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web sito ImageChef Custom Images "Ormai quasi giunto al termine della mia vita di peccatore, mentre declino canuto insieme al mondo, mi accingo a lasciare su questo blog testimonianza degli eventi a cui mi accadde, mi accade e mi accadrà di assistere durante il periglioso viaggio che mi separa dalla tomba. E Dio mi conceda la grazia di essere testimone trasparente e cronista fedele di quanto ho visto. Possa la mia mano non tremare mentre mi accingo a scrivere certi eventi e ricordare l'inquietudine sottile che opprime l'animo mio mentre mi collego quotidianamente a questo blog poiché oggi ho la certezza che sto rettamente interpretando gli indubitabili presagi ai quali, da quando nacqui, stoltamente, non diedi peso ."

mercoledì 6 marzo 2019

Lui.



Stavamo finendo il pranzo. Era un pranzo normale, niente di eccessivo,
qualche portata, un po’ di vino in tavola. Perché uno si aspetta che gli avvenimenti importanti vengano preceduti da segnali inconsueti o singolari, e invece ogni evento è così naturale, che diventa una specie di legittimo prolungamento delle cose. Lui era a capotavola. Aveva un aspetto trasandato: barba incolta, capelli arruffati e la camicia con l’interno del colletto sporco. Lo guardavo mentre mangiava, alternando ogni boccone con una bicchierata di vino bianco fresco. Attendevo che il suo sguardo incrociasse il mio per iniziare a parlare; ma lui stava molto attento a non farlo. Era chino sul tavolo, quasi ingobbito, data la sua altezza, e l’unico rumore che si sentiva in quella cucina era quello generato dalle sue mandibole. Poi, il cibo finì e anche il vino. Lui, dopo essersi più volte deterso la bocca con la salvietta, iniziò a fissare un punto del soffitto con fare meditabondo. Ad un certo punto farfugliò qualcosa circa il pranzo appena consumato, come a dire, per quel che riuscii a capire, che l’aveva apprezzato e che era un bel pezzo che non mangiava in quel modo. Finalmente incontrai il suo sguardo: aveva due occhi grigio verdi incastonati dentro a un volto che pareva ricavato dall’intaglio di una quercia secolare ammuffita e il suo sorriso era come una spaccatura sottile su una parete montagnosa all’interno della quale, acuendo lo sguardo, potevi intravedere stalattiti e stalagmiti bianche. Gli chiesi con calma come volesse procedere. Con una serie di torsioni laterali della testa fece scrocchiare un paio di volte le vertebre del collo, quindi in una sorta di catarsi post prandio allungò le gambe sotto il tavolo e, a occhi chiusi, rimase qualche secondo in silenzio. L’orologio segnava le 13.30. Era tardi. Ci eravamo dilungati troppo nel non dire niente. Io e lui: due vecchi amici di scuola. Il mio cane, un dobermann di 8 anni, era in un angolo del salotto che guaiva quasi in silenzio. Non voleva attenzioni, povera bestia, era malato: un tumore al fegato lo stava consumando. Lui a un certo punto si alzò di scatto, afferrò la sua valigetta di pelle marrone e la aprì. Lo vidi armeggiare nervosamente con una siringa e un flacone e un laccio emostatico e alcuni tubicini e quindi capii che il momento si stava avvicinando e quando si accostò al mio cane incrociai anche il suo di sguardo che pareva dirmi qualcosa ma era un qualcosa troppo confuso dal dolore e Lui lo accarezzò perchè di lui si era sempre fidato perchè era quello che lo aveva aiutato fino a quel momento e quando gli mette il laccio intorno alla zampa e infila l’ago è come una coltellata che mi prendo nel cuore e sento la lama che si rigira nelle mie carni e sto male e tremo e stringo i pugni e maledico il mondo e piango e quando Lui si alza e raccoglie le sue cose e mi lascia un pezzo della mia vita morto in un angolo capisco cosa debbo fare: lo prendo tra le mie braccia e attendo che tutto il calore che se ne sta andando mi scaldi ancora per l’ultima volta e mentre lo faccio dalla finestra vedo un gran traffico di gente che parla e che sorride e che si ignora e che cammina a testa bassa e io, come non mai, capisco di essere rimasto terribilmente solo.










Alva

A te.

La vita è senza inizio e senza fine.
Ci coglie tutti di sorpresa,
lasciando che su di noi aleggi
un’oscurità invincibile.
Ma tu, io lo so,
credi fermamente in ciò che altri non credono.
A te è concesso, oltremisura,
comprendere ciò che vedi.
Il tuo sguardo è forte e sereno
e ti permette di vedere
com’è stupendo il mondo.
Tu sai dove sono la luce e le tenebre.
Tu sai cosa significa il panico
io so di essere debole e impotente
io sono un servo fatto di creta e polvere.
Ma la conoscenza rimane.
Qualcuno la urlerà lontano.
Anch’io sto urlando ma non spetta a me il giudizio.
In noi si è formato un nuovo genere di roccia
che senza fretta sorgerà dalle viscere della terra
e verrà mostrato al mondo.

Scaviamo!
Scaviamo!
Scaviamo senza conoscere stanchezza!

Lo sapevi che un diamante non risplende al sole
se è sepolto?