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web sito ImageChef Custom Images "Ormai quasi giunto al termine della mia vita di peccatore, mentre declino canuto insieme al mondo, mi accingo a lasciare su questo blog testimonianza degli eventi a cui mi accadde, mi accade e mi accadrà di assistere durante il periglioso viaggio che mi separa dalla tomba. E Dio mi conceda la grazia di essere testimone trasparente e cronista fedele di quanto ho visto. Possa la mia mano non tremare mentre mi accingo a scrivere certi eventi e ricordare l'inquietudine sottile che opprime l'animo mio mentre mi collego quotidianamente a questo blog poiché oggi ho la certezza che sto rettamente interpretando gli indubitabili presagi ai quali, da quando nacqui, stoltamente, non diedi peso ."

martedì 3 gennaio 2012

La vendetta di Ale.



Quel sabato sera Ale sentiva che c'era nell'aria qualcosa di strano quasi di profetico.  Inutilmente aveva cercato di dissuadere Alva dal correre in macchina a Milano per andare,ancora una volta,alla discoteca Hollywood,a due chilometri da San Donato Milanese.
“Alva,te l'ho già detto mille volte,lasciale perdere le sudamericane,porca miseria,sono pericolose!”
“ Ma cosa stai dicendo? E’ una cara e disinibita ragazza, se tu vedessi i numeri che ci facciamo in macchina,da qualche sabato sera a questa parte!
Ale,tranquillizzati,ci gioco ancora un po’! Mia moglie sta quasi mangiando la foglia,
non credo berrà ancora il fatto che siamo in un tour di rimpatriate tra compagni di scuola per cui:promesso: stasera sarà l'ultima volta!”
“Va bè, ma cerca di mollarla con dolcezza,le femmine latinoamericane vanno trattate con cautela!”
Ale sapeva già che Alva con le donne era un principiante: sapeva che prima o poi si sarebbe cacciato in un mare di guai.
Ale aveva accompagnato Alva a Milano le prime tre volte,perché quel pirla di Alva non aveva provveduto a cambiare l'olio al motore quindi, data la sua fissa per la guida a tavoletta,la sua squinternata bmw a metano lo aveva piantato in asso,e Ale era dovuto correre da Genova,alle 3 di mattina,fino a Rozzano,a recuperare il suo migliore amico.

“Porca miseria ladra,Alva,la prossima volta te la fai a piedi fino a Genova! “
“Dai,Ale,ti prometto che certe idiozie non le faccio più!” 

Alva era un ottimo meccanico,ma la femmina ecuadoriana che aveva caricato in zona foce,presso Brignole,gli aveva mandato il cervello in pappa.Lei era una poco di buono,spacciava erba e crack,era una specie di corriere,per conto del fratello,un tipo violento e prepotente,che giocava a fare il capetto di una mini-band di pusher,
proprio all'Hollywood,dove quell’ebete di Alva si sarebbe recato quest'ultimo infelice sabato sera, a deliziarsi in  macchina la puledra sangre caliente che lo aveva fagocitato nel suo caldo e irresistibile abbraccio.
Ale tentò inutilmente per l'ultima volta di far desistere Alva.  Gli voleva troppo bene. Sapeva che il suo amico del cuore stava correndo un rischio davvero alto. Per essere sinceri Alva, in realtà, un pochino pensieroso lo era diventato,in quelle ore precedenti la sua partenza per Milano.
Ricordava che Ale era stato diversi anni in Messico,al confine con gli USA,a Ensenada, sulla costa del Pacifico, e laggiù si era fatto le ossa,in quanto a lingua spagnola e mentalità sud-americana. Ale aveva lavorato come cuoco,receptionist,fattorino e persino come rappresentante di una ditta di vini californiani; sapeva come erano fatte le donne latine di quella parte di mondo. Non le si poteva trattare come merce di scambio,divertirsi un po’ con loro e poi, una volta annoiati,mollarle come delle sgualdrine qualsiasi. No,non funzionava così. Alva rimuginò un po' queste nozioni che Ale gli aveva inutilmente tentato di infilare nel cranio,poi rifletté sul fatto che era sempre stato uno nato con la camicia,in fatto di donne, e che anche questa femmina sarebbe stata liquidata rapidamente ed in modo indolore. Almeno per lui.
Alva giunse a San Donato verso le 22.30.dopo aver mollato moglie e figli a casa di sua suocera, adducendo,per l’ennesima volta,la scusa della ennesima ed ultima,giurò, rimpatriata goliardica tra vecchi amici.
Consuelo lo aspettava al solito posto,non lontano dall'ingresso della discoteca,e lui arrivò con i suoi due soliti e banali braccialettini da bigiotteria,rimediati ad un pulcioso mercatino di Genova,da dei cinesi turlupinatori ma il bello è che manco se ne accorgeva che Consuelo aveva iniziato a prendergli le misure. Andarono a ballare poi, in una zona appartata della discoteca, si fecero la solita,micidiale galoppata tra urli di lei e schiaffi di lui. Finita la sessione ,Alva decise di fare quello che Ale gli aveva tassativamente proibito di fare: piantare Consuelo nel parcheggio della disco,magari infilandole nella testa qualcuna delle sue teorie cervellotiche sul fatto di non essere il tipo giusto,che lei non lo meritava,che lui era un fallito e che la vita lo aveva tradito ecc ecc.
Nel giro di cinque minuti i due stavano litigando: lei era infuriata come una gatta affamata cui qualcuno stesse pestando i cuccioli;lui imprecava e urlava minacciosamente che se non l'avesse smessa di insultarlo,se ne sarebbe pentita. ( Alva non parlava spagnolo,
ma quel " hijo de aquella madre puta che te pariò" lo aveva capito,a grandi linee).

Ale, nello stesso momento era davanti alla tele,svogliatamente sbracato sul divano. Sorseggiava della sambuca che doveva avere non meno di dieci anni.  Era diventato un tirchio della peggior specie e piuttosto che spendere quei quattro soldi che guadagnava insegnando tedesco,centellinava le bottiglie di liquore,lasciandone talune appositamente nascoste in dispensa,per poterle poi,lustri dopo,riportare alla luce e riassaporare.

Alva, ormai, aveva scatenato la tipica situazione irreversibile e senza scampo. Quel deficiente non si era reso conto che un tipo losco chiamato Manuel ma detto, poco simpaticamente, tiburòn(squalo in spagnolo) lo aveva seguito,di nascosto,e,insieme ai suoi due scagnozzi,non  aveva perso una sola battuta dell'acceso diverbio scoppiato tra Alva e quella gentil donna di Consuelo.
Lei,in lacrime,lo stava maledicendo,e lui,ormai privo di energia mentale,non si era mica reso conto della presenza di quei tre delinquenti di mezza tacca,pericolosi per quanto erano maldestri e inadatti a coprire ruoli di primo piano  nel mondo della mala milanese.Il primo colpo di spranga lo prese al collo e arrivò come una mannaia poco affilata.
Il secondo alla spalla destra e mentre tentò di voltarsi  gli rifilarono due coltellate al petto e
una al braccio mentre lui stava ancora in piedi.
Alva era 1.89 per 94 chili ma la terza sprangata non tenne conto di tale possanza fisica: come un treno impazzito lo colse in piena fronte,mandandolo al tappeto,braccia in croce.
Non ancora contenti lo tempestarono di calci e, tra risate e insulti lo abbandonarono
sull'asfalto del parcheggio. Ale fu avvertito dalla moglie di Alva,quella stessa notte.La polizia aveva provveduto ad avvisarla:suo marito era stato ufficialmente
 coinvolto in una lite furiosa tra extracomunitari,e come sempre accade,gli sbirri brancolavano nel buio.
Ale si infilò precipitosamente un paio di stracci,era metà ottobre,e corse da Carla,ad abbracciarla e tentare di rincuorarla. Le disse che Alva era un osso duro e sicuramente se la sarebbe cavata in quindici giorni.
Quindici giorni un par di balle! Alva aveva rimediato la frattura multipla dell'occipitale,il setto nasale frantumato,clavicola sinistra spezzata,spalla destra lussata, ferite lacero-contuse da arma da taglio,di profondità media,e 7 costole incrinate. Un aspetto  positivo spiccava in mezzo a tutta quella negatività: era ancora vivo!,
Ale corse al Fatebenefratelli,per cercare di sostenere moralmente il suo amicone.
Alva era un osso duro, anche se un un pirla! Un mezzo sangue,in parte veneto e in parte piemontese.Un animale meticcio  dell'Italia del nord il cui corpo era una specie di macchinario ben oliato,in discreta forma fisica generale,almeno a livello muscolare. Ale si ricordava ancora quando, mesi prima, Alva aveva messo su un po' di pancetta e sua moglie Carla lo obbligava a correre sul lungomare di Lavagna per un mese, tutte le sere finchè Alva,in qualche modo,aveva quasi ritrovato la sagoma dei 25 anni,lui che era un classe 63,come Ale: due vecchi bastardi, duri come il titanio.

Carla, piangendo, aveva raccontato quello che la polis le aveva riferito telefonicamente quindi insieme erano corsi a Milano,solo dopo aver affidato i bambini alla sorella di lei.
Alva era fasciato come un cadavere imbalsamato egiziano stile Himotep nel film -La mummia -  e tra gessi e cerotti era uno spettacolo a metà tra il commovente ed il comico;nonostante tutto era in grado di parlare. Dopo mezz'ora di colloquio,spedì la moglie a prendere una bottiglietta di minerale,per poter restare solo con Ale. Gli raccontò tutto,gli disse della lite con Consuelo,dell'assalto proditorio alle sue spalle e che aveva visto in faccia quelli che lo avevano ridotto in quello stato. Erano stati Manuel-il tiburòn- Antonio,il piccoletto tozzo e infido,e Estèfan,lo spilungone magro e crudele che faceva da guardaspalle a Manuel.

Ale fissò negli occhi Alva,gli sussurrò parole di conforto e di rimprovero.

“Cosa ti avevo detto,imbecille?Hai visto che fine hai fatto?! N' altro po' e ci lasci le penne,deficiente d'un deficiente!” 

Alva spiccicò,con una vocina tenue e intimorita qualche frasetta mozza. In realtà si rendeva conto delle sue colpe e di aver considerato i consigli di Ale con imperdonabile faciloneria.

“Ale scusa,avevi, ragione tu,le sudamericane sono come il mamba africano,uno crede
che siano piccole ed insignificanti,invece quelle ti cioncano.Sono stato un pirla! Scusa Ale,scusa”.
“Dai lascia stare…basta scuse,tanto lo so,non è colpa tua,è che tu la passera non la tieni,proprio non sai resistere.”

Alva osservava l'improvviso silenzio e l'espressione di Ale: era cambiato di colpo.Ora le sue sopracciglia erano aggrottate.L'espressione del viso si era fatta dura.Gli occhi erano di colpo diventati freddi,glaciali. Alva aveva sempre fatto i complimenti ad Ale per quei suoi occhi verdi smeraldo,con una punta di nocciola semigrigio al centro. Sapevano
essere luminosi e celestiali,specie nelle giornate di sole e cielo azzurro ma avevano un loro lato B e Alva lo conosceva bene. Rare volte lo aveva visto super incazzato e la prova che stava preparando un'esplosione di collera, stile Vesuvio a Pompei,era nel gelo repentino che avvolgeva quell'altrimenti caldissimo colore degli occhi del suo amico.

“Ale,no dai,cos’hai in mente? Quelli sono dei bastardi spietati,non ci pensare neanche! “
“Tu non ti preoccupare. Pensa a guarire e a rimetterti; a quei maledetti figli di una battona ecuadoregna ci penso io!”

Ormai era chiaro: Ale stava già allestendo,nel suo cervello calcolatore e precisino,quella che sarebbe stata una pesantissima vendetta.
Carla tornò giusto in tempo per vedere Ale che si congedava da Alva,lo abbracciò,si baciarono sulle guance,poi Ale tornò a Genova:aveva promesso di che si sarebbe preso cura lui dei bambini di Alva,quel giorno.

Ale comprò da un suo amico una vecchia Audi a gpl,e iniziò a frequentare l'Hollywood,a sabati alterni,per tre mesi,studiando bene le mosse e gli spostamenti,dentro alla discoteca,di quei tre cabrònes.Erano spacciatori da strapazzo: più che altro campavano sugli introiti che Consuelo tirava su dalle sue puntate genovesi. Nonostante tutto
si sentivano dei miniboss della mala latinoamericana sopravvalutandosi un pelino,forse dopo aver visto troppe volte alla tv il film  Scarface,con protagonista Al Pacino,nel ruolo del boss cubano emigrato negli States.
Ale aveva un vantaggio: loro non lo conoscevano. Aveva accompagnato Alva svariate volte alla discoteca, ma non era mai sceso dalla macchina.
Aveva visto,quello si,com'era fatta Consuelo: aveva anche notato i tre peones
che ben due volte si erano fatti imprudentemente vedere a chiacchierare con Alva,mentre Ale,di nascosto,li spiava,confuso tra la folla che faceva la coda per entrare.
Consuelo era di media altezza,con occhi corvini e capelli nerissimi,pelle olivastra ed un sorriso bianchissimo ma la cosa che aveva attizzato e plagiato Alva erano le sue due cosce sode e tornite nonché il suo seno procace e un paio di labbra che avrebbero risucchiato una galassia. Alva non riusciva a resistere davanti a cotanta beltà femminea e,in questi casi,si inventava le storie più inverosimili,pur di incantare la poveretta di turno: in fin dei conti lui voleva solo divertirsi e non capiva perché le malcapitate non lo capivano. Carla era la sua vita,il suo faro,la donna che lui sentiva di amare sul serio. Non la tradiva,no,lui semplicemente sfogava,di tanto in tanto,quella che Ale aveva denominato "esuberanza residua sessual-maniacale". Ale per contro, era uno che per rendere bene a letto aveva bisogno di essere cotto e stracotto, altrimenti si accontentava di scorrerie tra trans a poco prezzo e baldracchette africane dalla labbra carnose.

Ale decise di agire a fine febbraio.Aveva saputo conquistarsi la fiducia di quei tre desperados ,con la sua parlantina in spagnolo,acquisita in anni di vita messicana ma,soprattutto,consolidata con gli acquisti corposi di erba che in verità non era nemmeno di qualità scadente anche se lui finiva per gettarla via,dato che aveva smesso
con il fumo e le droghe. Si concedeva ,una tantum, qualche sbornia e un paio di puttan-tour. Quelli erano i suoi vizi residui.
Ale sostituiva sempre la targa dell'Audi con un'altra fasulla,a rischio controllo della pula e per ben quattro volte l'aveva scampata di un pelo,schivando i caramba grazie a rocambolesche e fortunose inversioni a U e retromarce rapide, sfuggite miracolosamente
all'occhio esperto delle pattuglie di carabinieri presenti nel capoluogo lombardo. Era il suo stratagemma per non dare indizi a quei bastardi ecuadoriani nel caso avessero adocchiato il numero di targa della sua macchina.
Quella sera,l'ultima volta che sarebbe andato all'Hollywood, decise di prendere la sua vecchia punto blu ammaccata e la posizionò ad un paio di chilometri dalla discoteca. Era una notte fredda,stellata,ma Ale era un capricorno tosto,non lo sfiorava nemmeno l'idea che facesse freddo e fosse un febbraio più gelido del solito.
Entrò in discoteca con su un parrucchino biondo;lasciò un vecchio soprabito al guardarobiere e,rimasto in giacca e cravatta si diresse verso i bagni,calmo e lento nel suo procedere. Consuelo era in pista a ballare. Sapeva che quella stronza avrebbe ballato non meno di tre ore di fila. Adocchiò subito Estèfan e l'altro nano impestato.Manuel,come al solito,era dentro al bagno a contare i soldi dello spaccio e a trattare eventuali
partite di maria con avventori del momento. Ale salutò gagliardamente il nanetto poi abbracciò Estefan che ormai lo considerava un hermano,un fratello,per come Ale aveva saputo girarselo bene, sfoggiando battute in puro slang messicano degli anni 90.
Ale entrando scorse subito Tiburòn:stava allo specchio a pettinarsi.Si aggiustava la camicia multicolore,pacchiana e kitch da vomitare sfoderando un sorrisone a 32 denti di cui almeno 7 d’oro.
Non appena vide Ale disse:

 “Vamos a hablar en el tercèro barrio,amigo!” ( andiamo a parlare nel terzo quartiere,amico).
“ Si,seguro,amigo!” gli rispose Ale,spavaldo e allegro.

Il tercero barrio era la terza toilette in fondo.Era praticamente l'ufficio stile Fonzarelli in Happy Days di quel bastardo spietato di Manuel. Ale lasciò che Tiburòn entrasse per primo,quindi si infilò anche lui in quel cesso. Manuel non fece in tempo a comprendere quello che stava succedendo: quando Ale tirò il chiavistello del cesso,come aveva fatto altre volte,Manuel non sospettò nulla.
Non si accorse nemmeno  del rapido voltarsi di Ale e di quel liquido denso e caldo che gli  annebbiò la vista.
Ale aveva roteato il braccio destro,dopo aver estratto un vecchio peso da un chilo,di quelli usati nelle palestre, a forma di disco bucato al centro.Il colpo,caricato e secco,aveva aperto un taglio profondo nella fronte di Manuel che,tramortito,stava ormai per afflosciarsi,ma Ale lo trattenne dalla caduta,col braccio sinistro,accompagnandolo fino a terra,poi gli infilò una calza aggomitolata in bocca,e gliela tenne premuta con il piede sinistro,praticamente tenendo “el Tiburòn” schiacciato a terra,con la testa nel buco della turca.
 Ale lo aveva sempre detto ad Alva: se qualcuno ti facesse del male,io gli potrei rompere tutte le ossa. Alva ci rideva sempre su,ma era contento di quell’ amicizia anche se nel contempo quelle parole gli suonavano inquietanti.

In quello stesso istante,Alva,in ospedale,si era svegliato di soprassalto,madido di sudore e si era fatto portare dell'acqua dall'infermiera.Strani presentimenti gli percorrevano la mente,come jet militari impazziti,avanti e indietro mentre lui,sotto sotto,sentiva che qualcosa doveva essere successo,considerando la sua natura di mezzo medium,della quale si era reso conto già negli anni dell'adolescenza.

Ale guardò l'orologio:ormai stava percuotendo il corpo di Manuel da circa due minuti.Presto sarebbe giunto Estèfan,incuriosito da questo insolito attardarsi del suo capo.
Ale aveva premuto il piede sulla faccia del tramortito Tiburòn e,per due lunghi interminabili minuti,aveva massacrato ,a colpi di peso, tutta la fascia delle costole di quello sventurato,
poi era passato alle clavicole,senza scordarsi di braccia e gambe e, in base al tonfo sordo provocato dagli urti  di quei colpi ,aveva potuto accertarsi di non aver lasciato un solo osso integro,fatta eccezione per la schiena,nella carcassa dell'ormai svenuto Manuel.
“Ok Manuelito – gli sussurrò all’orecchio – non ti devi dimenticare di questo.MAI!”

Non fece il nome di Alva,erano passati tre mesi,non potevano collegare il pestaggio autunnale di Alva con questa macelleria messicana.No,erano troppo ottusi quei tre cabrones  dell'Ecuador. Ale attese che Estefan bussasse alla porta del barrio,ripose il peso nella tasca della sua giacca,sapientemente rinforzata dall'interno, ed estrasse un corto cacciavite,affilato ad hoc ed accorciato fino alla misura giusta per entrare nella tasca dei jeans.
Estefan fu colto di sorpresa. Ale non voleva ucciderlo:solo neutralizzarlo: quindi con un fulmineo colpo dal basso in alto,infilò il cacciavite nella bocca di Estefan,facendolo penetrare dal di sotto del mento,a due centimetri dalla mandibola. Il cacciavite sfondò quella parte di sotto-mascella,bucò la lingua e ritornò da dove era entrato,mentre dal foro di mezzo cm di diamentro iniziava a zampillare un fiotto color rosso rubino.
Estefan si torse,portandosi le mani al collo,e mezzo rantolante si appoggiò al muro.
 Ale si affrettò verso l'uscita,non prima di aver scaricato una serie di cazzotti e calci
sul grugno di quello stangone olivastro. Ora, all’appello,mancava soltanto il nano così mentre alcuni cominciavano a fare casino intorno ai cessi, Ale sapeva che gli restavano pochi minuti per completare l'opera: presto sarebbero accorsi i buttafuori e nel giro
di venti minuti sarebbero arrivati pure i caramba. Si portò a lato della pista,gremita di gente che ballava, si diresse al tavolino in cui solitamente si sedeva "gordito" ( cicciotto) alias Antonio, il tappetto vigliacco che più degli altri aveva infierito sulle costole di Alva e, prima che qualcuno si rendesse conto di qualcosa, lasciò piombare un poderoso fendente
col cacciavite,conficcandolo nel cranio di quel disgraziato.Lo ritrasse alla velocità della luce,per poi assestare ancora due colpi tremendi,sempre sulla testa dell’ amigos latinoamericano,che ormai era semi-svenuto  la cui cute del cranio,squarciata e sanguinolenta,somigliava vagamente ad un polpettone da grigliata.
Ale si gettò nella mischia danzante,attraversò l'immensa pista da ballo,e nessuno si accorse che lui, nel farlo, si era rimesso un parrucchino, mentre a Estefan e Manuel si era presentato calvo come era nella realtà. Il parrucchino biondo,quello indossato al momento dell'ingresso,lo aveva subito gettato sotto un divanetto e ora usciva dalla pista indossandone uno castano,a riga in mezzo.  Nell'avviarsi verso l’uscita si era anche applicato due baffetti posticci. Quando fu all’esterno,con calma e con un'espressione serafica, prese una via traversa che dal parcheggio conduceva ai campi;percorse un paio di chilometri a piedi e arrivò all ’auto.Da lontano intravide i lampeggianti dei caramba e le sirene spiegate delle ambulanze. Dentro di se provò una grande soddisfazione.
Giorni dopo rottamò l'Audi. 
Alva era ormai guarito e tornato a casa ma aveva ancora davanti a sé un lungo periodo di convalescenza prima di recuperare del tutto.
Carla invitò a cena Ale: era il 23 maggio e fuori c'era un profumo di mare in un’atmosfera  serena; i bambini di Alva erano stati a giocare con Ale tutto il pomeriggio.
Quando fu ora di cena fecero onore alla tavola e, dopo che Carla e i bimbi andarono a letto,  i due iniziarono a parlare delle loro cose.

“Ale,ma quei tre saranno sopravvissuti?”
“Tranqui,Alva,li ho solo spaccati un po',non li ho finiti.”

In effetti era andata così: i segni irreversibili di quel massacro,operato con tanta precisione da Ale, rimasero indelebilmente impressi nei corpi di quei tre bandidos che, appena usciti dall’ ospedale, fecero ritorno alle loro famiglie,in Ecuador,e chiusero con l'Italia per sempre.  Alva sorrise felice,poi disse ad Ale di sedersi e che, dato che moglie e figli erano  a letto, poteva finalmente tirare fuori la sorpresa che aveva in serbo per lui,espressamente fatta arrivare da Salzburg,Austria,via corriere. Ale non
credette ai suoi occhi. Era strabiliato. Davanti a lui,sulla tavola,Alva gli collocò una megafetta di gorgonzola verdissimo,quello ultrapiccante,prodotto nel sud della Baviera,di cui Ale andava pazzo. Certo:lo aveva pagato salato,ma,quando si trattava di Ale, non badava a spese.
Presero due coltelli e,insieme, si avventarono sul gorgonzola,divorandone delle sleppe da
due etti l'una,come due bambini impazziti e voraci.
Ridendo i due riandarono,nelle loro testoline,alle mangiate furiose fatte nelle trattorie di provincia,che avevano caratterizzato larga parte dei loro trascorsi pre-genovesi quando ancora il loro divertimento più grande era suonare ai citofoni della gente per poi spernacchiare e fuggire.
Alva, ad un certo punto,  allungò un braccio e da uno scaffale prese una bottiglia. Era uno Chablis del ’71.
Lentamente lo stappò e ne versò un dito in un largo bicchiere.
“ Assaggia questo!” – disse ad Ale.
L’altro ne bevve un goccio.
“ Ottimo!” – rispose.
Qualche minuto dopo la bottiglia era vuota e da lì a non molto si sarebbero addormentati sulle loro sedie con la testa reclinata all’indietro.

Come ai vecchi tempi.


                                                                                        Testo di Alex Pagel
                                                                                         con alcune intromissioni di Hal.