VOTAMI!

web sito ImageChef Custom Images "Ormai quasi giunto al termine della mia vita di peccatore, mentre declino canuto insieme al mondo, mi accingo a lasciare su questo blog testimonianza degli eventi a cui mi accadde, mi accade e mi accadrà di assistere durante il periglioso viaggio che mi separa dalla tomba. E Dio mi conceda la grazia di essere testimone trasparente e cronista fedele di quanto ho visto. Possa la mia mano non tremare mentre mi accingo a scrivere certi eventi e ricordare l'inquietudine sottile che opprime l'animo mio mentre mi collego quotidianamente a questo blog poiché oggi ho la certezza che sto rettamente interpretando gli indubitabili presagi ai quali, da quando nacqui, stoltamente, non diedi peso ."

sabato 30 aprile 2016

Saggezza.

E' venuto il giorno
in cui devo rassegnarmi.

Non ho più illusioni.

Accetto la sconfitta.

Ogni tanto penso a quando ero vincente,

sano e forte.

Ma ho ammesso con me stesso

che non era vero

che era solo

il momento migliore

della mia esistenza.

Ricordo quando rimanevo in silenzio

per ore

ad assaporare l'energia

della mia gioventù.

Mentre adesso

nello stesso silenzio

mi avvio verso il nulla.


giovedì 28 aprile 2016

PREGHIERA PROFANA.

Non ho trovato lo smarrimento necessario per mettere ordine alle mie parole. 
Non ho trovato il giusto ordine ai miei pensieri quindi, è probabile, che non morirò. 
Non sarò nel posto sbagliato al momento giusto. 
E, adesso che ci penso, sono già morto cinque volte da quando sono nato.

Ricordo la prima volta che morii: avevo un anno. 

Sono sul seggiolone. Mio padre  lancia una bottiglia di vino attraverso la luce del neon. Mia madre urla. Una colata rossa alle mie spalle. Vetri ovunque. Uno specchio davanti a me riflette la mia immagine e quella di un uomo che picchia una donna. Io piango. Il tempo non passa mai e quando passa, passa male.

                               Padre mio, che eri accanto a me
                               sia maledetto il tuo nome.

La seconda volta avevo tre anni. Nevicava. Lo aspettavo all' asilo. Stava venendo buio. La suora mi scherniva: ' Tuo padre non verrà! '. Ma quando arriva io sono felice. Guardo la suora con disprezzo. Mio padre mi afferra per un braccio e mi costringe a camminare al suo passo. Cado. La neve è bianca e fredda. Ho la faccia dentro di essa. Non mi prende in braccio perché il suo vestito è nuovo. Arrivati a casa mi dice: ' Non dire nulla alla mamma!'  Io batto i denti dal freddo. ' Hai capito?' - urla. Non riesco a parlare ma annuisco.

                              E venga il mio sdegno
                              e sia fatta la sua volontà.

La terza volta arrivò per mano di mia madre. Avevo 17 anni. Il giorno di Natale davanti al presepio. Mi dice che quando è rimasta incinta mio padre era ubriaco. Doveva salvare un matrimonio. Dovevo capire. Dovevo sapere. Dovevo dividere la sua merda.

                              Così in cielo, così in terra.
                              E rimetti a noi i nostri debiti
                              come noi li rimettiamo ai nostri genitori.

La quarta volta fu quando mi separai. Undici anni di matrimonio e due figli mi presentarono il conto. Telefonai a mio padre per un aiuto. ' Cazzi tuoi!' - mi rispose.
Poi, una notte, dal ponte del Turchino, con una nave sfavillante all'orizzonte tentai il suicidio. Un camionista mi afferrò dai pantaloni e mi fece sedere sull'autostrada deserta. Mi offrì dell'acqua. Mi accarezzò una guancia. Intorno a me il silenzio. Piansi.  

                              Ma non ci indurre in tentazione.

L'ultima fu la morte più bella. Più gratificante. Arrivò con una raccomandata. Mio padre era morto. Andai al funerale. Sentii parole inutili. Guardai con attenzione la sepoltura. Quella terra seppellì anche un po' di me. Lui era morto e i suoi ricordi di me erano morti. Quando uscii dal cimitero, risi.

                              E liberaci dal male. Amen.                         
                                                                                                                                         

                                                                                                                                          Alvaro

SUBSONICA E MORTE.

                                              

Afosa giornata di Luglio.
Ascolto i Subsonica.

                                      Alba scura;

e fuori il sole spacca la terra e la gente sbrocca.

                                      Istantanee;
e gli alberi pietrificati,
e i gatti nelle cantine,
e quelli che si incontrano.

                                      Eva incontra Eva;

Romano – Casacci – Di Leo lottano come dannati.
Sono tosti. Massicci. Fuori controllo. Caricano a testa bassa. Musica che spacca le lamiere. Un pazzesco volume di suono.

                                      Come se;

le vibrazioni del mondo intero
convogliassero intorno a me
e d'un tratto

                                      Colpo di pistola;

l'aria si apre
lascia passare le note
la batteria, il basso, la voce rabbiosa
sta giocandosi la sua migliore carta.
( mi infilo una pasta in bocca e do una golata al vino).


                                      Amore sogna;

il mio vicino picchia sul muro e impreca.
Urla di finirla.
Che sono bastardo.
Ma io ho troppo vino nel sangue e non riesco ad alzarmi.

                                      Nuova ossessione;

sono a terra. Il pavimento è freddo. Mi piego da un lato. Ho i brividi. La congela nella schiena. Vomito.

                                      Strade;

nona traccia. Sto male. Il telefono squilla. Il cellulare squilla. Io sono a tocchi. Il mio sudore scende e bagna il pavimento.

                                      Preso blu;

e scivolo in un oblio stupido.

Si innesca                        
                                     Sole silenzioso;

cerco di alzarmi. Il telefono continua a squillare. Mi trascino al divano. Bevo ciò che è rimasto da una bottiglia. Liquido gelido, alcolico, ipnotico, impetuoso e spietato.

                                      Fiumi urbani;

qualcuno bussa alla porta.
Qualcuno che ha le chiavi e cerca di aprire.
Ma io ho chiuso dall'interno. Continuo a vomitare.
Arriva altra gente. Urlano il mio nome.
Caldo, vino, ecstasy.
Giorni come questo
corrono attraverso le braccia
dentro la testa
e giù nelle budella.

Hanno sfondato la porta. Urli. Pianti.
I paramedici del 118 si aggrappano a me.
Vogliono strapparmi dalle catene. Dalla morte.
Mi puliscono il viso. Maschera ad ossigeno. Adrenalina nelle vene.

Le catene.

Una luce artificiale mi sta cercando. Urlano il mio nome.
L'autoambulanza mi trasporta con la sirena a manetta.
Mi lascio andare. Qualcuno dice di fare in fretta.
Sbuffo.
Aria che se ne va. Vita che se ne va.

Staccano la sirena.
La macchina rallenta.
Fuori il caldo è terribile.

C'è chi non è mai stato prigioniero.
C'è chi non è mai stato libero.

Nella mia stanza parte l'ultima traccia.

                            Liberi tutti.

Ma io non ci sono più per sentirla.

                                                                                              Alva.

IDIOTISSIMO ME.

Io dedico sempre del tempo a me stesso! Sono una persona interessante. Anche se un po' timido. E' per questo che, a volte, ho un approccio complicato con la mia persona. A volte oso. Mi faccio coraggio e m’invito a pranzo. A volte accetto, ma il più delle volte no. E non lo faccio perché mi credo chissà chi: lo faccio perché devo capire che non ci sono solo io al mondo. Sai quanti come me esistono? Un'infinità. Così, quando mi rifiuto l'invito, mi ridimensiono. Comprendo meglio le cose intorno a me. Poi, mi prende una cosa allo stomaco, inizio a soffrire, prendo il cellulare e mi scrivo. Mi posso perdonare? Mi do' un'altra possibilità? In seguito cado in un errore madornale: cerco di invitarmi a cena per il giorno dopo. Stesso posto. Stessa ora. Per un po' gioco con me stesso poi accetto. E' troppa la voglia di vedermi. Di toccarmi.
A proposito: è un po' che non mi tocco! E questo non è bello. Penso che sia l'età o, forse........AVRO' UN ALTRO?

1000 E NON PIU'1000

Mille anni fa ,quando venne il lungo sonno ad occhi aperti
mi avviai per la strada e non mi fermai prima di cancellare
le ostilità dal mio cuore.
Credevo di aver vissuto in eterno.
Tenni a bada le mie parole.
Governai le mie penitenze.
Dominai le mie notti trascorse a trasportare il vuoto
verso la linea dell’universo
dove il bianco fulgore triangolare dei miei pensieri
beneficiavano dell’assenza dell’inganno.
Oh, spettro delle tenebre, strano e mistico fratello
di un tardo pomeriggio in cui ,con gli occhi scintillanti,
osservai il giardino della mia dolcezza
a picco degli immutabili mattini azzurri
e, come un antico giapponese,
mi diressi verso il bonsai della solitudine
svuotando il contenuto del mio cuore
dentro una dolce sera d’agosto, calda e fragrante,
come un’idea eccelsa, che giunge alla mente e al cuore.
Mille anni fa
quando venne il lungo sonno ad occhi aperti
gioii nella delizia dell’ignoranza.
Tramontai verso il mare e raggiunsi tutte le montagne del creato.
Ed ero pace e contentezza.
Nell’estasi dell’eternità primordiale.
Mi sdraiai nel buio, con le luci delle stelle dietro me.
Poi ,vidi Dio.
Chiusi gli occhi e ascoltai il silenzio eterno.
CHE BEATITUDINE! CHE BENEDIZIONE!
Rammento ancora quell’attimo ,quando venne il lungo sonno ad occhi aperti
perché io ero sveglio
nel cuore della notte
che mi lavavo nel profondo
buio
e  freddo fiume
della morte.

                                                                                   Alvaro.

UN MIO AMICO.

Io ho un amico.
Siamo nati nella stessa città.
Stesso quartiere.
In un’afosa serata di Luglio dell’81 andai a casa sua
e lo trovai intento a fare i bagagli.

“ Devo trovare il mio posto nella società. La mia giusta collocazione!”

Questo fu quello che disse prima di salutarmi e andarsene.
Lo rividi dopo tre anni.
Era molto dimagrito, quasi senza denti
e con le braccia piene di buchi .

“Sto ancora cercando il mio posto. I tempi non sono maturi ma lo troverò.”

Sussurrò questa frase a testa bassa e se ne andò.
Da allora sono trascorsi 32 anni.
Quel mio amico non si è più mosso da Acqui Terme.
Ora sta poco lontano dal quartiere dove giocavamo.
Imbocchi una lunga strada con ai lati solo campagna.
Giri a destra e oltrepassi un cancello.
Fai 50 metri e giri intorno ad un cipresso.
Lui è lì. Terza fila a sinistra. Ha 21 anni da 32 anni.
Nel posto che stava cercando e che tanto lo ha atteso.
Un posto lungo 2 metri e profondo altrettanto.                                          

Alva.    

mercoledì 27 aprile 2016

POESIA DOPO LE DIMISSIONI.

E' strano, ora, pensare a te,
mentre cammino sul mio personale asfalto.
Ho parlato,
ho letto,
ho ascoltato
& ho perfino pianto
pensando come a volte si soffre
sognando di nuovo la vita
come una corsia preferenziale
verso l'Apocalisse.
Mentre cammino
mi volto a guardare
le centinaia di finestre negli edifici,
luoghi di povertà
che io conosco
& tu conosci.
Non facciamo più parte
di questo sistema.
Abbiamo finito con questo secolo.
Finito col sentiero che lo attraversa.
Non abbiamo più sorelle,
nè fratelli,
nè segreti.
Siamo astratti.
Con poche immagini.
Avevamo giurato di illuminare il genere umano
ma ci siamo ritrovati a fissare l'angolo di una finestra
sperando di intravedere una poiana su un albero
o un ramo pieno di civette.
Ci hanno gettato addosso i germi del veleno.
Ci hanno impedito di prenderci la nostra tazza di caffèlatte mattutina.
E poi
le brutture della vita
ci hanno insegnato a ridere degli idioti
quelli con occhi sognanti e corpi rachitici.
Alla sera
andavamo a letto esausti
ignorando il dolore
che proveniva dal profondo delle nostri carni.
Valanghe mortali di profanate montagne.
Ricordo ancora quando mi svegliai alle 3 del mattino
e mi trovai con la mano tesa
a chiedere la carità al buio.
Pensai a come cercare di essere posseduto da me
ma ero nudo,
con un corpo pieno di cicatrici
come orrende e spesse cerniere lampo.
Abitavo in sudici appartamenti
e in stanze buie
mi mangiavo le unghie
e la carne intorno ad esse
e ascoltavo la mia vicina
che urlava di piacere
nell'ennesimo coito
del suo ennesimo amante.
Avrei voluto essere glorificato
ma il mio occhio era sepolto
e il mio grido volava intorno all'universo.
Lascio qui il mio pensiero istantaneo 
sotto forma di dimissioni.
Inchiostro su carta.
Poche parole.
Più veloci della luce.
E
per tutto il resto

torno a dormire nel mio letto buio sulla terra.

                                                                                          Alva.

POESIA PSICHIATRICA.

Realtà manicomiale.

La puoi toccare.

Essa è fatta di pareti che hanno la consistenza del giudizio psichiatrico.


La società tarata
indifferente
& annoiata


ha inventato la psichiatria.


L'hanno inventata per difendersi
da menti superiori.


Essa non è altro
che un insieme di gorilla
ossessionati e perseguitati
dalla paura
degli stati più spaventosi dell'essere umano.


Il loro palliativo
è una terminologia ridicola
materialistica e corporea quindi inumana
spiritualistica e psicogenista quindi ingiusta.


Perché non accettare tanto la ragione quanto la follia?


Alcuni
hanno come unica grande colpa
quella di essere nati.


E io che guardo e non riesco a parlare?
E io nevrotico che costruisco castelli in aria?
E io psicotico che ci abito?
E tu, psichiatra, che riscuoti l'affitto?


Io e la claustrofobia
io e la paura del passato
io e l'uomo nero
io e la paura astratta.


Ed ecco la terapia!
Me la ficcano in bocca
controllano se la mando giù
e se ne vanno soddisfatti.


Ma io sorrido


perché


tanto


dentro di me



scappo lo stesso!

IL MIO NATALE NUMERO 23.

Ricordi indissolubili di giorni infausti
perseguitati  da particolari momenti della mia esistenza
che accompagnano nebbie del passato
sopra sbiaditi flashback.
Tremule tinte sfumate
di acquarelli in soffitta
e  foto in bianco, nero e giallo
dove famiglie finte a Natale
fanno sorrisi finti
e fingono di volersi bene,
 fingendo abbracci e scambiandosi regali.
Era sempre a Natale che mia madre urlava: “ ELENA,VUOI SEMPRE FARE DI TESTA TUA!”
E io che pensavo: ”crepa, maledetta!”
Ma poi negli anni mi sono dovuta ricredere.
Fare di testa mia creava problemi
così ho iniziato a fare quello che piaceva agli altri.
E’ stato un periodo meraviglioso!
Tutti intorno a me erano felici : eccetto me.
Ma questo era irrilevante al fine
e cioè essere tra persone felici.
La felicità mi seguiva ovunque andassi.
Mi stava attaccata ad un braccio.
Pronta per essere sfoderata
quando arrivava qualcuno;
soprattutto a Natale
perché quel giorno si doveva essere felici.
Ne avevano tutti bisogno.
Non dovevo fare di testa mia.
Non dovevo dire alle persone che mi annoiavano.
Che avrei preferito mangiare la merda piuttosto che essere costretta alla loro compagnia.
Non potevo deluderli.
Volevano applausi, sorrisi, auguri.
Il mio volto aveva imparato a costruire
un riso falso in mezzo secondo.
Ero  coinvolta
nelle loro stupidaggini,
nelle loro idiozie,
nei loro vaneggiamenti,
nei loro discorsi privi di parole sensate.
I miei occhi li guardavano
ma suscitavano in me
lo stesso interesse
di uno sputo per terra.
Così oggi
per il mio Natale numero 23
ho deciso che non esiste una realtà,
un’età massima per la permanenza in questo mondo.
Da questo ponte sul Turchino vedo Genova e un mare grigio.
Scavalco il parapetto e senza esitazione mi lascio cadere nel vuoto.

E’ strano: la felicità non mi ha seguita.
La felicità degli altri non ha coraggio.
E’ rimasta lassù, con lo spirito natalizio.
Ad osservarmi.
Sarà dura per loro senza me.
Non ho mai tentato di sedurli quando li passavo agli altri.

L’orizzonte si alza di colpo e la terra mi aspetta.
Finalmente, un vero sorriso mi taglia la faccia.

Ho di nuovo fatto di testa mia.                                                                                                 

Alvaro.