intorno al collo. E con una gioia immensa!
Alvaro si alzò improvvisamente da quella sedia, nell'angolo della cucina, appoggiò la pistola ad aria compressa sul tavolo e si diresse verso il suo armadio. Lo aprì e frugò sotto due coperte di lana ben piegate: una Cougar Magnum scintillante fece la sua comparsa, prezioso “souvenir” dell’ultima missione compiuta. La accarezzò per un attimo, lasciando che la luce rimbalzasse su di essa. Poi iniziò a caricarla: lentamente ma con decisione. Quand’ebbe terminato la infilò in tasca e uscì dal suo appartamento. Giunto in strada, indugiò sulle carcasse dei piccioni a terra e sputò nella loro direzione: aveva sempre odiato quegli stupidi uccelli che riempivano il mondo del loro sterco bianco.
Erano quasi le 18, quando Alvaro arrivò davanti alla porta della chiesa. Il grosso portone di legno lavorato a mano era già chiuso.

“ Maledizione !” - esclamò Alvaro. Poi, con calma, dopo essersi guardato intorno, scagliò due pugni sullo spesso legno. Subito dopo un altro, ma molto più forte. Appoggiò l’orecchio e sentì lo scalpiccio di passi veloci avvicinarsi.

“ Chi è che vuole buttare giù la porta?” - urlò dall'interno il prete.

Alvaro ingoiò un po’ di saliva e contrasse le corde vocali per contraffare la voce.

“ Oh, mi scusi tanto, ma volevo lasciare la mia offerta per la Chiesa! Sono arrivato in ritardo!!” - gracchiò alla belle meglio.

“ Capisco - disse il sacerdote sempre da dietro la porta - non può tornare domani?”.
“ Oh…si, credo che lo farò anche se…anche se - a quel punto Alvaro abbassò astutamente la voce - ho un po’ di paura a tornare a casa con tutto questo denaro. Sa, oggigiorno c’è da aver paura d’ogni cosa!”.

Ci fu una piccola pausa, poi il chiavistello iniziò a girare. In maniera lenta ma costante.
Un movimento simile a quello che fece Alvaro nell'estrarre la sua Magnum dalla tasca.
Quando la porta si aprì il prete tuonò dalla fessura creatasi: “ Mi dia l’offerta e che Dio la benedica!!”.

Alvaro, invece, infilò la canna dell’arma e fece fuoco. Un colpo assordante riecheggiò tra le case dietro a lui. Diede una spinta al portone ed entrò: il corpo dell’uomo di chiesa giaceva a terra con la gola spappolata e gli occhi sbarrati. Gli sferrò una pedata, come per accertarsi che fosse veramente morto, anche se non v’era più alcun dubbio.
La pozza di sangue che si era formata intorno a quel cadavere, per effetto dello spostamento dovuto al forte calcio, ruppe il suo quasi perfetto disegno geometrico, iniziando a scivolare in una piccola fessura dovuta all'imperfezione del pavimento
logoro dai secoli. Osservò quel fiumiciattolo sempre più in piena. Poi si diresse verso il gigantesco crocefisso, appeso ad una lunga catena che scendeva dal soffitto. Lo guardò come disgustato, ormai totalmente assorbito dalla follia. Caricò lo sputa fuoco e sparò due volte: la catena saltò via e il crocefisso precipitò a terra con un boato. L’impatto aveva distaccato la figura del Cristo dalla croce. Alvaro gli si avvicinò.

“ Vedi…ora sei libero…puoi andartene!!” - disse con una specie di cantilena.

La scultura lignea giaceva al centro della navata principale, con una grossa incrinatura all'altezza del fianco.

“ Hai capito? Sei libero! Alzati e vattene!” - urlò questa volta Alvaro.

Indietreggiò di un passo, puntò l’arma in direzione del cristo e fece fuoco.
Una. Due. Tre volte. Il legno, vecchio di secoli, saltò in aria come ridere. Poi, a casaccio, sparò in rapida sequenza.

Ciò che l’uomo aveva costruito secoli prima per devozione, veniva ora distrutto dall'uomo per pazzia. Era sempre l’essere umano il vero colpevole. Poteva costruire intorno a sé meravigliosi palazzi o spaventose prigioni, ma solo grazie alla sua intelligenza avrebbe scelto, tra i due, il luogo migliore dove trascorrere la propria vita.

Smise di colpo. Abbassò l’arma e la appoggiò alla coscia destra. Ne avvertì il calore.
La chiesa, all'esterno, era completamente circondata dalla polizia. Da lì a non molto i gruppi speciali sarebbero entrati in azione. Il primo ad intervenire fu un anziano ufficiale, dotato di uno spiccato senso della comunicazione. Entrò cautamente dal portone e quasi s’inciampò nel cadavere del prete. Lo stomaco gli si torse e le budella lo frustarono dall'interno.
Camminò lentamente e intravide Alvaro al centro della navata principale, di spalle…un bersaglio fin troppo facile: ma la sua saggezza, alle soglie della pensione, gli impose di cercare la trattativa e di salvare la vita a quel giovane.

“ Figliolo - urlò - stai calmo, io voglio aiutarti! Nessuno ti farà del male!”

Alvaro non si voltò neppure. Si era esercitato migliaia di volte, quando era in Legione, ad inquadrare il nemico alle spalle, basandosi solamente sulla voce per localizzare il bersaglio.

“ Adesso getta la pistola e non ti accadrà nulla, parola di…”

Non riuscì nemmeno a pronunciare il proprio nome: Alvaro piegò il polso all'indietro e la pistola, che era appoggiata lungo la sua coscia destra, volse la sua canna dal basso verso l’alto. Il pollice, anziché l’indice, fece pressione sul grilletto.
La testa di quel poveraccio esplose e, per un attimo, il corpo sembrò fare ancora un mezzo passo senza di essa.  Poi cadde.

Tornò velocemente il silenzio.

All'esterno, un commando di teste di cuoio stava preparandosi ad entrare.

Alvaro, all'interno, guardò il cadavere del prete, quello del poliziotto e infine ciò che restava del cristo di legno.
Sorrise. Tirò su rumorosamente, quindi sputò.

“ Tre! Sono tre! E io odio i numeri dispari!” - urlò come indemoniato.

Lentamente alzò la sua fidata Cougar Magnum.
Girò su sé stesso, come in una stupida danza.

Aprì la bocca e v’infilò la canna. Ne avvertì il calore.

Chiuse gli occhi.

Una lacrima fuggì da essi.

Poi, dopo un lungo sospiro, premette il grilletto.


                                                                                                            Alvaro.

Interculturalità.

" Caro Alvaro,la comunicazione tra culture diverse assume un 'importanza sempre maggiore. Nell'era dell'internalizzazione e della globalizzazione i flussi migratori degli anni sessanta e la caduta del muro di Berlino hanno aperto le frontiere dell'europa dell'est scaraventando il mondo in un villaggio globale. La comunicazione interculturale come settore di ricerca scientifica non si può avvalere di una tradizione particolarmente lunga sul processo di disfacimento della cultura di minoranze sociali mentre la linguistica strutturalista ha intrapreso lo studio di fattori culturali. I fenomeni presenti in una cultura si distinguono secondo la forma. L'approccio semiotico è anche riconducibile alla definizione di cultura: significati incarnati in simboli, diventano metafore culturali rivelando la storia di un paese. Dall'incontro di lingue diverse possono nascere idiomi totalmente nuovi creando così una varietà linguistica estremamente semplificata ed impoverita rispetto alla lingua d'arrivo." 

E' così che il tipo accanto a me spiegò il significato di INTERCULTURALITA'  mentre mi sorseggiavo il terzo Jack Daniel's con un quinto di acqua.

Lo guardai dritto negli occhi e gli dissi:

"CREDI DAVVERO A QUELLO CHE DICI?"

Scosse la testa e fece cenno al barista di versargliene ancora un bicchiere, poi parlò:

" Credo, mio caro Alvaro, che sia indispensabile integrare la didattica moderna delle lingue straniere oltre che con un abilità comunicativa che permette di compiere degli atti linguistici anche con una competenza interculturale creando in questo modo una competenza comunicativa interculturale."

Risi di gusto. Non capivo un accidente del suo lessico ma comprendevo che era in buona fede.

" Chi vuole comprendere e comunicare in un altra lingua deve abbandonare non soltanto il proprio contesto linguistico di riferimento ma anche il sistema culturale di appartenenza."

Alzai il bicchiere e feci un brindisi rivolto a quel ragazzo che tanto sapeva e tanto bene parlava.

Il giovane, però, mal sopportava l'alcol quindi divenne vago e confuso.

" La didattica orientata verso un approccio interculturale ricorre anche ad altre discipline indispensabili per raggiungere l'obiettivo della comunicativa interculturale. La didattica moderna chiede da tempo un insegnamento della cultura attraverso la lingua inducendo a considerare la cultura come quinta abilità  accanto a quelle tradizionali della comprensione scritta/orale. "

Subito dopo l'enunciazione di questa verità scivolò dalla sua seggiola e cadde a terra. Gli alzai il capo e diressi il suo vomito oltre il prezioso tappeto di Hamnrack. Fu in quel momento che lo sentii mormorare:

" ...uno dei padri fondatori della germanistica interculturale ha strutturato la disciplina in cinque sezioni alle quali si aggiungono, in un secondo momento, la componente multimediale..."

Il titolare del bar gli getta un bicchiere di acqua in faccia. 
Accarezzo l'intellettuale e gli asciugo il viso poi, come un vigliacco, esco dal bar.
La luna è assente in questa notte di maggio. Le prime lucciole sfavillano tra gli ulivi. Metto in moto la mia Honda e con un rombo mi allontano dal parcheggio del locale. Il mare è alla mia sinistra. Imbocco la galleria di Cavi a 180 km/h con ancora in mente le dissertazioni del ragazzo. Poco prima di uscire dalla galleria scalo una marcia. 

INTERCULTURALITA'! - penso.

Con un 'impennata arrivo a 210 km/h ed esco dalla galleria.
Uno sfavillio di luci blu nello specchietto retrovisore mi gela il sangue.

LA POLIZIA! - urlo tra me.

Metto la freccia a destra e mi fermo.
Un poliziotto esce dalla sua auto e mi viene accanto con un sorriso. E' un ragazzo di colore.
Mi viene in mente un vecchio proverbio indiano che recita:

" la vita è un gioco: giocala!"

Mi sfilo i guanti, il casco e mi preparo all'ennesima interpretazione da Oscar.

Sarà interculturale?
Probabilmente si.

                                                                                          Alvaro.




sabato 14 settembre 2013

L'ingegnere aeronautico.

Alvaro arrivò all'aeroporto in perfetto orario. Le strade di New York, a quell'ora del mattino, erano ancora scorrevoli e il tassista, un cingalese, durante il tragitto gli aveva raccontato i particolari del matrimonio di sua figlia che si sarebbe celebrato da lì a non molto. Alvaro aveva ascoltato ma con distacco. Era ancora immerso in una sua personale considerazione su quello che la sera prima, alla Sala Congressi dello Sheraton, aveva esposto al solito pubblico : ministri e alte cariche del dipartimento aviazione americano, piloti civili e militari. Alvaro era un ingegnere aeronautico di fama mondiale. Aveva supervisionato e periziato centinaia di casi in cui un incidente aereo diventava misterioso. La solita esigenza, soprattutto delle compagnie assicurative, di conoscere se vi era stato un errore umano o un malfunzionamento dell’aeromobile. Pensava anche agli applausi ricevuti, alle strette di mano, alle facce che gli promettevano conferenze nei posti più disparati del mondo .

“Ha solo una valigia, signore?”

 Alvaro riemerse da quei pensieri e si accorse della ragazza del check-in che gli sorrideva. Si, si, rispose e, consegnato il ticket, si avviò al Gate numero 11. L’imbarco fu immediato. L’ hostess della Alitalia, con un sorriso, gli indicò la zona dell’aereo in cui avrebbe dovuto sedersi. Una volta individuata la poltroncina si accomodò, allacciandosi subito le cinture di sicurezza. Sfilò dalla tasca della giacca la mascherina per gli occhi ma prima di indossarla pregò la hostess di non disturbarlo per l’ora di colazione poiché aveva sonno arretrato da smaltire. La ragazza lo rassicurò. Poi, con un gesto meccanico, fatto chissà quante volte, la indossò e in un buio confortevole sprofondò istantaneamente nel sonno.

“Signore, si svegli! Signore, mi sente? Signore?”

Si sfilò la mascherina e, con uno sguardo appannato, vide il viso della hostess abbozzare un sorriso che sapeva essere di circostanza ma sostanzialmente triste. Diede, d’istinto, un’occhiata all'orologio: erano passate circa 3 ore.

“ Cosa succede?”
 “Può seguirmi in cabina di pilotaggio?”
 “Certo che posso, ma cosa sta succedendo?”
 “Non ho idea. Il comandante mi ha detto di chiamarla.”

 Mentre si avvicinavano alla prua dell’aereo, la sua attenzione cadde su una sensazione a livello uditivo. Era come se mancasse qualcosa. Era come se…come se il rumore di fondo dei jet non fosse così netto e delineato. Quando varcò la soglia della cabina venne informato che il velivolo stava perdendo potenza inspiegabilmente. Si era tentata ogni manovra. Il suo udito non lo aveva ingannato.

“Stiamo scendendo di quota?”
“Si.”
“Qual è il rateo di discesa?”
“Preoccupante rispetto alla perdita di potenza.”

 Perdita di potenza. Sapeva esattamente di cosa si trattava.

 -Indicata con P, la potenza disponibile, se si utilizza energia chimica come sorgente, è l'energia disponibile nell'unità di tempo. Questa è costituita da due termini: il primo dovuto alla portata in massa di combustibile (o di propellenti) per l'energia per unità di massa fornita nella combustione ed il secondo dovuto all'energia cinetica posseduta dal combustibile (o dai propellenti) trascinati dal veicolo nel quale sono stivati. Indicando con V la velocità del veicolo, con M la massa del combustibile, con Q il potere calorifico del combustibile (l'energia che può essere fornita bruciando un'unità di massa di combustibile), si ha quindi che: …-

 “Signore? A cosa sta pensando? Le viene in mente qualcosa circa il rendimento propulsivo del velivolo? Nel qual caso noi…”

 Rendimento propulsivo? Ma certo! Era la sua materia preferita!

-Una parte della potenza del getto viene persa sotto forma di energia cinetica residua del getto. Di ciò si tiene conto nel coefficiente di rendimento propulsivo, il rapporto tra potenza propulsiva e potenza del getto o, il che è lo stesso, tra il lavoro impiegato per la propulsione ed il lavoro fornito al fluido. La potenza propulsiva può essere scritta come la spinta del motore T moltiplicata per la velocità di volo V mentre la potenza del getto può essere scritta come la differenza di energia cinetica del flusso nell'unità di tempo e quindi il rendimento propulsivo subirà un decremento, dopo alcuni passaggi matematici, nella ragione di…-

“Signore? Sta bene signore?”

 Scosse la testa e alzò un braccio come in un segno di comprensione. Poi disse che se non avessero trovato un luogo d’atterraggio entro pochi minuti i motori si sarebbero fermati. Calò il silenzio. Erano nel mezzo dell’Oceano Atlantico ed era gennaio. Lentamente Alvaro uscì dalla cabina, camminando lungo il corridoio tra i passeggeri ignari. Precipitare sull'acqua non era una bella cosa.

 -C'è una evidente distinzione tra un ammaraggio controllato (che è comunque una manovra di emergenza) e uno schianto non controllato con l'acqua. Quest'ultimo può portare alla distruzione dell'aereo, analogamente a quanto può accadere in un impatto contro il suolo.-

 Ad un certo punto si fermò. Guardò attentamente tutte quelle persone e pensò che erano un pubblico molto differente da quello a cui lui era abituato. Improvvisare una conferenza non avrebbe risolto le cose. Quando arrivò al suo sedile ci si sprofondò dentro e con calma attese che il display “ Allacciare le cinture di sicurezza” si illuminasse. Guasto meccanico o errore umano? Sorrise. Qualcun altro, a posteriori, lo avrebbe stabilito.

                                                                                                                          Alvaro.

Apocalypsblues

Non è il tempo che passa
siamo noi che passiamo.
Il peso del mondo
è la negazione dei sogni
nel pensiero della costruzione di un miracolo
e di un’umanità ardente di purezza.
Riposati senza amore, mia cara
dormi senza sogni,
non essere ossessionata da angeli vendicatori
o da desideri estremi di annientamento.
Sei una bellissima pazza!
Si, tu lo sei!
Il tuo peso grava senza nulla avere
se non il pensiero
di una solitudine di eccellenza.
Hai visto il tuo tiepido e meraviglioso corpo
fremere al buio mentre la mia mano si muove?
No!
Il centro della tua carne è vibrante di felicità
mentre l’anima
ha sempre ceduto a se stessa.
Sei l’allucinata del tuo Iddio.
Corri attraverso i  misteri!
Vomita le nostalgie di un’altra vita!
Il problema è sempre l’anima.
Perdoniamo a chiunque la loro innocenza.
Siamo lontani.
Ignari.
Siamo giovani stranieri
dietro alla realtà di uno smistamento ferroviario
davanti a un fiore di parole d’asfalto
con un batuffolo di cotone intriso di sangue
che è rimasto dentro la mia tasca per trent’anni.
Ti offro un fiore, mia dolce ragazza.
E’ un brutto fiore spinoso
un fiore industriale,
un fiore disoccupato,
un fiore di guerra e strazio
un fiore ceduo che risale verso il cielo,
un fiore di tristezza e pianto.
Un maledetto fiore di questo maledetto mondo che è al termine.
Ma ora
mia cara e radiosa (ma non solare) donna
assaggia la mia bocca nel tuo orecchio:
e sappi che il 31/12/2013 saremo ancora vivi.
Io e te.
Insieme a Ray Charles
dentro un blues
chiamato Apocalisse.



                                                                                            Alvaro

giovedì 25 aprile 2013

L'ultimo giorno con lei ( 7 Settembre 2002).


Dopo quell’ennesimo e furioso litigio, decisi che non avrei mai più partecipato ad un altro. Quindi mi alzai e andai in camera a vestirmi.

“ E ora cosa fai? Torni a dormire? Ma certo, dimenticavo, è l’unica cosa che ti riesce meglio: DORMIRE!” - urlò lei.

Mi sedetti sul letto e infilai le calze; erano belle, forse le cose più belle che avessi mai posseduto.

“ Guarda che pancia hai! Fai schifo! Ti credi di piacere a una donna? Credi veramente che, in tutti questi anni, io sia rimasta con te perché mi piacevi? Ti sbagli se la pensi così; sono rimasta perché mi facevi pena, perché nessun’altra avrebbe osato starti accanto!”.

Cercai i pantaloni e scelsi quelli blu a righe chiare. Mi erano sempre piaciuti perché non cadevano eccessivamente sulle scarpe.

“ Guardatelo il culone! Ma come ti vesti bene! Vai dalla tua amante? Oppure vai dalla tua mammuccia a piangere e a dirle quanto sei infelice?”

Si! Erano proprio belli, ma stringevano un po’. Avrei dovuto perdere qualche chilo. Infilai la cintura nei passanti e la serrai.

“ Non vali nulla, non sei nessuno! Sei solo capace di mangiare, bere e leggere quegli stupidi fumetti!”.

Presi un maglione e ci saltai dentro.

“ Sei un pazzo! Dovresti farti curare. Lo dico per te, per il tuo bene. Nessuno dorme con la luce e la radio accesa per tutta la notte! Nessuna donna potrà mai sopportarti a meno che tu faccia come fai ora e cioè  dormire in una stanza per conto tuo.”

Aprii un paio di cassetti e cercai la mia sciarpa di lana. Ci ero affezionato. Aveva più di vent’anni ma avvolgermela al collo era come indossare un amuleto. Lo feci con un gesto liturgico.

“ Ti credi che non sento, la notte, quando ti alzi e ti siedi in cucina per delle ore? Ti ho anche visto una volta con una coperta sulle spalle che scrivevi. Ma a chi scrivi se non hai amici? Il bello è che non ti frega neanche di averli! Sei un malato di mente.”

Tirai giù dall’armadio il mio giaccone imbottito e lo indossai.

“ Dammi retta Alvaro…fatti vedere da uno specialista. Tu hai dei problemi, dei grossi problemi!”.

Uscii dalla camera e attraversai il corridoio lentamente. Aprii la scarpiera che stava nell’entrata ed estrassi le mie scarpe da ginnastica: erano vecchie e logore ma quando le avevo ai piedi mi sembrava di camminare su una nuvola. Me le infilai delicatamente, ma ben deciso a spingere con forza nel caso avessi trovato resistenza. Pensai che quella procedura aveva un nonsoché di erotico e che mi aveva sempre procurato brividi di eccitazione.

“ Non sei nemmeno in grado di vestirti! Hai visto come ti sei conciato? Devi ancora uscire e sembri appena tornato da una corsa di 100 km!”.

Allungai il braccio destro e impugnai la maniglia della porta. Premetti il pulsante e tirai. La porta si aprì cigolando.

“ Ma si…vattene, vattene. Non hai nessuno a cui chiedere aiuto! Tu lo sai bene. Nessuno ti sopporta! Sei  un essere a parte…sei come una bottiglia vuota!”.

Scesi le scale e nell’aria avvertii ancora l’odore di fritto della cena di qualcuno. Aprii il portone e fui fuori. Iniziai a camminare. Non guardai indietro.

“ Dove dormirai?  - urlò dalla finestra - Non senti che freddo fa? Finirai come un barbone. Morirai da qualche parte, in qualche brutto posto, solo e abbandonato…come piace a te!”.

La strada era leggermente in discesa. Dovetti fare attenzione a non scivolare. Non guardai indietro.

“ Sei solo un maledetto figlio di puttana!! - urlò con tutto il fiato che poté.

Poi sentii la finestra sbattere e subito dopo il silenzio. Lo assaporai. Non guardai indietro.
La luna, terrea, era nel cielo. Le stelle intorno a lei. Mi fermai ad osservarle: era strano…non le avevo mai viste brillare in quel modo. Poi, mi ricordai che erano più di 15 anni che non le guardavo. Decisi di rimanere ancora un po’ a testa all’insù.

Doveva essere passato parecchio tempo poiché il collo mi doleva. Abbassai lo sguardo.
Lassù l’infinito, quaggiù i muri imbrattati della città. Lassù poesia, quaggiù desolazione e miseria umana.
Faceva freddo. Molto freddo. Misi le mani in tasca, cercai di far rientrare, per quanto possibile, il mio viso sotto la sciarpa. Più o meno come fanno le tartarughe quando sono in pericolo. Continuai a camminare. Non guardai indietro. Entrai nel buio di un vicolo che mi inghiottì.


                                                                                                  Alva

lunedì 1 aprile 2013

Al cimitero, vacci tu!


Io sono morto da molto tempo.
Quando arrivai al cimitero
 misero questa lapide,
che avevo preparato con le mie mani
prima di morire sulla quale,
come potete notare, c’è scritto:
“ Era un brav’uomo. Di animo sensibile,
partecipò a molti concorsi di poesia
senza mai vincerne uno. Non vi fermate
qui davanti: tirate dritto: in fondo a destra
c’è un angioletto con la faccia da imbecille
che i suoi genitori rimpiangono dal giorno in cui
appiccò fuoco alla loro casa, bruciando ogni cosa
nel raggio di 300 metri, compreso se stesso.”
Non si danno pace da 50 anni.
Non sanno che l’umanità gli è grata.
Sono disperati e vecchi.
Non sembrano più genitori.
Nemmeno nonni.
Sono già morti anche loro ma non lo sanno.
Gli hanno fatto una targa commemorativa
con su scritto: “ Il destino ti ha strappato dal nostro amore;
ora sei un angioletto che vola per i cieli del paradiso e cerca
di dividere il suo amore con altri.”
Un piromane in meno,
ci avrei scritto io,
anche se non faccio testo.
Sono solo un sarcofago di ossa vecchie.
Ingiallite dal tempo.
Pronte per l’ossario comune.
Rimane la mia foto all’esterno:
una faccia da pirla,
con un tatuaggio sul collo e una pinna di squalo sulla gola,
che se potesse vi sputerebbe in faccia
mentre passate.
Mi raccomando: non vi fermate
a meno che non vogliate leggere una mia poesia.
Quella che preferisco si intitola:
“ AL CIMITERO, VACCI TU!”
Fa più o meno così:

“ Io sono morto
da molto tempo
quando arrivai al cimitero
mi misero una lapide…”
                                                                                         Alvaro.



Aggiungi un posto a tavola.


Viaggiando parallelo al cielo
corro verso l’orizzonte
senza mai incrociarlo

in questa notte che la luna tradisce.

La radio
da qualche ora
continua a ripetere le stesse notizie
sugli scontri a fuoco in Medio Oriente

mentre la strada
sotto di me
continua a scorrere.

Ora la luna
è scivolata via
e il sole,ancora un po' assonnato,
inizia ad illuminare le cose.

Arrivano ancora notizie.
Questa volta aggiornate.

Il vortice della violenza continua.

C’è ancora morte, sangue ed orrore laggiù.

Qui,invece, è mezzogiorno passato
e il mio stomaco brontola.

Mi fermo.

Entro in un locale
da cui esce un profumo delizioso.

Non faccio tempo a sedermi
che subito arriva la cameriera:


tra i 40 e i 50,
alta, carina e con un seno così bello
che se fosse in vendita lo comprerei.
Mi domanda cosa voglio.
Glielo dico.
Quello che invece vorrei da lei
lo penso soltanto.

C’è una radio anche in quel locale
ed è sulla stessa frequenza
che ascoltavo io

ma non si sente nulla
da come è disturbata.

Un tizio si alza
e accende un televisore
che è appeso al soffitto.

Ora vedo anche le immagini
giungere da quella terra
e
devo dire che non sono esaltanti né piacevoli.

Arriva ciò che ho ordinato.
Agguanto la forchetta con l’acquolina in bocca
ma le ultime immagini del telegiornale mi bloccano.

La voce dell’inviato
continua a ripetere:
“...centinaia di morti innocenti per un pezzo di terra...”

Abbasso lo sguardo.
Laggiù morti innocenti per una causa
qua morti innocenti per nulla.


Raccolgo il cibo che ho davanti a me.

Lo porto alla bocca.
Mangio avidamente.

La morte non conta un cazzo quando hai fame
ma soprattutto non conta mai un cazzo
quando non è seduta al tavolo con te.


                                                           Alvaro