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web sito ImageChef Custom Images "Ormai quasi giunto al termine della mia vita di peccatore, mentre declino canuto insieme al mondo, mi accingo a lasciare su questo blog testimonianza degli eventi a cui mi accadde, mi accade e mi accadrà di assistere durante il periglioso viaggio che mi separa dalla tomba. E Dio mi conceda la grazia di essere testimone trasparente e cronista fedele di quanto ho visto. Possa la mia mano non tremare mentre mi accingo a scrivere certi eventi e ricordare l'inquietudine sottile che opprime l'animo mio mentre mi collego quotidianamente a questo blog poiché oggi ho la certezza che sto rettamente interpretando gli indubitabili presagi ai quali, da quando nacqui, stoltamente, non diedi peso ."

sabato 19 maggio 2012

Io e Julien Roissy.


Nacque a Troyes,nel nord della Francia,
e come tutti i francesi
era orgoglioso della sua terra.

All’età di 23 anni
salì per la prima volta su un camion,

trasportava legname

da Troyes a Reims

era il 1964.

Io avevo un anno.


Dopo 10 anni di massacrante lavoro
si era fatto una famiglia,

aveva sposato una deliziosa parigina
di nome Nicol ed erano felici.


Io avevo 11 anni.


I miei genitori erano già divorziati da 5.


Dopo 12 anni Julien e Nicol
si trasferirono a Dijon
con il loro figlio di 8.

Julien non portava più legname,
ma aveva chiesto di fare tratte più lunghe
per guadagnare di più.

Andava avanti e indietro da Marsiglia a Dijon
e caricava qualunque cosa capitasse.

Io avevo 23 anni, appena terminato gli studi e una gran voglia di viaggiare.                                       


Salii sul camion nel maggio del 1986.
Iniziai a fare la linea Genova - Marsiglia.

I primi tempi furono terribili, ma tenni duro.

Trascorsero ancora 10 anni.

Julien si ammalò di Alzheimer
e dovette smettere di viaggiare.

Aveva guadagnato abbastanza                                                            
e alla sua famiglia non mancava nulla.


Io, invece, cominciai la vita dura.
Milano-Liverpool –Milano  due volte la settimana.

Mi tiravo le orecchie per non addormentarmi,
e  mordevo le labbra fino a farle sanguinare.


Due anni dopo (era il 1998)
la malattia di Julien degenerò a tal punto
che la moglie Nicol, d’accordo con il figlio,
decise di metterlo in una casa di cura.                                                           
                                                                                                                               
Era una simpatica villetta
appena fuori Dijon;
dalle finestre, in lontananza, si poteva scorgere l’autostrada
e, durante le ore notturne, quando i rumori tutt’intorno si affievolivano,
giungeva il sibilo delle auto e il rombo dei camion.

A Julien pareva piacere quel posto;
soprattutto di notte
quando trascorreva lunghe ore
con lo sguardo verso l’autostrada.


Il 5 Luglio del 2000
l’infermiera entrò nella camera di Julien alle 20.30
e la trovò vuota.

Iniziarono le ricerche: invano.

Alle 22.30, dopo due ore di cammino,
Julien scavalcò il guard-rail
di quel tratto di autostrada
che da due anni vedeva in lontananza.

Aveva indosso una camicia da notte bianca
ed era scalzo.

Si piazzò proprio in mezzo
alla corsia di marcia
con le braccia alzate
come a voler fermare
chiunque gli si fosse parato davanti.


Ventidue minuti dopo
arrivò un autotreno.

L’autista lo vide all’ultimo momento.
Cercò di frenare,
ma lo prese in pieno.


Julien fece una morte orribile.
E se la procurò da ciò che aveva guidato
per così tanti anni: un camion.


Io guidavo quel camion.

                                                                               Alva.

Una parola.


E’ una parola. 
Semplice da pronunciare. 
Tutti possono compiere questo sforzo. 
Non ci sarà mai nessuno che non sarà felice nel sentirselo dire o infelice nel dirlo.
E’ solo una parola ma può aprire il cuore di chiunque o chiuderlo per sempre.
A volte non significa nulla. 
Altre dice tutto o quasi. 
Rende l’essere umano degno di sé stesso e riempie di sgomento chi la dignità non l’ha mai conosciuta. Ci differenzia dagli stupidi poiché è merito loro se sappiamo di non esserlo.
Ci fa sentire saggi quando la si dice nonostante tutto.
Sono sei lettere: tre vocali e tre consonanti.
C’è tutta la storia del mondo nel loro interno.
C’è tutta la riconoscenza per qualcosa di bello che si è ricevuto.

E’ per questo che voglio dirti: GRAZIE!




                                  Alvaro.

Dio, dove sei?


Ho cercato Dio ovunque.
In posti dannatamente incredibili e in altri chiaramente ovvi.
Ma niente!
Non lo trovavo.

Così, verso la fine degli anni settanta,
decisi di andarlo a cercare nel continente indiano pensando:

“ Se Dio è per i poveri e con i poveri, quale posto meglio dell’India?”.

E ci andai. Per diverse volte.

La attraversai in lungo e in largo,
mangiando , a volte, cibo disgustoso
e dormendo in posti così orrendi
da far rabbrividire il Demonio.

Incontrai Guru e Santoni
o presunti tali
e tutti dispensavano parole,
saggezza e filosofia spicciola.

Parlai con pazzi e derelitti
e ognuno di loro
aveva la soluzione in pugno.

Ma di Dio nemmeno l’ombra!

Dove si era rifugiato?

Trascorsi notti insonni.
Per i pensieri, per il caldo e le zanzare.

Fui morsicato da uno scorpione e rimasi in coma due giorni.

Quando mi svegliai qualcuno gridò: - MIRACOLO! -

Io sorrisi. Ma ormai non credevo più a quel genere di cose.

Avevo incubi
in cui
ero sempre ad un passo
dal parlare con Dio.

Così,
una mattina di Marzo,
in un caldo opprimente
me ne andai.

Smisi di cercarlo
e decisi
che se mai un giorno
ci fossimo incontrati
le prime parole
avrebbe dovuto dirle Lui.

Ritornai alla mia vita
e alla mia mediocrità
lasciando che il tempo
scivolasse dietro a me.

Poi
un giorno
dopo molto tempo
in un ricovero per disabili
conobbi Giovanni
un paraplegico
pieno di vita
anche se a 32 anni
quella vita lo aveva tradito.

Ora ne aveva 77
ed era un pozzo di saggezza.

Durante uno dei nostri numerosi incontri
gli confidai
della mia vana ricerca, negli anni passati, di Dio.

Mi guardò a lungo e in silenzio poi disse:

- Ti sembra un mondo dove qualcuno o qualcosa abbia voglia di essere Dio? -

Tacqui.

- Guarda me - disse - sono 45 anni che sto su questa maledetta sedia a rotelle. Ho perduto la mia famiglia, il lavoro e la mia vita! L’unico passatempo che ho ora è quello di parlare con te, mentre attendo la morte. -

Continuai a tacere, con lo sguardo fisso al pavimento.

- DIO SIAMO NOI! - urlò - SE NON MI FOSSI TUFFATO NELL’ACQUA BASSA, ORA IO E TE STAREMMO PASSEGGIANDO! LO DECISI DI FARE IO, NON DIO O CHI PER LUI! -

Poi, a voce bassa, continuò:

- Le conseguenze delle nostre azioni le decidiamo noi; decidiamo cosa vogliamo essere, cosa vogliamo fare, dove vogliamo andare. -

Lo ascoltavo mentre fuori iniziava a piovere.

- Siamo liberi di ucciderci o di uccidere, di costruire o distruggere! Nessuno mi darà più l’uso delle gambe perché non esiste altro Dio all’infuori di noi stessi! - concluse.

Poi si girò
e con forti spinte delle sue braccia sulle ruote, si allontanò.

Rimasi lì
per qualche minuto ancora
mentre fuori la pioggia
lavava il mondo.

Dopo un po’ me ne andai anch’io.

Non lo rividi mai più.

Morì la notte stessa
per un infarto
o qualcosa del genere.

Di Lui non mi rimangono
che quelle parole
che ho appena scritto
e una sua foto.

Il suo corpo è al sicuro.
Della sua anima non so chi se ne occuperà.
Ma mai come ora, io spero che Giovanni si sia sbagliato.
                                                                                                                               
                                                                                                  Alva.

Danza.



Io ballo senza musica da quando sono nato.
Sulle note stridenti della mia esistenza che,
giorno dopo giorno,
passo dopo passo,
mi dicono che vivo.

E' un ballo faticoso e difficile
dove non c'è musica
ma solo tempo.

E non sei tu che tieni il tempo
ma è lui che tiene te.

La mia danza è la mia vita.

E' così che ballo: senza musica e senza applausi.

E' una strana danza questa.

Ma è così.

Ed è mia.

                                                                  Alva.

Musica.


Mi sei entrata dentro,
ti ho ingoiata come si fa con un insetto,
o con una pillola
in modo distratto,
consapevole.
E’ stato piacevole abbracciarti, piangendo,
mentre le tue vibrazioni scuotevano la mia anima dannata.
Eri lì
intorno a me
e le mie lacrime
ti attraversavano.
Come raggi di buio
nell’eterna luce.
Come rami di gelso
in controluce
in pieno giugno.
Come sangue
sul marmo lucido dell’eternità.
Ho ballato con te
e la mia mente era triste.
Ho abbracciato
la tua voce
e ho capito che nulla
avrebbe sfiorato
la tua poesia.
Continuo a piangere
certo che nulla
potrà mai cambiare
le carte in tavola.
Musica.
Parole.
Tutto e niente.
Come un cane mi sdraio.
Musica.
Il sonno mi assale.
Chiudo gli occhi.
La vita è adesso.
Non so nulla del domani.
Musica. Solo musica. E io che mi addormento.
Dentro di te.           

Alva.           

Count down.


Ha oltrepassato la soglia dei 50 anni
ed è ancora piacevole allo sguardo;
spende una fortuna in cosmetici per la pelle
cercando di dimostrarne 40;
indossa solo vestiti firmati
che le fasciano il corpo
e la stringono
dove è più necessario
come ne avesse 30;
è pervasa da fantasie sessuali
e pulsioni erotiche
come una ragazza di 20;
si commuove a tutte le ricorrenze
e ride sguaiatamente guardando i cartoni animati
come una bimba di 10.
Ogni volta che l’incontro
mi fa sempre una grande tenerezza;
la osservo nei suoi movimenti elastici,
nei suoi capelli tinti,
nei suoi denti finti
che brillano anche al buio
e capisco che ha paura.
Paura di morire.
E’come se tentasse di ingannare il tempo
con tutti quei diversivi;
e tutte le volte
dopo avermi spiegato
la sua intricata e preziosa vita
guarda l’orologio ed esclama:
“DIO MIO, E’ TARDISSIMO!”
Subito dopo mi saluta.
Io resto sempre qualche attimo a guardarla
fino a quando scompare in qualche viottolo.
Poi me ne vado anch’io,
trascinando la mia disgustosa persona altrove
mentre il tempo
con una cinica precisione
continua la sua inarrestabile corsa
attraverso i secoli.


                                                                                         Alva.