VOTAMI!

web sito ImageChef Custom Images "Ormai quasi giunto al termine della mia vita di peccatore, mentre declino canuto insieme al mondo, mi accingo a lasciare su questo blog testimonianza degli eventi a cui mi accadde, mi accade e mi accadrà di assistere durante il periglioso viaggio che mi separa dalla tomba. E Dio mi conceda la grazia di essere testimone trasparente e cronista fedele di quanto ho visto. Possa la mia mano non tremare mentre mi accingo a scrivere certi eventi e ricordare l'inquietudine sottile che opprime l'animo mio mentre mi collego quotidianamente a questo blog poiché oggi ho la certezza che sto rettamente interpretando gli indubitabili presagi ai quali, da quando nacqui, stoltamente, non diedi peso ."

martedì 27 novembre 2012

Oh, mamma!

Oh, mamma, che cosa ho fatto?
Oh, mamma, dove ho sbagliato?
Oh, mamma, perchè mi hai picchiato così duramente?

Oh, mamma, addio!
Con la tua pancia floscia,
con la tua bocca e la dentiera,
con i tuoi occhi da pazza,
con i tuoi occhi da donna imbecille,
con i tuoi occhi da utero retroverso,
con i tuoi occhi da divorzio,
con i tuoi occhi da lobotomia,
con i tuoi occhi solitari,
sotto lampade al neon,
che non contano nulla.
Oh, mamma, dove eri?
Oh, mamma, dov'eri quando giocavo a tappi
in via De Gasperi
nel portone al numero 42
insieme a quattro stronzi dei miei amici
che ridevano quando tu passavi
tutta agghindata e profumata come una zoccola?

Io ero li e mi vergognavo di te.
Ma eri mia mamma.
E io tuo figlio.
Respiravo la tua stessa aria in quella casa.
Dovevamo essere una famiglia.
Ma tu mi picchiavi e prendevi il Lexotan.
E io ti spiavo nel tuo sonno farmacologico.
Ti avrei spaccato la testa con una pietra
o con un martello
ma la nonna lo nascondeva sempre così bene!
Trovavo solo la pinza a pappagallo
e potevo forse strapparti il naso o i denti.
Ma ero dolce  e buono.
Ti odiavo soltanto.
Oh, mamma, non sono stato sincero con te.
Sono stato un simbolico desiderio di unione
tra l'amore e l'imperfezione
come lo fu una volta per Baudelaire
oltre 100 anni fa
mentre camminava su un terreno
con un sacco di buche intorno
che pareva un campo da golf.

Oh, mamma, lo sapevi
che qui da noi
quel campo si chiama cimitero?

                                                                                            Alva.


giovedì 22 novembre 2012

Paranoia.


Mi è stato detto
che in tutto ciò che scrivo
ci sarebbe qualcosa di nascosto,
di altamente degradante.

Che significa?

In effetti
io stesso
non credo a ciò che scrivo,
indovino solo
le conseguenze
dei brividi e delle paure.

A volte
mi riposo da me stesso
al solo scopo di dimenticare
anche per un solo momento
che le mia esistenza è falsa,

inventata,
oggettivamente artificiale.

Credevo di essere solo
ma non al punto
di vedere solitudine ovunque.

Ero un amico a tre dimensioni,
godevo delle forme elementari,
superfici piane
che stavano accanto a me,

che coccolavano la mia morale.

Ammesso che tutto ciò sia vero,

che ne sapete voi?
Conoscete i miei bisogni?

Non ho necessità di parlare o ridere con voi.
Per questo ci sono gli spettri che avete intorno.
Fantasmi come amici.
Morti sugli autobus che si spostano.
Che tornano nei loro quartieri – cimitero,
che aprono le loro tombe chiuse a chiave.

Sono lenti,
lentissimi,
consultano calendari
e chiedono: che giorno è oggi?

senza sapere
che non ci sono giorni
ma velocissimi ingranaggi
che macinano il tempo.

Siamo tutti nel nostro cantuccio,
legati a colonne bibliche,
vincoli duri da abbattere.

Siamo una specie eletta,
abbiamo doveri da rispettare
e mentre siamo giovani

timorati e sensibili
a tutto ciò
che è da sempre
ritenuto degno di considerazione

diventiamo vecchi,
curvi,
sempre più rivolti
a una terra che ci attende.

Maledette anime terremotate

strappate via

impulsi come ordini

padroni come servi

prepotenti desideri di fuga

aridità dei sensi.

Che bella
le seduzione della morte.
Paura e diffidenza

disprezzo e amore

gesti sacrileghi

che ristagnano nelle navate delle chiese

alla pari di ebbre ed esultanti interiorità spirituali.

Enigmi.

Domande e problemi.

Chi siamo?

Dove stiamo andando?

Da nessuna parte!

O forse
da nessuna parte in particolare.

I nostri pensieri
vili pozzanghere mentali

ci ingannano
ci portano lontano
ci isolano
ci costringono all'angoscia
ci trasformano.

Siamo pallide luci
fredde parole che volano via.
Tante cose e nessuna.


In realtà
quando guardo dentro il cielo
vedo i pianti di milioni di persone
che stridono nella mia mente
come fabbriche nella notte.

Ma io sono leggero e sottile

io viaggio tra quei pianti

sfiorandoli appena

e negli ultimi istanti di eternità

a me concessi


sorrido.

                                                                     Alva.



                                                 

martedì 20 novembre 2012

My name is Giobbe.


Il mio nome è Giobbe
nacqui  ad  Uz
nell’Arabia settentrionale
vicino agli edomiti
a sud dei sabei
e a est dei caldei.
Temevo Dio e mi ritraevo dal male.
Ebbi sette figli e tre figlie.
Il mio bestiame era di settemila pecore
tremila cammelli
cinquecento bovini
e cinquecento asine.
Avevo anche una grande servitù.
Ero il più grande di tutti gli orientali.
Poi venne Satana
e  Dio gli chiese:” Da dove vieni?”.
E lui rispose:” Dal percorrere la terra e dal camminare per essa!”.
E Dio era certo che Satana avesse rivolto lo sguardo verso me.
Ma lui rispose che io ero al sicuro poiché avevo una siepe attorno a me.
Una siepe di protezione
e che senza di essa io avrei maledetto Dio.
Così Dio gli disse:” Ecco, ogni cosa che ha è nelle tue mani. Solo non toccare la sua anima!”
Fece questo perché era certo che io non lo avrei mai biasimato.
E Satana non perse tempo
e mandò i sabei a rubarmi il pascolo
e fece uccidere i miei servitori
eccetto uno per riferirmelo.
Poi mi presero le pecore,
 i cammelli,
e i miei figli e figlie caddero
a causa del vento
e io strappavo il mio vestito
e mi tagliavo i capelli e dicevo:
“ Sono uscito nudo dal ventre di mia madre
e nudo vi tornerò!”
Ma non peccai.
Né attribuii qualcosa a Dio.
Così Dio incontrò nuovamente Satana
e gli fece notare che io avevo mantenuto la mia integrità.
Ma Satana disse:
“ Pelle per pelle e l’uomo darà tutto ciò che ha per la sua anima!”.
E Dio rispose:
“ Ecco, è nella tua mano! Fanne quello che vuoi. Solo non toccare la sua anima!”.
E poco dopo mi ritrovai
foruncoli maligni dalla pianta del piede
alla sommità del capo.
E prendevo pezzi di terracotta per grattarmi
e mi rotolavo nella cenere.
Mia moglie una volta urlò:
“ MALEDICI IL TUO DIO E MUORI!”
E io risposi:
“ Accetteremo da Dio ciò che è buono e non accetteremo anche ciò che è male?”.
In tutto questo, credetemi, io non peccai mai con le labbra.
Ma un brutto giorno
quando il dolore diventò insopportabile
invocai il male su di me e dissi:
“Perisca il giorno nel quale nacqui,
Anche la notte che qualcuno disse: ‘È stato concepito un uomo robusto!’
In quanto a quel giorno, divenga tenebre.
Non lo cerchi Dio da sopra,
Né brilli su di esso la luce del giorno.
Lo reclamino tenebre e profonda ombra.
Vi risieda sopra una nuvola di pioggia.
Lo terrorizzino le cose che oscurano il giorno.
Quella notte, la prenda la caligine;
Non si allieti fra i giorni dell’anno;
Non entri fra il numero dei mesi lunari.
Ecco, quella notte, divenga sterile;
Non vi entri grido di gioia.
La esecrino quelli che maledicono il giorno.
Si oscurino le stelle del suo crepuscolo;
attenda la luce e non ce ne sia;
e non veda i raggi dell’aurora.
Poiché non chiuse le porte del ventre di mia madre,
e non nascose dunque l’affanno ai miei occhi.
Perché non morivo io dal seno?
Perché non uscii dal ventre stesso e quindi non spirai?
Perché mi si presentarono le ginocchia,
e perché le mammelle affinché succhiassi?”


Ma poi
quando capii
che non c’era idea
che fosse per lui irrealizzabile
Dio accettò il mio pentimento
e benedisse più la mia fine che il mio principio
e mi ritornarono
quattordicimila pecore e seimila cammelli,
e mille bovini
e mille asini.
Ebbi anche sette figli e tre figlie
e vissi centoquarant’anni
e quando morii

ero vecchio e sazio di giorni.


Il mio nome era Giobbe: e il tuo?

                                                                                                        Alva.



venerdì 16 novembre 2012

Il pescatore.


Ho ballato un’infinita danza
attendendo i paradisi dell’alba
e  tutto ciò
che era nel bagliore della notte
l’ho lasciato nel bagliore della notte.

Ho vissuto e amato
odiato e amato
baciato e amato
e nutrito il battito del mio respiro.
Sentivo la vita come infinita
e il mondo come infinito
senza la fine dei suoi giorni.

Era infinito anche il profumo dell’amore
mentre gemevo per un orgasmo perduto.
Mi sentivo eterno
come l’anonimo volto della morte
e il rumore
con le sue eterne allucinazioni
confondeva la mia anima.

Un giorno lasciai la mia memoria
sui tetti di Gerusalemme
mentre calava il tramonto
e osservai un nostalgico elefante
immergere la proboscide nel fiume.

La nausea riempiva il mio corpo
e solo il canto
di un upupa lontana
mi salvò dalla pazzia
ma ora
che ho 49 anni
cerco l’amante
che non mi soddisferà
in una guerra
dove il tempo scivola a terra
trasformando l’atto del sesso
e l’atto della poesia
nel momento dello scrivere
e del venire
e anche se leggo Proust ed Apollinaire
o Sartre e Beauvoir
a volte ho difficoltà a scrivere

e le parole non emergono sulla carta

così accendo una piccola lampada
che disegna un cerchio sul foglio

e attendo:

è la luce che conta.

E’ la luce che attira i pesci di notte.

                                                                                    Alva.