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web sito ImageChef Custom Images "Ormai quasi giunto al termine della mia vita di peccatore, mentre declino canuto insieme al mondo, mi accingo a lasciare su questo blog testimonianza degli eventi a cui mi accadde, mi accade e mi accadrà di assistere durante il periglioso viaggio che mi separa dalla tomba. E Dio mi conceda la grazia di essere testimone trasparente e cronista fedele di quanto ho visto. Possa la mia mano non tremare mentre mi accingo a scrivere certi eventi e ricordare l'inquietudine sottile che opprime l'animo mio mentre mi collego quotidianamente a questo blog poiché oggi ho la certezza che sto rettamente interpretando gli indubitabili presagi ai quali, da quando nacqui, stoltamente, non diedi peso ."

mercoledì 14 settembre 2011

Clochard.

Era una mattina come tante a Cornigliano. I postumi della sbronza lo martellavano. La notte era stata orribile in quella stanza lurida. Gli incubi si erano alternati a risvegli da capogiro. Aveva vomitato sul pavimento e su se stesso. La puzza era nauseante. Indossava, come sempre, il suo impermeabile beige, ormai consunto dagli anni e dalla sporcizia. La barba, incolta e lunga, gli pendeva dal mento come una triste appendice. Il volto, scavato dall’alcol, aveva ancora discreti lineamenti che gli conferivano un’aria quasi nobile. Gli occhi, di un azzurro chiaro, contrastavano con tutto il resto, regalando un’impressione di pulizia e vivacità intellettuale a chi li incontrava. Il suo sguardo, profondo e sofferente, era di chi aveva tanto vissuto e molto sofferto.
Si alzò faticosamente da un materasso lercio, raccattato chissà dove, e si guardò intorno come non aveva mai fatto.
Accatastati lungo i muri di quella stamberga vi erano decine di copertoni d’auto che servivano ad isolarlo dal freddo esterno; cassette di legno per verdure, cartoni grandi e piccoli, bottiglie vuote e un carrello da supermercato erano sparsi ovunque. Un contenitore di plastica verde accoglieva i suoi escrementi, proiettando in quell’interno terribili segni della sua presenza.
Quando fu ritto in piedi barcollò scaricando il suo peso ad un grosso tubo arrugginito all’interno del quale, un tempo, quasi sicuramente, scorreva dell’acqua.
Girò lo sguardo a fatica in direzione di un frammento di specchio, incastrato tra le crepe del muro, squadrandosi per molto tempo.
Quel triangolo irregolare rifletteva un’immagine che non era esaltante.
Si chinò leggermente, afferrò una bottiglia appoggiata lì da chissà quanto tempo e, con un gesto lento ma deciso, la fracassò sullo specchio.
L’immagine scomparve. Una scheggia gli procurò un taglio sulla mano destra e il sangue iniziò a colare; prima piano poi sempre più copioso.
Stette ad osservare quella ferita. Prese un vecchio calzino sporco e semi rigido e se la fasciò. Si diresse verso la porta e le assestò un calcio. Fece un passo e fu fuori.
Il gelo esterno si aggrappò a lui facendolo rabbrividire. Tirò su il bavero del suo impermeabile e si soffiò fiato caldo all’interno delle mani messe a mò di coppa. Intorno a lui c'era una Cornigliano  gelata, piante spoglie e pozze d’acqua ghiacciate. Diede un’ultima occhiata a quella baracca che si era costruito tanti anni prima, si voltò e iniziò ad allontanarsi.
Aveva deciso: se ne sarebbe andato. Non sapeva dove ma camminando si sarebbe riscaldato. Il terreno brullo ed impervio metteva a dura prova le sue scarpe zeppe di buchi e strappi ma, in quella mattina, ricominciò a pensare.
Era tanto che non riusciva a farlo occupato com’era a bere, a subire umiliazioni dagli altri e a far sì che la vita continuasse a scorrere dietro a lui per affrontare un altro giorno, per interpretare un altro atto della sua personale commedia, nell’attesa che calasse il sipario. Gli venne in mente di quando era bambino. CERTO!! Lo era stato anche lui; anche se tantissimo tempo prima.
Ma cosa gli era successo? Inutile cercare di ricordare! Era tutto annebbiato nella sua mente…come quella mattina.
Aveva avuto una famiglia? Una casa? Dei figli?
Ma a chi sarebbe interessato questo? Avrebbe cambiato qualcosa nella sua vita?
Continuò a camminare fino a che arrivò accanto ad uno scambio ferroviario all'altezza di Sestri Ponente. Si sedette proprio davanti dove c’era un piccolo avvallamento fatto a culla, quindi si sdraiò. Il freddo pungente lo avvolse ma i suoi occhi azzurri splendevano. Come un piccolo squarcio di cielo in quel mattino grigio e ventoso.
Era intenzionato a riposarsi un po’, prima del passaggio del treno merci. Allora si sarebbe alzato e, mentre il treno rallentava, sarebbe salito. Se ne sarebbe andato via. Per l’ennesima volta. Come sempre.
L’aveva fatto centinaia di volte. Solo che ora si sentiva stanco. Voleva riposare solo un attimo.
L’avrebbe sentito il treno. Avrebbe sentito il suo lungo fischio.
Ce l’avrebbe fatta anche questa volta.
Così, lentamente, chiuse gli occhi lasciando che quell’azzurro scomparisse in lui.


Poco dopo il treno fece capolino all’orizzonte. Lentamente si avvicinò e con un lunghissimo fischio avvisò quel pezzo di mondo della sua presenza.
Quando passò accanto al vecchio sdraiato, fece vibrare il terreno sotto di lui e il vento, dovuto allo spostamento d’aria, gli scompigliò la lunga barba.


Ma l’anziano uomo aveva iniziato il suo più lungo viaggio con qualcosa di diverso sul viso. Qualcosa che sembrava un sorriso.

Chissà quale sarà stato il suo ultimo sogno.
O era appena iniziato?
Nessuno l’avrebbe mai saputo.
E a nessuno sarebbe mai interessato.


Il treno scivolò nuovamente a levante mentre tutt’intorno calò il silenzio.
Un silenzio così assordante che nemmeno l’urlo dell’intero genere umano sarebbe riuscito a sovrastare.



Alva.