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web sito ImageChef Custom Images "Ormai quasi giunto al termine della mia vita di peccatore, mentre declino canuto insieme al mondo, mi accingo a lasciare su questo blog testimonianza degli eventi a cui mi accadde, mi accade e mi accadrà di assistere durante il periglioso viaggio che mi separa dalla tomba. E Dio mi conceda la grazia di essere testimone trasparente e cronista fedele di quanto ho visto. Possa la mia mano non tremare mentre mi accingo a scrivere certi eventi e ricordare l'inquietudine sottile che opprime l'animo mio mentre mi collego quotidianamente a questo blog poiché oggi ho la certezza che sto rettamente interpretando gli indubitabili presagi ai quali, da quando nacqui, stoltamente, non diedi peso ."

lunedì 27 ottobre 2014

Al cospetto del Presidente del Centro di Riabilitazione.

Era un periodo nero. Il mio lavoro nell’istituto psichiatrico stava lentamente svuotandosi da quelle motivazioni con cui all’inizio mi facevo forza. I turni si susseguivano senza che io riuscissi a cavare fuori il benché minimo interesse per quello che facevo. Le giornate erano quasi sempre uguali: aprivo e chiudevo centinaia di volte le stesse porte, prendevo schiaffi e pugni sempre dagli stessi pazienti, li guardavo mentre saltavano , correvano , mangiavano, vomitavano, urlavano , scoreggiavano, si masturbavano, si menavano, bevevano il proprio piscio , mangiavano la propria merda ( e anche quella di altri). Mi stavo stancando di raccogliere le loro deiezioni lungo i corridoi e asciugare le loro pozze di urina nei posti più impensabili. Ogni tanto mi facevo anche qualche risata nell’osservare i rituali liturgici con i quali certi ragazzi autistici si approcciavano alla doccia del mattino o alla ritirata serale ma erano momenti sporadici. autentiche perle solitarie in lunghe giornate di lotte e contenzioni. A volte, quando proprio non ce la facevi più, la direzione organizzava la cosiddetta Supervisione a cui partecipavano sempre un paio di oss o infermieri o educatori. La presenziava uno psicologo la cui partecipazione doveva servire come valvola di sfogo per noi operatori in quanto, durante la riunione, si poteva “ vuotare il sacco” cioè spiegare allo psicologo a quale livello di burn out eri arrivato. Ovviamente nessuno osava fare sapere al collega che sedeva accanto a te quante volte avresti voluto scaraventare dal secondo piano almeno il 90% degli ospiti della struttura in cui lavoravi e quindi ci si trovava a discutere di problematiche su cui il professionista mai avrebbe potuto dare una soluzione. C’erano anche le riunioni di equipe ma ti rendevi conto che qualunque fosse stato l’esito della riunione nulla sarebbe cambiato. Era un senso di impotenza che mi pervadeva a 360 gradi. Mi ci sentivo immerso. Era come se fossi in una gelatina permanente. Ogni cosa che osservavo era come se la filtrassi attraverso una lente deformante. Sentivo che la priorità assoluta era mantenere quel delicato equilibrio in cui cercavo di non pensare eccessivamente e mi imponevo di dedicarmi alcuni angoli mentali di assoluta libertà all’interno dei quali potevo ritirarmi, leggero ed evanescente come una nebbia al mattino. Ma gli angoli, in certi luoghi orrendi, possono diventare all’improvviso rotondi, piccoli e bui e tutti i tuoi pensieri e le tue risorse devono mettersi a lavorare di fino per rimediare ad un errore che inevitabilmente arriverà.
Così, stanco ed amareggiato, chiesi udienza al direttore della struttura il quale mi consigliò di parlarne con il Presidente. Obiettai che, forse, il Presidente sapeva ben poco sull’andazzo del Centro Psichiatrico. Questa fu la sua risposta:

“…vedi Alvaro, Egli, cioè il Presidente, il Dott. Ignazio Grassi, è la cuspide piramidale di questa nostra cooperativa che dà lavoro a migliaia di persone. Egli trasforma il presente in un ennesimo culto dopo essersi sbarazzato dell’ossequio al passato. Ha fondato la Sua azienda sulle orme del padre attraverso un rito palingenetico di mutazione aziendale sdoganandola da un cliché che la fossilizzava anni prima ad una semplice agenzia interinale. Per Lui la sua cooperativa è una tendenza, uno slancio in avanti. E’ l’amore per il nuovo. Il Suo tono di voce è sempre vibrante, le Sue affermazioni apodittiche. Egli può essere paragonato ad un re forte e fascinoso. Meccanicamente immortale. Un eroe senza sonno come GAZURMAH, l’interprete principale del romanzo mito poetico di Marinetti “ MAFARKA LE FUTURISTE DEL 1909”.. Lo sai chi è Marinetti, Alvaro?”

“…beh, ….ecco…mi pare fosse uno scrittore futurista che…”

“Appunto, il futuro, lo sguardo oltre l’orizzonte, Egli come un falco domina dall’alto la percezione multipla e sinestetica delle cose di Sua competenza. Supervisiona, da ottimo intenditore, alle assunzioni del personale femminile secondo un prototipo dannunziano che miscela, nelle giuste dosi, i fondamenti dell’estetica, l’egemonia del bello e il sacerdozio dell’arte. La sua forza comunicativa è completamente nuova senza tentativi di sperimentazione. Ha un solo Horror Vacui che lo irrita piacevolmente: il pensiero di essere frainteso. Quindi, Alvaro, ti prego, non aver timore di incontrarlo. Esponi a Lui i tuoi problemi e vedrai che dopo ti sentirai un uomo nuovo, ripulito dalle scorie che ti affliggono ora. “

“ D’accordo…quando possiamo fissare l’appuntamento?”

“ Domani mattina verso le 10 va bene?”

“ Va bene”.

Uscii dall’ufficio del direttore proprio mentre il solito psicopatico lanciava un estintore da 10 chili addosso alla donna delle pulizie che stava scappando in preda ad una crisi isterica di pianto.
Quella notte dormii poco poiché pensai all’incontro con il Presidente. Cosa gli avrei detto? Come avrei esposto i miei problemi pseudo esistenziali ad un uomo così fulgido? Ma soprattutto: avrebbe compreso?
Mi addormentai su queste domande e quando mi svegliai erano ancora tutte lì che mi aspettavano.
Alle 09.45 ero già davanti alla porta verde pastello del suo ufficio. Dentro la mia testa ripetevo come un mantra tutto quello che dovevo dire cercando, per quanto possibile, di indovinare il contraddittorio.
Dopo 14 minuti e 58 secondi la porta si aprì e apparve una donna sui quarant’anni : senza arte né parte, anonima, leggermente androgina e con un nome così stupido che me lo dimenticai all’istante. Fece un cenno con la mano nella mia direzione e io mi incamminai verso di lei. Aveva un profumo dolciastro che mi provocò una frustata olfattiva. La oltrepassai e fui nell’ufficio. Era un bell’ufficio: spazioso, areato e scevro da qualsiasi traccia di frenesia e caos rispetto ai locali attigui. Egli, il Presidente , era seduto come un monarca desideroso di venire a conoscenza dell’altrui pensiero. Sulla sua scrivania poche cose: un computer, qualche agenda, due penne allineate lungo il bordo destro e un libro. Aguzzai la vista e lessi il titolo: PSICOPATOLOGIA DELLA VITA QUOTIDIANA. Il vecchio Freud era dappertutto. Anche lì sopra. Mi vennero in mente le sue paranoie sul sesso e sui simboli fallici. Ho sognato una torre da cui sta cadendo un uomo? E’ il mio desiderio sfrenato di sesso. Ho sognato che mangio un gelato? Probabilmente sono omosessuale ma ancora non lo so.
Un colpo di tosse del Presidente mi fece tornare alla realtà. Egli mi sorrise e, quasi telepaticamente, mi invitò a parlare. Gli esposi tutte le mie perplessità e le mie paure nel giro di 8 minuti dopodiché attesi la sua risposta immerso in un silenzio siderale. Con un gesto ieratico del braccio destro fece cenno alla segretaria di uscire. Si sprofondò nella sua sedia con un sospiro. Iniziò a fissare il libro di Freud. Pareva immerso in profondi pensieri. Poi ,d’un tratto, con un formidabile colpo di reni si alzò in piedi. Era un bell’uomo, sui quarant’anni, vestito di tutto punto e cromaticamente perfetto. Fece qualche passo mentre io tentavo di ingoiare un tot di saliva che mi ingombrava la bocca. Si diresse verso una nicchia scavata nel muro nel cui interno vi erano incastonate due borracce. Mi chiese cosa vedessi. Gli risposi che vedevo due borracce. Poi mi domandò se sapevo cosa potessero contenere. Ovviamente la mia risposta fu negativa. Dopo un lungo silenzio all’interno del quale, a volte, sono contenute delle verità, mi rivelò che in una c’era un liquido che poteva aiutare un uomo ad affrontare la paura e a risolvere i problemi che lo affliggono. Allungò un braccio, afferrò la seconda borraccia e, ad alta voce, mi chiese:
“ SAI, INVECE, COSA C’E’ QUI DENTRO?”
Aveva l’aria di chi conosce la risposta e non vede l’ora di dirtela.
Feci finta di pensare. Abbassai il capo in una sorta di penitenza mistica. Mi arrovellai su cosa potessi dirGli per stupirlo ma i minuti passavano e a me non veniva in mente nulla.
Fu così che per la seconda volta Egli parlò:
“ QUI DENTRO C’E’ LO STESSO LIQUIDO CHE SERVE PER ANDARE AVANTI ED AFFRONTARE NUOVAMENTE LE PROPRIE PAURE CHE GENERANO A LORO VOLTA I PROBLEMI!”

Rimasi in silenzio. Osservai attentamente il libro di Freud come se potesse, in qualche modo, aiutarmi. Diedi un’occhiata al retro dello schermo del suo computer. Vagai con gli occhi su alcuni particolari delle sue scarpe poi mi ritirai sconfitto in me stesso. Il Presidente rimase fermo con la borraccia in mano mentre mi congedai da lui. Uscii dall’ufficio, aprii e chiusi sette porte che mi scaraventarono nella triste realtà del Centro di Riabilitazione Psichiatrica. Mentre camminavo nel corridoio che dava verso l’uscita, ripensando a ciò che mi aveva detto il Presidente, vidi un operatore che stava facendo l’ennesima doccia alla coprofaga muta a cui piaceva tanto disegnare sui muri con le proprie feci. Notai che il bastardo aveva posizionato il miscelatore sull’acqua fredda ma ero troppo avvilito per dire qualcosa quindi mi allontanai con i muggiti della poveretta nelle orecchie sovrapposti agli urli dell’operatore che, con un ghigno, ben sapendo perché volesse scappare dal bagno tutta sporca di merda, tentava in tutte le maniere di ricacciarla sotto l’acqua.