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web sito ImageChef Custom Images "Ormai quasi giunto al termine della mia vita di peccatore, mentre declino canuto insieme al mondo, mi accingo a lasciare su questo blog testimonianza degli eventi a cui mi accadde, mi accade e mi accadrà di assistere durante il periglioso viaggio che mi separa dalla tomba. E Dio mi conceda la grazia di essere testimone trasparente e cronista fedele di quanto ho visto. Possa la mia mano non tremare mentre mi accingo a scrivere certi eventi e ricordare l'inquietudine sottile che opprime l'animo mio mentre mi collego quotidianamente a questo blog poiché oggi ho la certezza che sto rettamente interpretando gli indubitabili presagi ai quali, da quando nacqui, stoltamente, non diedi peso ."

lunedì 17 novembre 2014

Luci blu.


Non riesco a capire.  

Devo avere una sorta di sottrazione neurale che mi assale perchè ora certe storie che ho vissuto, proprio non me le ricordo quindi penso a ogni situazione come se non l'avessi mai provata prima.
Magari nemmeno sbaglio.
Sento la parte razionale del mio cervello che si agita e pretende spiegazioni.
Di solito mi aggiro per la casa e lascio che il mio sguardo si poggi ovunque.
Ma ora sono immobile davanti alla grande vetrata del salone e ho solo voglia di guardare fuori.
Abito al quarto piano di un palazzo signorile, in una zona bene della città di Genova.
Il citofono d’ottone riporta il nome delle ventuno famiglie che vi abitano, tre per piano, tutti proprietari eccetto due coppie che vivono al piano terra.
Il mio cognome e quello di mia moglie, stampati in un corsivo elegante, figurano in quinta fila: Cerqueti - Solari.  
Dal mio piano posso vedere la strada: stanno calando le prime ombre della sera e i lampioni iniziano ad accendersi riflettendo la loro luce triste sul selciato bagnato.

Scorgo anche il palazzo di fronte e spesso, ultimamente, mi sono ritrovato al buio a spiare i frammenti di vita altrui, che si svolgono all’interno di quelle stanze: conosco ormai tutte le abitudini di coloro che vivono nell’edificio. L’inquilino del secondo piano, per esempio, è un uomo che vive solo, col suo gatto grigio: esce la mattina, dopo aver messo in una ciotola il cibo per l’animale e alle quattro del pomeriggio è già di ritorno. Passa il resto della giornata a parlare con la bestiola, che ricambia il suo affetto strusciandosi continuamente tra le sue gambe, o acciambellandosi sulle sue ginocchia quando egli guarda la televisione

Poi c’è la tipa del quarto piano, una donna sulla quarantina, stile punk, con ciocche di capelli tinte nei colori più strampalati, rosse, viola, arancio. Incredibilmente è un architetto. Si muove sempre a scatti , spesso strilla e sovente cambia compagno. Vive con la figlia, un’adolescente dal viso angelico, il corpo magro, quasi etereo, i gesti sempre calmi e misurati : tra le due è lei a sembrare la più adulta.

Ho molto tempo da spendere durante la giornata: la mia ditta di stampi pressofusi in plastica è stata spazzata via dal vortice della crisi sedici mesi fa, vanificando i sacrifici di una vita.  Ho quarantotto anni e nemmeno più la forza di ricominciare; guardare la vita che si svolge nelle case altrui, mi fa sentire ancora vivo, nonostante tutto. Mia moglie è avvocato e lavora in uno studio prestigioso in via XXSettembre.

Da quando è accaduta questa sciagura anche le cose tra noi hanno iniziato ad andare male o, forse, non sono mai andate troppo bene ma non avevamo il tempo di accorgercene presi come eravamo dalla frenesia del lavoro; sull’altare della carriera abbiamo sacrificato tutto, anche i sentimenti che pure una volta nutrivamo l’uno per l’altra.

Erano sopraggiunti i primi litigi: lei mi reputava colpevole delle mutate condizioni economiche e come ripeteva spesso, ero divenuto un peso, una zavorra da mantenere, dimentica dei quattordici anni vissuti a parti invertite, quando io le facevo fare la bella vita e le pagavo gli studi all’università.

Ogni giorno diventava sempre più arrogante e stabiliva una nuova soglia di non ritorno nel calpestare la mia dignità. Dovessi dire ora un motivo per cui l’ho sposata non saprei se non che a quell’età il cervello è posizionato sotto la cintola: ora è una donna avida, priva di una qualsivoglia intelligenza emotiva, non ha empatia ed è spietata.  La fortuna è che rimane fuori al lavoro per tutto il giorno e in genere torna molto tardi la sera. Eccetto oggi che è rientrata alle cinque del pomeriggio per comunicarmi che si è innamorata di un’altro e vuole il divorzio. Poi si è chiusa in camera da letto a fare le valige.

Oggi è una giornata d’inferno. Troppe cose sono accadute o stanno accadendo: al quarto piano del mio edificio è stata assassinata una donna a coltellate  e questo fatto ha gettato tutto il palazzo nell’ angoscia.

Era una quarantenne che conoscevo poco.

Come si può pensare che in un palazzo borghese come il nostro possano accadere simili atrocità?

Ho sempre creduto che certi episodi potessero accadere solo nei palazzi popolari, nelle zone del sud, malavitose e retrograde, magari nelle periferie nei quartieri sovraffollati, o dove permea la malavita organizzata. Ma qui, in una zona signorile, abitata da gente colta ed elegante, gente che non si affida al bieco istinto, capace di risolvere le sue controversie con civiltà e decoro, ebbene qui, in questo caseggiato, la cosa ha dell’inverosimile.

Dalla mia postazione, davanti alla vetrata, vedo i lampeggianti blu delle auto della polizia che a sirene spiegate posteggiano davanti al mio portone: l’uomo è ancora asserragliato in casa.

Alcuni agenti scendono e danno un’occhiata ai nomi sul citofono, anche al mio : Cerqueti – Solari.
Anzi da oggi solo Cerqueti.
Li sento salire le scale in fretta e furia.
Potranno entrare nell’appartamento senza suonare : ho lasciato la porta d’ingresso aperta.
Mi giro per un istante per accertarmene.
A sinistra anche la porta della camera da letto è aperta.
Sul letto, il corpo senza vita della sconosciuta che è stata mia moglie.
C’è sangue ovunque.
E’ sempre stata una donna che non stava mai ferma.
Doveva sempre fare qualcosa.
Ricordo che era capace di camminare avanti e indietro per la casa continuando ad insultarmi per ore.

Pensavo di farla tacere con una coltellata e invece ho dovuto dargliene sei perché solo con l’ultima ha smesso di urlare e di muoversi.

Guardo fuori dalla vetrata e ora le luci blu sono aumentate.

Sento che all’ingresso sono entrati i poliziotti e mi stanno cercando.

 

“SONO QUI!” – urlo.

 

Uno di loro ha una pistola in mano.

Si avvicina.

Gli tendo la mano destra.

 

“ Piacere, Cristian Cerqueti – dico – ho ucciso mia moglie!”.  

 

 

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