VOTAMI!

web sito ImageChef Custom Images "Ormai quasi giunto al termine della mia vita di peccatore, mentre declino canuto insieme al mondo, mi accingo a lasciare su questo blog testimonianza degli eventi a cui mi accadde, mi accade e mi accadrà di assistere durante il periglioso viaggio che mi separa dalla tomba. E Dio mi conceda la grazia di essere testimone trasparente e cronista fedele di quanto ho visto. Possa la mia mano non tremare mentre mi accingo a scrivere certi eventi e ricordare l'inquietudine sottile che opprime l'animo mio mentre mi collego quotidianamente a questo blog poiché oggi ho la certezza che sto rettamente interpretando gli indubitabili presagi ai quali, da quando nacqui, stoltamente, non diedi peso ."

sabato 29 dicembre 2012

Cara mamma...


...ti scrivo per dirti che ho compiuto un gesto orribile: ho ucciso papà! Ero stanco di vederti piangere e subire le sue botte quando lui tornava a casa ubriaco.  Lo strano è che non me ne pento affatto. Piuttosto ne sono turbato perché non avrei mai creduto potesse andare a finire in questo modo. Tutto è iniziato un giorno in cui ho pensato, ma solo nella mia immaginazione, che avrei potuto ferirlo con un coltello, magari solo per spaventarlo, per fargli capire che non poteva più considerarmi “un ragazzino”, che non avrebbe dovuto più toccarti e che la vista del sangue, il suo sangue, lo avrebbe cambiato. Ho immaginato anche di possedere la certezza che tanto poi avrei potuto fermarmi in qualsiasi momento.
Invece, credimi, è accaduto qualcosa di imprevisto: più andavo avanti, più mi piaceva. Mi sarei aspettato il contrario. Avrei dovuto fermarmi.  Avrebbe dovuto farmi ribrezzo.
Ricordo che a un certo punto ho detto a me stesso: “ Fermati, pazzo, molla il coltello, esiste un limite da non superare e tu l’hai raggiunto proprio adesso”.
Non mi sono fermato, invece; superare quel punto è stata un’esperienza inebriante, un' eccitazione che ha letteralmente fatto saltare ogni nervo del mio corpo. E’ durata solo qualche minuto, ma in quel lasso di tempo non ero più io, mi ero trasformato in un buco nero, un perfetto stato di entropia in cui tutta l’energia del mondo collassava dentro me impregnandomi del suo calore impossibile. Una carica insostenibile per un uomo solo ma degna di una divinità assoluta ai primordi dell’universo quando è finalmente il momento di plasmare la realtà e costruire il tempo.
Non mi biasimo. Nessuno al mio posto avrebbe voluto tirarsi indietro, ci scommetto.
Varcato il limite non c’è più via di ritorno.
Mi spiace. D’altronde era anche tuo marito anche se so che non piangerai per lui.
Tuo figlio.
                                                                                                        Alva.

venerdì 21 dicembre 2012

Tutti giù per terra!



E’ una brutta giornata per me,anche se lassù il sole splende. Il 2013 è appena iniziato e l’immenso girotondo consumistico, almeno per ora, è finito. La fine del mondo non è arrivata ma dentro di me è come se si fosse presentata puntuale distruggendo ogni cosa fin nei minimi particolari. Tutto mi va storto. Le case editrici continuano a rifiutare i miei racconti perché sono privi di speranza. SPERANZA! Proprio in Liguria dove è difficile fare ogni cosa perfino le cose più normali quali avere un lavoro dignitoso e farsi una famiglia quindi figuriamoci per uno come me che ha la pretesa di vivere facendo lo scrittore! Passo accanto ad una panetteria e sento il profumo della focaccia con le cipolle. Lo stomaco mi dà immediatamente una frustata avvisandomi che l’ora di pranzo è vicina. No, non mi riesce di far ridere la gente. A me piace farla riflettere. Non sono uno scrittore di favole e quello che scrivo non finisce mai con un “… e vissero felici e contenti”. Le mie sono istruzioni per l’uso per quello che realmente la vita ci consegna nel quotidiano; un po’come fa il bagnino con quello che sta per annegare: ti salva la vita ma ti deve stordire con un pugno in volto. E’ un brutto metodo ma almeno tornerai a festeggiare Natale, capo d’anno e le feste comandate insieme alla tua famiglia. Ultimamente un amico mi ha detto:
“ Fatti un regalo: prova a sorridere ogni tanto, vedrai che anche i tuoi racconti sorrideranno!”
Mentre sto percorrendo via Ansaldo in direzione di Piazza Massena, decido di attraversare i giardini Melis. Debbo essere sincero: non ne ho manco per l’anima
di passare in posti del genere dove giocano mocciosi e requiescono in pace i vecchietti ma oggi, chissàperchè, nonostante il freddo, ho voglia di farlo. Dopo qualche passo mi imbatto in 5 bambini la cui somma dei loro anni fa 35. Li guardo come si osservano le cose di poco interesse e che subito si dimenticano quindi continuo per la mia strada a testa bassa, come un siluro verso la chiglia di una portaerei, ed è proprio in quel momento che sento una vocina:

“ Signore, fai il girotondo con noi?”
Mi fermo di colpo pensando che un siluro non lo avrebbe mai fatto.
“ Che hai detto?” – domando.
“ Il girotondo, signore, ci manca uno per farlo!” –risponde.
Lo squadro,anzi, lo attraverso.
“ E allora? - sbotto - non potete farlo in 5?”
“ No,no,no,no,no! -replica – se lo facciamo in 6 il cerchio è più grande!”

Sento un demone che entra nel mio corpo come se stesse indossando un vestito.

“ Ascolta, piccoletto, hai notato quanto sono alto io? Mi ci vorrebbero delle braccia lunghe 2 metri per afferrare le vostre pinzette!” - sibilo con sarcasmo.

Il bamboccio umano si fruga nelle tasche, tira fuori 2 cordini lunghi un metro ciascuno ed esordisce:
“ Tu tieni questo da una parte e noi dall’altra!”.

Mi accovaccio per piantargli il mio sguardo nel suo e dico:
“ Senti piccoletto, mi spieghi che importanza può avere per voi, oggi, fare o non fare il girotondo?”

Lui mi guarda. Non dice più nulla. Ma vedo l’umido nei suoi occhi. Speriamo che non...OH NO! TI PREGO!TI PREGO! TI PREGO...NON PIANGERE!

Così mi guardo in giro, per accertarmi che nessuno mi scorga. Anche uno scrittore fallito ha una reputazione.
“ OK,OK,OK,OK....FARO’ QUESTO GIROTONDO !”

Il nanetto come ha iniziato, finisce. Era tutta scena!
Se fosse alto almeno un metro in più, gli stamperei un calcio nel sedere da spedirlo in Oregina.  Poi tira fuori i cordini. Li afferra. Tutti si danno la mano. Io agguanto i cordini. Si inizia a girare.

                   
                              GIRO, GIRO TONDOOOOOO…
Controllo che nessuno mi veda.

                              CASCA IL MONDOOOOOO…
Chissà perché mi rifiutano quello che scrivo. Non sanno loro che sono alla fame? Ogni grande scrittore ha fatto la fame! Ma quando sai che la fame la fanno gli altri
e tu hai la pancia piena fa un effetto un attimino diverso.

                              CASCA LA TERRAAAAAA…
Se ne accorgeranno presto quei maledetti. Io sono uno scrittore. Io fotografo la vita.
Loro,  invece, non fanno altro che aspettare gente come me per poter continuare ad ingrassare sulle loro poltrone di pelle. E poi qualcuno ti dice che devi sorridere: ma per cosa e soprattutto: perché?

                              TUTTI GIU’ PER TERRAAAA!

I bambini sono tutti per terra e stanno ridendo. Non so perché o per cosa.
Sento tirare i cordini. Dopo un po’ di resistenza tento di accucciarmi ma perdo l’equilibrio e cado sul prato. Avverto l’erba fredda sul collo. Ora hanno un buon motivo per ridere poiché sembro una tartaruga a pancia all’aria: annaspo. Siamo tutti a terra. La gente intorno ci guarda e sorride.  Il sole filtra tra gli alberi. Socchiudo gli occhi per reazione e la percezione di quelle risate si acuisce. Mi prendono in giro.
Io, un vecchio, che fa il girotondo.
- Maledetti bambini! – penso,ma un sorriso già mi taglia la faccia ed è troppo tardi: mi sono alzato insieme a loro per ricominciare.
Anche a sorridere.

                                                                                         Alva.

sabato 8 dicembre 2012

Due vecchi bastardi.


Alvino Micheloni cammina lentamente. I suoi 84 anni si fanno sentire,specialmente in questa fredda giornata di dicembre. Sono le 15,il fiume Bormida scorre pigro e  freddo sotto l'arcata del ponte Carlo Alberto,il sole brilla dorato,sopra le colline di sud- ovest e la mancanza di vento rende comunque gradevole una passeggiata in corso Bagni. Alvino giunge alla fine del ponte,poi si ferma: non sa se proseguire dritto oppure
attraversare,per portarsi sul lato est del medesimo. Sceglie quest'ultima ipotesi e si incammina,lento e pensoso:pare la riedizione un po' più agile del Balordo,impersonato da Tino Buazzelli  alla rai tv,tratto dall'omonimo romanzo e andato in onda settanta anni prima. Fatti pochi passi si ferma un po' perplesso: a qualche decina di metri,attraversata la strada,ecco un anziano signore,anche lui evidentemente ottuagenario,che,all'aspetto,
così snello e dignitosamente assorto,gli ricorda un suo vecchissimo amico di decenni  prima. Alvino riprende a camminare,incespica lievemente in un rialzo del marciapiede, poi si ferma sul lato della strada opposto a dove l'altro,di spalle, pare tutto intento a contemplare qualcosa. No!,non gli pare possibile!Non può essere lui dopo così tanto tempo.
Quel "lui" altri non è che Sandro Pagelli,coetaneo di Alvino e,circa settant' anni prima, suo compagno di banco (e di merende) ai tempi delle medie,quando ancora si usavano le stilografiche e si studiava il congiuntivo.
Sandro è invecchiato ma con onore,tutto sommato. Sta guardando la piscina,attraverso la rete di recinzione:le vasche sono senz'acqua,come sempre nei mesi invernali. Non si accorge del suo amico per la pelle fino a che quello non lo saluta.
"Sandro,Sandro,ma sei proprio tu?" 
"Si,ma lei scusi chi è...è…A..Alv…ino?"
I due sono emozionati,per qualche secondo gli si azzera la salivazione in bocca a entrambi. Alvino si raschia la gola e Sandro tossisce per l'emozione: poi si abbracciano.
“Alvino ma che cavolo ci fai tu qui? Ti credevo in Liguria”
“ Si,ci vivo ancora ma è che da quando non c'è più mia madre amo venire ogni tanto in questa cittadina, sai,i ricordi...”  
“ A chi lo dici! E tu ti ricordi che là,oltre il ponte,al numero 148 ci stava mia zia? Ma come fai a ricordarla,saranno passati 70 anni…però:ti trovo bene sai?Non hai nemmeno un filo di pancia! Ah ah ah!”
“Non mi lamento,Sandro,l'unica rogna sono i reumatismi alla schiena. A volte mi trafiggono come pugnali,porca l'oca!” 
“ Capperi,Alvino, non sentivo dire porca l'oca dalla fine del '900, eh eh eh eh! Ti ricordi la piscina? Avevamo 13 anni e sguazzavamo in quella broda verdognola ,mista a cloro e pisciate, per intere ore. Quella orrenda mistura ci sembrava il Paradiso. Già. Tra l’altro, tra un po' sapremo se il Paradiso esiste o se sono tutte fanfaluche,Sandro!” 

 I due ora prendono a camminare,fianco a fianco, costeggiano adagio la piscina,avvicinandosi alla vecchia entrata del Kursaal. In lontananza,più o meno all'altezza della curva che immette verso la vecchia gelateria Canelìn, intravedono un altro vecchietto:è un po' curvo,espressione malinconica,e pur tuttavia un'andatura vivace,agevolata dalla non elevata statura corporea. Ancora qualche passo e i tre si scambiano uno sguardo che sfiora l'incredulo e quasi trasalgono per lo stupore reciprocamente indotto:il vecchietto trotterellante è, incredibile ma vero,Ulderico Pesciazzi! Ma si,il buon vecchio(ora molto vecchio) Ulderico,detto amichevolmente
"Udo". Anche lui era un compagno di scuola dei tempi antichissimi,e a quei tempi era rinomato per la sua attitudine spiccata agli strumenti a fiato (il fagotto era il suo unico vero amore.) 


 "Udo!" "Udo!!" gridano i due anziani mentre Ulderico si ferma come inebetito, sgrana gli occhi,inforca gli occhiali e finalmente prorompe in un sonoro:
"Ragazzi,...ma... siete proprio voi?!  Alvone e Sandro...che sorpresa..." (Udo soleva chiamare così Alvino,per via della sua robustezza fisica e dell'altezza). 

"Che bello rivedervi..." 

I tre si abbracciano e riprendono la camminata in direzione dell’ ingresso della piscina poi risalgono verso il ponte,alternando momenti di gioiose rimembranze ad altri,interminabili, di mesto silenzio. 

Ed è proprio all’interno di uno di quei silenzi che ad Alvino, d’un tratto,  viene in mente quel lontanissimo giorno in cui Ulderico, allora famoso suonatore e compositore di successo, fece fare una figura di merda a loro due , nel mezzo di Corso Italia, zeppo di bella gente che stava facendo le “vasche”, urlando una frase che allora era molto in voga: “ NON STATE CON LORO SE NO VI FARANNO FARE DEGLI SQUARCI! SONO SOLO DUE BUONI A NULLA!”. Quindi Alvino si ferma e informa Sandro del flashback. L’occhio intorbidito dell’altro ha un sussulto come quando ci si ricorda alle sei di sera di avere ancora in macchina il figlio che avrebbe dovuto essere alle 9 del mattino all’asilo così, giunti all'incrocio con la circonvallazione che va ad Alessandria, Alvino dice a Sandro: “ Ti ricordi cosa dice Genesi capitolo 4 versetto 8?” Sandro fa un sorriso che somiglia molto ad un ghigno poiché è sempre stato ferrato nella Bibbia quindi si rivolge a Ulderico e gli domanda:” Hai visto, mio caro, laggiù in fondo alla scarpata, quel campo di canne?” L’altro , dopo aver inforcato i suoi occhiali, risponde:” Certo, ricordo che una volta, durante uno dei miei concerti, portai proprio là una tipa e me ne feci un boccone!” Il suo sorriso sdentato fa appena in tempo a far entrare un po’ d’aria fresca tra le gengive consunte che una testata di Sandro lo centra in pieno volto. Sandro da ragazzo aveva spaccato più teste in quella maniera di quello che sarebbe riuscito a fare ai nostri giorni uno sbirro in assetto anti sommossa. Il colpo fa indietreggiare di almeno tre passi il povero Ulderico che, proprio al limite della scarpata che scende verso la Bormida, incontra la gamba destra tesa di Alvino, impedendogli di rimanere in piedi. I  vecchi amici guardano soddisfatti il rotolio nel fango di Ulderico e la sua brusca fermata dentro una gigantesca pozzanghera melmosa. Dopo essersi assicurati che nessun pericolo potesse danneggiarlo ulteriormente i due riprendono a camminare. Come nulla fosse accaduto. Erano ambedue convinti che la sorte , prima o poi, ti ripagava per quello che avevi fatto e quell’episodio era rientrato nell’opzione “poi”.  Nella loro chiacchierata estemporanea che seguì fecero l'inventario delle loro vite:erano pensionati al minimo e vivevano con molto poco. Alvino ogni tanto scriveva ancora trame di potenziali romanzi best-seller,più che altro per far passare i pomeriggi,seduto alla sua scrivania posta presso il balcone della stanza che dà sulla massicciata del treno,al terzo piano sopra la  Galleria Volta. 
Sandro stava in campagna, vicino ad Alessandria,in una vecchia cascina in mezzo alle nebbie padane (d'inverno)  e a nugoli di zanzare (d'estate). Ogni tanto qualcuno gli passava ancora delle brevi traduzioni dal tedesco che lui ,instancabilmente, eseguiva per le Edizioni Paoline:ovviamente senza essere pagato,ma retribuito in termini di preghiere volte a preparargli un sereno(si spera) al di là.

Un solo filo invisibile univa e complementava questi due poveri vecchi che nella loro vita avevano saputo coltivare una sola virtù;forse l'unica che potesse giustificare una  serena longevità condita da una malinconia di base ma, cosa ben più importante: non avevano mai perso per strada la dolcezza del loro cuore ricordando sempre che, in fondo in fondo,erano rimasti come un tempo: due sani e coraggiosi bastardi anche se ora, a volte, i ragazzini li chiamano “vecchi”. Ovviamente, a loro rischio e pericolo.

          Ale&Alva.
      

mercoledì 5 dicembre 2012

Caro Babbo Natale ti scrivo...


                                     

Era una mattina come tante a Cornigliano. Almeno per Filippo poiché per il resto del mondo si celebrava la più grande festa commerciale che la storia ricordi a memoria d’uomo e cioè il giorno di Natale.  I postumi della sbronza lo martellavano. La notte era stata orribile in quella stanza lurida al terzo piano di C.so Perrone.  Gli incubi si erano alternati a risvegli da capogiro. Aveva vomitato sul pavimento e su se stesso. La puzza era nauseante. La barba, incolta e lunga, gli pendeva dal mento come una triste appendice. Il volto, scavato dall’alcol, aveva ancora discreti lineamenti che gli conferivano un’aria quasi nobile. Gli occhi, di un azzurro chiaro, contrastavano con tutto il resto, regalando un’impressione di pulizia e vivacità intellettuale a chi li avesse incrociati. Il suo sguardo, profondo e triste, era di chi aveva tanto vissuto e molto sofferto. Filippo si alzò faticosamente dal materasso lercio, raccattato chissà dove e quando, e si guardò intorno come non aveva mai fatto. Intravide il calendario dell’avvento che gli avevano regalato quelli della Caritas. Segnava il 25 Dicembre. Un suo pensiero, quasi in forma di ringraziamento, andò al Creatore per aver disatteso le gufate dei Maya. Poi, in una sorta di ipnotico ripensamento ragionò che il Creatore non poteva averci messo del suo per contrastare la profezia di un popolo che non riuscì a salvare nemmeno se stesso.
Si avvide che lungo i muri di quella stamberga vi erano decine di copertoni d’auto che servivano ad isolarlo dal freddo esterno; cassette di legno per verdure, cartoni grandi e piccoli, bottiglie vuote e un carrello da supermercato erano sparsi ovunque. Un contenitore di plastica verde accoglieva i suoi escrementi, proiettando in quell’interno terribili segni della sua presenza.
Quando fu ritto in piedi barcollò, scaricando il suo peso ad un grosso tubo arrugginito all’interno del quale, un tempo, quasi sicuramente, era scorsa dell’acqua.
Girò lo sguardo a fatica in direzione di un frammento di specchio, incastrato tra le crepe del muro, squadrandosi per molto tempo. Un’espressione di stupore si delineò sul suo viso: si era completamente dimenticato che la sera prima , vestito da Babbo Natale, era andato alla Fiumara per rassicurare i paffuti bambini, insieme alle loro famiglie, dell’imminente suo arrivo nelle loro case, con imponenti sacchi di doni. Cosa bisognava fare per vivere. I cani avevano le pulci. Gli uomini i guai. 
Quel triangolo irregolare rifletteva un’immagine che non era esaltante.
Si chinò leggermente, afferrò una bottiglia appoggiata lì da chissà quanto tempo e, con un gesto lento ma deciso, la fracassò sullo specchio.
L’immagine di Babbo Natale scomparve. Una scheggia gli procurò un taglio sulla mano destra e il sangue iniziò a colare; prima piano poi sempre più copioso.
Stette ad osservare quella ferita attendendo che un elfo gli facesse una fasciatura a regola d’arte ma ben sapeva che nella realtà certe cose non accadono o almeno non accadono se sei sobrio. Quindi prese un vecchio calzino sporco e semi rigido dal freddo e se la fasciò. Si diresse verso la porta, la aprì e con un passo  fu fuori. Scese le tre rampe di scale barcollando. Il gelo esterno si aggrappò a lui facendolo rabbrividire. Tirò su il bavero rosso della sua ridicola giacca e si soffiò fiato caldo all’interno delle mani messe a mò di coppa. Intorno a lui c'era una Cornigliano  gelata, piante spoglie e pozze d’acqua ghiacciate. Diede un’ultima occhiata alla finestra di quell’appartamento in cui era vissuto per così tanto tempo quindi si voltò e iniziò ad allontanarsi.
Aveva deciso: se ne sarebbe andato. Non sapeva dove ma camminando si sarebbe riscaldato. Il terreno brullo ed impervio metteva a dura prova le sue scarpe zeppe di buchi e strappi ma, in quella mattina, ricominciò a pensare.
Era tanto che non riusciva a farlo occupato com’era a bere, a subire umiliazioni dagli altri e a far sì che la vita continuasse a scorrere dietro a lui per affrontare un altro giorno, per interpretare un altro atto della sua personale commedia, nell’attesa che calasse il sipario. Gli venne in mente di quando era bambino. CERTO! Lo era stato anche lui; anche se tantissimo tempo prima.
Ma cosa gli era successo? Inutile cercare di ricordare! Era tutto annebbiato nella sua mente…come quella mattina.
Aveva avuto una famiglia? Una casa? Dei figli?
Ma a chi sarebbe interessato questo? Avrebbe cambiato qualcosa nella sua vita?
Continuò a camminare fino a che arrivò accanto ad uno scambio ferroviario all'altezza di Sestri Ponente. Si sedette proprio davanti dove c’era un piccolo avvallamento fatto a culla, quindi si sdraiò. Il freddo pungente lo avvolse ma i suoi occhi azzurri splendevano. Come un piccolo squarcio di cielo in quel mattino grigio e ventoso.
Era intenzionato a riposarsi un po’, prima del passaggio del treno merci. Allora si sarebbe alzato e, mentre il treno rallentava, sarebbe salito. Se ne sarebbe andato via. Per l’ennesima volta. Come sempre.
L’aveva fatto centinaia di volte. Solo che ora si sentiva stanco. Voleva riposare solo un attimo.
L’avrebbe sentito il treno. Avrebbe sentito il suo lungo fischio.
Ce l’avrebbe fatta anche questa volta. Aveva solo una strana sensazione all’altezza della tasca destra dei pantaloni. Infilò le dita intirizzite ed estrasse il contenuto. Era una lettera. La lettera di uno di quei buffi bambini sovrappeso che il giorno prima lo chiamavano babbo. La aprì. C’era scritto:

“ Caro Babbo Natale, mi rendo conto di essere stato cattivo e di non meritare nulla ma PER FAVORE! potresti almeno trovare un posto di lavoro a mio padre? Grazie! Il tuo Andrea.”

Filippo tentò di distrarre la sua anima da quella preghiera ma non ci riuscì, così pianse e in quel pianto passò quella supplica a qualcuno più grande di lui. Poi piegò con cura il foglio , lo depose all’interno della manica sinistra e, lentamente, chiuse i suoi occhi azzurri lasciando che quelle due finestre sul cielo scomparissero in lui.


Poco dopo il treno fece capolino all’orizzonte. A rilento si avvicinò e con un lunghissimo fischio avvisò quel pezzo di mondo della sua presenza.
Quando passò accanto al vecchio babbo natale sdraiato, fece vibrare il terreno sotto di lui e il vento, dovuto allo spostamento d’aria, gli scompigliò la lunga barba.


Filippo aveva iniziato il suo più lungo viaggio con qualcosa di diverso sul viso. Qualcosa che sembrava un sorriso.

Chissà quale sarà stato il suo ultimo pensiero. Nessuno l’avrebbe mai saputo. E a nessuno sarebbe mai interessato.

Il treno scivolò verso  levante mentre tutt’intorno calò una strana quiete.
Era Natale. Un Natale come tanti. I festeggiamenti erano già in atto per tutta Genova: i suoni e i colori dell’evento, benché sotto tono a motivo della crisi, riempivano le vie e le piazze del quartiere ma intorno a Filippo, in quel luogo, c’era qualcosa di peggiore del silenzio: una totale assenza di rumori così assordante che nemmeno l’urlo dell’intero genere umano sarebbe riuscito a sovrastare.



Alva.

martedì 27 novembre 2012

Oh, mamma!

Oh, mamma, che cosa ho fatto?
Oh, mamma, dove ho sbagliato?
Oh, mamma, perchè mi hai picchiato così duramente?

Oh, mamma, addio!
Con la tua pancia floscia,
con la tua bocca e la dentiera,
con i tuoi occhi da pazza,
con i tuoi occhi da donna imbecille,
con i tuoi occhi da utero retroverso,
con i tuoi occhi da divorzio,
con i tuoi occhi da lobotomia,
con i tuoi occhi solitari,
sotto lampade al neon,
che non contano nulla.
Oh, mamma, dove eri?
Oh, mamma, dov'eri quando giocavo a tappi
in via De Gasperi
nel portone al numero 42
insieme a quattro stronzi dei miei amici
che ridevano quando tu passavi
tutta agghindata e profumata come una zoccola?

Io ero li e mi vergognavo di te.
Ma eri mia mamma.
E io tuo figlio.
Respiravo la tua stessa aria in quella casa.
Dovevamo essere una famiglia.
Ma tu mi picchiavi e prendevi il Lexotan.
E io ti spiavo nel tuo sonno farmacologico.
Ti avrei spaccato la testa con una pietra
o con un martello
ma la nonna lo nascondeva sempre così bene!
Trovavo solo la pinza a pappagallo
e potevo forse strapparti il naso o i denti.
Ma ero dolce  e buono.
Ti odiavo soltanto.
Oh, mamma, non sono stato sincero con te.
Sono stato un simbolico desiderio di unione
tra l'amore e l'imperfezione
come lo fu una volta per Baudelaire
oltre 100 anni fa
mentre camminava su un terreno
con un sacco di buche intorno
che pareva un campo da golf.

Oh, mamma, lo sapevi
che qui da noi
quel campo si chiama cimitero?

                                                                                            Alva.


giovedì 22 novembre 2012

Paranoia.


Mi è stato detto
che in tutto ciò che scrivo
ci sarebbe qualcosa di nascosto,
di altamente degradante.

Che significa?

In effetti
io stesso
non credo a ciò che scrivo,
indovino solo
le conseguenze
dei brividi e delle paure.

A volte
mi riposo da me stesso
al solo scopo di dimenticare
anche per un solo momento
che le mia esistenza è falsa,

inventata,
oggettivamente artificiale.

Credevo di essere solo
ma non al punto
di vedere solitudine ovunque.

Ero un amico a tre dimensioni,
godevo delle forme elementari,
superfici piane
che stavano accanto a me,

che coccolavano la mia morale.

Ammesso che tutto ciò sia vero,

che ne sapete voi?
Conoscete i miei bisogni?

Non ho necessità di parlare o ridere con voi.
Per questo ci sono gli spettri che avete intorno.
Fantasmi come amici.
Morti sugli autobus che si spostano.
Che tornano nei loro quartieri – cimitero,
che aprono le loro tombe chiuse a chiave.

Sono lenti,
lentissimi,
consultano calendari
e chiedono: che giorno è oggi?

senza sapere
che non ci sono giorni
ma velocissimi ingranaggi
che macinano il tempo.

Siamo tutti nel nostro cantuccio,
legati a colonne bibliche,
vincoli duri da abbattere.

Siamo una specie eletta,
abbiamo doveri da rispettare
e mentre siamo giovani

timorati e sensibili
a tutto ciò
che è da sempre
ritenuto degno di considerazione

diventiamo vecchi,
curvi,
sempre più rivolti
a una terra che ci attende.

Maledette anime terremotate

strappate via

impulsi come ordini

padroni come servi

prepotenti desideri di fuga

aridità dei sensi.

Che bella
le seduzione della morte.
Paura e diffidenza

disprezzo e amore

gesti sacrileghi

che ristagnano nelle navate delle chiese

alla pari di ebbre ed esultanti interiorità spirituali.

Enigmi.

Domande e problemi.

Chi siamo?

Dove stiamo andando?

Da nessuna parte!

O forse
da nessuna parte in particolare.

I nostri pensieri
vili pozzanghere mentali

ci ingannano
ci portano lontano
ci isolano
ci costringono all'angoscia
ci trasformano.

Siamo pallide luci
fredde parole che volano via.
Tante cose e nessuna.


In realtà
quando guardo dentro il cielo
vedo i pianti di milioni di persone
che stridono nella mia mente
come fabbriche nella notte.

Ma io sono leggero e sottile

io viaggio tra quei pianti

sfiorandoli appena

e negli ultimi istanti di eternità

a me concessi


sorrido.

                                                                     Alva.



                                                 

martedì 20 novembre 2012

My name is Giobbe.


Il mio nome è Giobbe
nacqui  ad  Uz
nell’Arabia settentrionale
vicino agli edomiti
a sud dei sabei
e a est dei caldei.
Temevo Dio e mi ritraevo dal male.
Ebbi sette figli e tre figlie.
Il mio bestiame era di settemila pecore
tremila cammelli
cinquecento bovini
e cinquecento asine.
Avevo anche una grande servitù.
Ero il più grande di tutti gli orientali.
Poi venne Satana
e  Dio gli chiese:” Da dove vieni?”.
E lui rispose:” Dal percorrere la terra e dal camminare per essa!”.
E Dio era certo che Satana avesse rivolto lo sguardo verso me.
Ma lui rispose che io ero al sicuro poiché avevo una siepe attorno a me.
Una siepe di protezione
e che senza di essa io avrei maledetto Dio.
Così Dio gli disse:” Ecco, ogni cosa che ha è nelle tue mani. Solo non toccare la sua anima!”
Fece questo perché era certo che io non lo avrei mai biasimato.
E Satana non perse tempo
e mandò i sabei a rubarmi il pascolo
e fece uccidere i miei servitori
eccetto uno per riferirmelo.
Poi mi presero le pecore,
 i cammelli,
e i miei figli e figlie caddero
a causa del vento
e io strappavo il mio vestito
e mi tagliavo i capelli e dicevo:
“ Sono uscito nudo dal ventre di mia madre
e nudo vi tornerò!”
Ma non peccai.
Né attribuii qualcosa a Dio.
Così Dio incontrò nuovamente Satana
e gli fece notare che io avevo mantenuto la mia integrità.
Ma Satana disse:
“ Pelle per pelle e l’uomo darà tutto ciò che ha per la sua anima!”.
E Dio rispose:
“ Ecco, è nella tua mano! Fanne quello che vuoi. Solo non toccare la sua anima!”.
E poco dopo mi ritrovai
foruncoli maligni dalla pianta del piede
alla sommità del capo.
E prendevo pezzi di terracotta per grattarmi
e mi rotolavo nella cenere.
Mia moglie una volta urlò:
“ MALEDICI IL TUO DIO E MUORI!”
E io risposi:
“ Accetteremo da Dio ciò che è buono e non accetteremo anche ciò che è male?”.
In tutto questo, credetemi, io non peccai mai con le labbra.
Ma un brutto giorno
quando il dolore diventò insopportabile
invocai il male su di me e dissi:
“Perisca il giorno nel quale nacqui,
Anche la notte che qualcuno disse: ‘È stato concepito un uomo robusto!’
In quanto a quel giorno, divenga tenebre.
Non lo cerchi Dio da sopra,
Né brilli su di esso la luce del giorno.
Lo reclamino tenebre e profonda ombra.
Vi risieda sopra una nuvola di pioggia.
Lo terrorizzino le cose che oscurano il giorno.
Quella notte, la prenda la caligine;
Non si allieti fra i giorni dell’anno;
Non entri fra il numero dei mesi lunari.
Ecco, quella notte, divenga sterile;
Non vi entri grido di gioia.
La esecrino quelli che maledicono il giorno.
Si oscurino le stelle del suo crepuscolo;
attenda la luce e non ce ne sia;
e non veda i raggi dell’aurora.
Poiché non chiuse le porte del ventre di mia madre,
e non nascose dunque l’affanno ai miei occhi.
Perché non morivo io dal seno?
Perché non uscii dal ventre stesso e quindi non spirai?
Perché mi si presentarono le ginocchia,
e perché le mammelle affinché succhiassi?”


Ma poi
quando capii
che non c’era idea
che fosse per lui irrealizzabile
Dio accettò il mio pentimento
e benedisse più la mia fine che il mio principio
e mi ritornarono
quattordicimila pecore e seimila cammelli,
e mille bovini
e mille asini.
Ebbi anche sette figli e tre figlie
e vissi centoquarant’anni
e quando morii

ero vecchio e sazio di giorni.


Il mio nome era Giobbe: e il tuo?

                                                                                                        Alva.



venerdì 16 novembre 2012

Il pescatore.


Ho ballato un’infinita danza
attendendo i paradisi dell’alba
e  tutto ciò
che era nel bagliore della notte
l’ho lasciato nel bagliore della notte.

Ho vissuto e amato
odiato e amato
baciato e amato
e nutrito il battito del mio respiro.
Sentivo la vita come infinita
e il mondo come infinito
senza la fine dei suoi giorni.

Era infinito anche il profumo dell’amore
mentre gemevo per un orgasmo perduto.
Mi sentivo eterno
come l’anonimo volto della morte
e il rumore
con le sue eterne allucinazioni
confondeva la mia anima.

Un giorno lasciai la mia memoria
sui tetti di Gerusalemme
mentre calava il tramonto
e osservai un nostalgico elefante
immergere la proboscide nel fiume.

La nausea riempiva il mio corpo
e solo il canto
di un upupa lontana
mi salvò dalla pazzia
ma ora
che ho 49 anni
cerco l’amante
che non mi soddisferà
in una guerra
dove il tempo scivola a terra
trasformando l’atto del sesso
e l’atto della poesia
nel momento dello scrivere
e del venire
e anche se leggo Proust ed Apollinaire
o Sartre e Beauvoir
a volte ho difficoltà a scrivere

e le parole non emergono sulla carta

così accendo una piccola lampada
che disegna un cerchio sul foglio

e attendo:

è la luce che conta.

E’ la luce che attira i pesci di notte.

                                                                                    Alva.







mercoledì 31 ottobre 2012

Lei non mi ha riconosciuto.



Il mio nome è Francesco anche se mi hanno sempre chiamato “ Ceccù”.  Sono nato a Genova nel ’49, in Corso Perrone. Ho lavorato 35 anni in Italsider  all’altoforno fino al 2002, proprio quando le cokerie chiusero per il loro impatto sulla salute . Ricordo ancora con terrore l’esplosione, nel 1991, del crogiolo Afo2 e la perdita di ghisa liquida a 1550° nel 2004 che sconvolse l’intero quartiere.  In quei tempi chi stava in quel reparto doveva per forza essere robusto e senza tante storie per la testa. Penso ancora ai i volti dei colleghi che erano alla linea di decapaggio di acido cloridrico e solforico: avevano 30 anni ma ne dimostravano 50 e i loro  volti erano scavati intorno ad occhi come palline da golf usate da troppo tempo. Ho sempre nelle orecchie il frastuono dei treni per la laminazione a freddo vicino alle linee di stagnatura e cromatura elettrolitica. Era una bolgia infernale di fumi e fuoco e odori nauseabondi e noi stavamo lì come dannati senza aver commesso peccati particolari se non quello di avere una famiglia a cui dare da mangiare. Quando tornavo a casa mia moglie, talvolta, mi vedeva così stanco che non diceva nemmeno di togliermi i vestiti sporchi, permettendomi di sedere direttamente alla tavola per il pranzo o la cena. Mi lavavo solo le mani: quelle si. A volte, fissando il buco del lavandino che inghiottiva l’acqua sudicia , mi chiedevo se insieme a quella nera miscela ,sarebbero scivolate via anche le ultime forze rimaste per aprire la bocca e masticare. Ho anche un sacco di amici. Alcuni di loro, purtroppo, sono morti così ogni tanto vado a portare loro un fiore, su al cimitero di Coronata.  E lì ritrovo il Parodi morto di tumore al polmone, addetto alla cokeria; il Canepa, morto di leucemia, anche lui alla cokeria; Sciaccaluga Vittorio, “il gigante buono”, che invece di schiacciare l’uva, come l’origine del suo nome farebbe pensare, ha “pestato” per 30 anni i laminati con la pressa che ora sta arrugginendo davanti al Leroy Merlin.
Ma la cosa strana di cui volevo parlarvi è quello che è accaduto proprio oggi, 1° novembre,  mentre facevo il mio solito giro a salutare vecchi colleghi. Dopo aver lasciato un crisantemo sulla tomba del caro Ferrando, anche lui scomparso per un brutto male, ho visto un mio vecchio amore di tanti anni fa. Ma proprio tanti! Ci siamo incrociati lungo il vialetto che porta all’ossario comune.  Mi ha guardato ma non mi ha riconosciuto. E quasi immediatamente la memoria ha scaraventato nel mio naso un profumo di uva, pitosforo, glicine ed erba appena tagliata. Mentre le passavo vicino, senza guardarla, sfiorando appena con un braccio il cappotto del marito, la mia mente ha attivato le immagini sbiadite di una merenda dietro un casolare su alla Guardia e un bacio appassionato davanti ad un tramonto, che in quei periodi era ancora uno dei più bei film che si potessero vedere. Quella passione era durata qualche mese, anche se ci eravamo promessi che non sarebbe finita mai.
L’ho guardata e ho capito che a ricordarmi di quell’amore ero rimasto solo io e mentre stavo uscendo dal cimitero, qualcosa mi ha detto che è andata bene così. Scendendo la lunga discesa verso il centro ho pensato che tra i due chi mi ha fatto rabbia è il marito: tutto ben coperto, con cappotto, sciarpa, cappello e ombrello sul braccio. Aveva l’aspetto sano di un ricco imprenditore in pensione. Uno di quelli che l’aria di Cornigliano, in quegli anni, l’aveva sempre respirata attraverso il filtro di un condizionatore: sia d’estate che d’inverno.
Ma forse quello non era il posto giusto per simili cattivi pensieri e nemmeno il giorno.

                                                                                          Alva.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                           

sabato 27 ottobre 2012

Quelli prima di noi.


Erano giovani, gli italiani che prendevano il sole sulle spiagge.
Sedevano sulle panchine dei parchi e dei giardini pubblici.
Mangiavano nei ristoranti la domenica mattina, dopo la messa, oppure in casa se erano poveri.
Erano  giovani anche gli italiani sulle foto sbiadite
quelli con i vecchi orologi da taschino
le mani nodose come ulivi
calzoni di tre taglie più grandi con cintura e bretelle
e uno sguardo sempre smarrito.
Credo che se ne siano andati tutti.
Che abbiano finito di aspettare.
Sono morti uno dopo l’altro.
Portati via.
I preti ci hanno girato intorno
quando erano chiusi dentro una bara
e hanno mormorato parole di speranza
dicendo che prima o poi sarebbe toccato a tutti.
Ma gli altri vecchi
quelli ancora vivi
seduti sulle panche
facendo ben attenzione
di non esser visti
avevano la mano destra
coperta dal cappello
e con grazia inusitata
mista ad infinita dolcezza
si tastavano le palle.

                                                                                   Alva.

giovedì 25 ottobre 2012

Tu o io?

E tu nell'arte,
sui campi di battaglia;

e tu sopra di tutto,
lassù tra cose immortali;

e tu con la bellezza,
con la vita e il nettare di un vino di Borgogna;

e tu nella gioia,
senza sbiadire
senza perdere valore;

e tu che hai versato un altro paio di mie poesie
su questo mondo

rischiando costantemente l'assurdo
ogni volta

e io
nel mio presunto progresso
in qualità di poeta
avanzo a grandi passi
esibendomi in giochi di prestigio

per continuare a far credere a qualcuno
che ho dormito in posti
dove gli alberi erano libri

e che il mio occhio è aperto
nel cuore del mondo

e che io sono figlio di me stesso
perché è nella mia stessa carne

che ho disperato e pianto.

                                                                             Alva.

Hai sentito qualcosa di strano?



C’è il vento che parla
oggi
qui a Lavagna
in un fluido mare di parole
vicino alla spiaggia;
con l’autostrada che batte forte
il passaggio di auto e camion.
Ci sono ancora camper
con vecchie coppie
in cerca dell’ultimo sole
e gabbiani bianchi
che si adagiano sulle correnti ascensionali
ad ali spiegate
sembrando immobili.
Ma io
sono in piedi
abbandonato dall'eternità
come un pacco
in un ufficio
su una scrivania zeppa di lettere morte
e ho in mente
di rendere il mondo più sicuro
con il canto di un uccello notturno
nel suono profondo
di un uomo che prega.
E una mia lacrima
finalmente vera
cade sulla sabbia
perché ho pensato
che è un ennesimo tentativo
destinato a fallire
così
su una battigia grigia
lambita dal mare
la marcia funebre del tempo
nell'immensità azzurra del cielo
mi lascia intensamente immobile
nell'atroce trasparenza del mio sguardo lontano.

                                                                                                 Alva.

domenica 7 ottobre 2012

Lettera mai spedita ad un ex datore di lavoro.



So bene che è un modo di dire
ma io
al posto tuo
non smetterei di pensarci.
Quelli come te
la passano liscia
nonostante il male che hanno fatto,
 le  cose dette
e quelle che si sono vergognati di dire.
Siamo stati sulla stessa barca ( la tua) per tanti anni
e io ho remato senza pensare alla fatica,
alla lontananza,
agli affetti,
ai miei problemi.
C’erano solo i tuoi
di problemi.
Ma quelli come te la passano liscia.
Hai dalla tua parte il denaro che ti protegge,
che ti coccola,
che ti illude,
che ti gratifica.
Ultimamente ho letto da qualche parte
che dici di avere letto la Bibbia
e mi sono chiesto la stessa cosa che si chiese Filippo, davanti all’eunuco etiope in Atti 8: 30:
“Filippo accorse e lo udì leggere ad alta voce il profeta Isaia, e disse: “Capisci effettivamente quello che leggi?”
Hai letto la Bibbia?
Hai capito ciò che hai letto?
In che modo l’hai letta,
con la stessa perspicacia e saggezza
di quando controlli il tuo rendiconto annuale?
Oppure con la stessa
perfetta attenzione
di quando firmi una lettera di licenziamento?
Se avessi letto
 ma soprattutto compreso ciò che è scritto nella Bibbia
conosceresti il significato della parola MISERICORDIA:
                             
                              “ESPRESSIONE DI BENEVOLA CONSIDERAZIONE O PIETA’
                              CHE RECA SOLLIEVO AGLI INFELICI . TENERA COMPASSIONE
                              O ATTENUAZIONE DI UN GIUDIZIO O DI UNA PUNIZIONE.”

Non puoi conoscerne il significato ( anche se ora ne sei al corrente)
poiché il tuo cuore è avulso dal comprenderlo
anche se la tua superba mente lo afferra concettualmente.
Non hai mai avuto intelligenza emotiva.
Ti faccio una domanda: un alto QI come il tuo è necessariamente indice di qualità superiore?
Quello che mi piacerebbe rispondessi tu è:

“Non c’è nessuna garanzia che individui dal QI elevato producano persone migliori e una società migliore. Non sono stati i bambini ritardati a causare guerre e distruzioni”. Anzi, l’ultima persona decisa a selezionare una razza superiore morì in un bunker nazista alla fine della seconda guerra mondiale.”
Purtroppo ciò che costituisce
un mio piacere personale
non coincide quasi mai
con i pensieri di persone come te.

Anche tu hai un piccolo esercito
di piccoli uomini
mossi da innumerevoli piccoli bisogni
che  difenderanno a spada tratta
il tuo nome
e il prestigio
che sentono di avere
lavorando per gente come te.

Ma io e te sappiamo che non è così.

Le persone come te
la passano liscia
in questo piccolo mondo
ma se hai letto la Bibbia
saprai che questo sistema di cose sta per finire e il consiglio di 1Timoteo 6:17 è:

“17 A quelli che sono ricchi nel presente sistema di cose ( Dio) dà ordine di non essere di mente altera, e di riporre la loro speranza non nelle ricchezze incerte, ma in Dio, che ci fornisce riccamente ogni cosa per nostro godimento”.

Questo per quanto riguarda il denaro
che ti protegge e ti proteggerà ancora a lungo
ma non per sempre
dato che Gesù fa scrivere in Matteo 24: 7-14:
7 “Poiché sorgerà nazione contro nazione e regno contro regno, e ci saranno penuria di viveri e terremoti in un luogo dopo l’altro. 8 Tutte queste cose sono il principio dei dolori di afflizione.
9 “Quindi vi daranno alla tribolazione e vi uccideranno, e sarete odiati da tutte le nazioni a causa del mio nome. 10 E allora molti inciamperanno e si tradiranno e si odieranno gli uni gli altri. 11 E molti falsi profeti sorgeranno e svieranno molti; 12 e a causa dell’aumento dell’illegalità l’amore della maggioranza si raffredderà. 13 Ma chi avrà perseverato sino alla fine sarà salvato. 14 E questa buona notizia del regno sarà predicata in tutta la terra abitata, in testimonianza a tutte le nazioni; e allora verrà la fine.”

Ovviamente dalla scrittura si evince
che coloro che si faranno forti del Suo Nome
saranno perseguitati.
Tu puoi startene tranquillo.
Non sarai tra coloro i quali saranno angariati.
Puoi tirare un sospiro di sollievo.
Almeno per ora.
Anche se io
al posto tuo
non smetterei di pensarci dato che hai letto la Bibbia
e saprai sicuramente che cosa ha scritto Malachia 4: 1-3:

4 “Poiché, ecco, viene il giorno che arde come una fornace, e tutti i presuntuosi e tutti quelli che operano malvagità devono divenire come la stoppia. E il giorno che viene certamente li divorerà”, ha detto Geova degli eserciti, “così che non lascerà loro né radice né ramo. 2 E per voi che avete timore del mio nome certamente rifulgerà il sole della giustizia, con la guarigione nelle sue ali; e in effetti uscirete e calpesterete il suolo come vitelli ingrassati”. “E certamente calpesterete [i] malvagi, poiché diverranno come polvere sotto la pianta dei vostri piedi nel giorno in cui agirò”, ha detto Geova degli eserciti.”

Ora che non sono più sulla tua barca
ho compreso tante cose
che non sarei riuscito a capire
quando remavo per te.
Paradossalmente
tutte le cose che ho imparato
e che debbo ancora imparare
le devo al fatto che mi hai trattato
nel modo peggiore
in cui si potrebbe trattare un uomo.
Per questo
volevo ringraziarti
e  farti sapere che non nutro più rancore
nei  tuoi confronti.
Sappi anche che sono felice che tu abbia letto la Bibbia.

Spero vivamente che grazie alla comune lettura della Parola di Dio
io e te
un giorno
ci si possa ritrovare
in un mondo nuovo
con altre ambizioni e aspettative.

D’altronde
“solo le montagne non si incontrano”.
So bene che è un modo di dire.
Ma io
al posto tuo
non smetterei di pensarci.

                                                                                                                                     Alva.