Mi ricordo che
ero bambino
e correvo
correvo
non ero mai stanco
sentivo l’aria che mi
accarezzava
ed ero felice
ridevo sempre.
Mia nonna urlava dal balcone
“Attento a non cadere!”.
Io la guardavo
e continuavo a correre.
Tutto era bello
ed il sole splendeva.
Mi ricordo che
quando fui più grande
incontrai brutta gente
ed il disprezzo e
l’indifferenza
verso gli altri
si accamparono in me.
Litigavo con tutti
facevo a botte
dicevo parolacce
non correvo più
e la gente
iniziava ad osservarmi
ma io li odiavo
sputavo sui loro passi.
Mi ricordo che
quando crebbi ancora
ero il più grande
ed il più grosso
io lo sapevo
e mi divertivo
a spaventare tutti
avevano paura di me.
Me ne approfittai
diverse volte
facendo piangere
tanti bambini
ma la cosa
non mi toccava più di tanto.
Mi ricordo che
quando mi sposai
giurai amore e rispetto
alla donna che mi stava a
fianco
ma non mantenni nulla
ed io rimasi solo.
Mi ricordo che
ebbi molte donne
ma trattai male anche loro
le feci piangere.
Mi lasciarono tutte
ed il sole
non splendeva più come prima
e l’aria
quando mi toccava
mi faceva male.
Mi ricordo che
quel giorno all’ospedale
mi dissero
che avrei avuto
ancora poco da vivere.
Io risi.
Ero ancora forte.
Una roccia d’uomo.
Certo, non potevo più correre
tanto veloce
ma ero un gigante
incutevo ancora timore.
e mentre me ne andavo
sapevo che alla Morte
non facevo paura.
Ed ora
eccomi qua
in questo letto
con la pelle
che mi fascia le ossa
senza un capello
debole ed inerme
e le persone che stanno
intorno a me
hanno tutte la faccia tirata.
Nessuno è triste.
Sono qui solo per dovere.
Sanno che sono stato un
figlio di puttana
e che morire
non è una punizione
sufficiente.
Li capisco.
C’è anche mio figlio.
Un uomo ormai.
So cosa sta pensando.
E me lo merito.
Appeso al muro
davanti a me
c’è un orologio
che segna le 20:30
e sono conscio
che non vedrò mai le 21.00
Mi godo in silenzio
gli ultimi istanti
della mia vita.
Non ho paura.
Io so perdere.
Solo, vorrei avere un po’ più
di tempo
per scusarmi con tutti.
E’ ora di andare.
Il demonio reclama la mia
anima.
Ora intorno a me
tutto è sfocato
cerco di far mia
ancora un po’ d’aria.
Ho come un tremito.
ed eccolo, l’ultimo ricordo…
mi vedo bambino
e corro
corro
corro
quando ad un tratto
incontro mia mamma.
Alzo lo sguardo
e, ansimando, chiedo:
“…mamma quando morirò io?”
“…ma cosa ti viene in mente?
Tra tantissimo tempo!!” - mi risponde
“…com’è quando si muore?” - chiedo
“…non lo so, piccolo, non lo
sa nessuno!”
Poi fa un lungo sospiro.
“…ma ora è tardi, torna a
casa” - dice sorridendo.
Io la saluto con la mano
e mi vedo riprendere a
correre.
“…torna a casa!” urla mia
mamma.
Sempre più veloce.
E vedo il sole che splende.
Sembra messo lì apposta per
me.
Ma è un sole strano
è come se si muovesse
qualcosa
al suo interno
è come se…
L’orologio a muro
segna le 20:58.
Il tempo.
Ecco cosa rincorrevo.
Il tempo.
Chiudo gli occhi.
Sto morendo.
Sto tornando a casa.
Alva.
Hal sa sempre estrapolare le emozioni più perspicacemente realistiche che zampillano dall'animo umano.Il racconto infatti è molto concreto ed ancorato all' esperienza psicologicamente ,e prosaicamente, contorta ed irrisolta del protagonista.
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