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web sito ImageChef Custom Images "Ormai quasi giunto al termine della mia vita di peccatore, mentre declino canuto insieme al mondo, mi accingo a lasciare su questo blog testimonianza degli eventi a cui mi accadde, mi accade e mi accadrà di assistere durante il periglioso viaggio che mi separa dalla tomba. E Dio mi conceda la grazia di essere testimone trasparente e cronista fedele di quanto ho visto. Possa la mia mano non tremare mentre mi accingo a scrivere certi eventi e ricordare l'inquietudine sottile che opprime l'animo mio mentre mi collego quotidianamente a questo blog poiché oggi ho la certezza che sto rettamente interpretando gli indubitabili presagi ai quali, da quando nacqui, stoltamente, non diedi peso ."

domenica 4 dicembre 2011

MATER FUR

La mamma prese per  mano il bambino e gli chiese se era felice. Il bambino la guardò e con un sorriso a metà rispose positivamente.  Immediatamente la donna cambiò umore. Divenne seria e con uno strattone lo esortò a camminare tirandoselo dietro. Arrivarono in una via tutta illuminata dove c’era un negozio di profumi. Una volta entrati , dopo una rapida occhiata al banco espositivo, la donna, mentre la commessa era distratta dal bambino, afferrò un flacone di una nota marca e lo infilò nella sua borsa.  Il bambino sapeva cosa la mamma stava facendo. Era tanto tempo che glielo vedeva fare. Non le aveva mai chiesto il perché  ma dopo ogni volta, la vedeva felice, tranquilla e calma: il che , per lui, significava niente botte alla sera. Significava anche una cena calda e i cartoni alla tivù. Aveva sentito a scuola che prendere le cose senza pagarle significava rubarle.  Si finiva in galera. Non sapeva bene cosa significasse stare in galera ma era senz’altro meglio di una serata con sua madre quando tornava a casa senza esser riuscita a rubare nulla. E in quel caso era sempre colpa sua: o non aveva distratto abbastanza la commessa o aveva fatto trasparire qualche emozione. E poi cresceva. Non era più il piccolo frugoletto con le guanciotte rosse che ti veniva voglia di baciare e coccolare. Iniziavano a comparire i primi brufoli e lo sguardo stava diventando da teppistello. Era anche  troppo alto per la sua età il che, per lui, come al solito, significavano problemi. Una sera, dopo cena, la madre lo colpì senza motivo e lui, per la prima volta, si ribellò ma lei gli lanciò una scodella in volto. Il giorno dopo, a scuola, durante l’ora di ginnastica, il professore gli chiese cosa fosse quel taglio. Il ragazzo tentò un sorriso che fu più chiaro di qualsiasi risposta. Quando tornò a casa non trovò la madre ma vide che , ad attenderlo con una valigia verde di cartone rigido, c’era suo padre. Una specie di gigante che sorrideva sempre, con due mani grosse come vanghe e piene di calli. I calli  significavano lavoro. Glielo avevano detto a scuola. Un giudice gli aveva negato la sua presenza perché era povero. A scuola  aveva anche sentito che un uomo onesto, il più delle volte, è povero. L’uomo gli disse che sarebbe rimasto da lui per un po’. Si guardarono negli occhi. Il ragazzo non disse nulla. Uscì da quella casa con un sorriso in più: quello di suo padre.

                                                                                                           Alva.

Il mondo all'esterno.

                    
Lorenzo era seduto in auto. L’orologio digitale segnava le 15.30 e da oltre 10 minuti la radio trasmetteva notizie terrificanti circa l’alluvione che stava mettendo in ginocchio Genova. Con un pesante sforzo dei muscoli del collo buttò un’occhiata a sinistra: la pioggia scrosciante batteva sul vetro con una forza inaudita ed egli cercava di individuare con lo sguardo, in una sorta di ipnotica danza oculare, la consistenza di ogni singola goccia prima che esplodesse sul finestrino. Il sudore, ogni tanto,  gli colava sulle palpebre costringendolo a strizzare gli occhi. Il motore era spento ma la ventola continuava a diffondere il calore rimasto all’interno dell’abitacolo. I vetri si stavano appannando. Con un altro sforzo girò la testa alla sua destra e, attraverso un lembo di vetro ancora trasparente, vide il grigio scuro del cielo che si contraeva e dilatava come il muso di un orso selvatico. D’un tratto la radio si spense. Istintivamente guardò l’orologio: mancavano 3 minuti alle 16. Erano passati 27 minuti. Si spense anche l’orologio. Inspirò ed espirò affannosamente.  Il rimbombo della pioggia sulla macchina evocava in lui i giorni lontani del duro lavoro nelle officine dell’Italsider, quando per parlare con qualcuno, oltre a gridare, dovevi sbracciarti per farti vedere , tanto era il rumore della pressa meccanica che scandiva, con boati tremendi, la giornata lavorativa. A Lorenzo, quella pressa,  gli aveva fatto schizzare una scheggia di metallo nella spina dorsale ed ora, chiuso in quella macchina, con acqua fredda e sporca fino alle braccia, capì che la sua vita sarebbe finita proprio in via Fereggiano, spazzata via da un alluvione, insieme alla sua fedele sedia a rotelle su cui aveva percorso centinaia di volte il tragitto Foce – Boccadasse. Quando l’acqua del fiume capovolse  l’auto , anche il mondo all’esterno, per Lorenzo, si spense.

                                                                                                        Alva.