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web sito ImageChef Custom Images "Ormai quasi giunto al termine della mia vita di peccatore, mentre declino canuto insieme al mondo, mi accingo a lasciare su questo blog testimonianza degli eventi a cui mi accadde, mi accade e mi accadrà di assistere durante il periglioso viaggio che mi separa dalla tomba. E Dio mi conceda la grazia di essere testimone trasparente e cronista fedele di quanto ho visto. Possa la mia mano non tremare mentre mi accingo a scrivere certi eventi e ricordare l'inquietudine sottile che opprime l'animo mio mentre mi collego quotidianamente a questo blog poiché oggi ho la certezza che sto rettamente interpretando gli indubitabili presagi ai quali, da quando nacqui, stoltamente, non diedi peso ."

venerdì 10 dicembre 2010

                             Sulla strada.
                            

E' mattina e sta suonando la sveglia. E come quasi tutte le mattine sono già dentro il lavoro. Questo lavoro mi ha in pugno. E' intorno a me. E' sufficiente che io scenda dalla brandina per vedere il volante e il cambio e la consolle dei comandi pronti a illuminarsi per l’ennesima volta e informarmi circa lo stato di salute del motore e di un sacco di altre cose che gli stanno intorno. Mi sento come immerso dentro una gelatina permanente. Quando guardo la strada attraverso il parabrezza, è come se la guardassi da una lente deformante. Il nastro d'asfalto mi scorre sotto come un fiume in piena ed io mi sento come sospeso su un ponte in attesa del crollo. La strada è un delicato equilibrio che tutte le mattine qualcuno o qualcosa è pronto a cambiare. A volte, per non pensare, mi prendo i miei angoli mentali di assoluta libertà all'interno della quale posso ritirarmi, leggero ed evanescente come la nebbia al mattino. Sono angoli che possono diventare all'improvviso rotondi e piccoli. Dove tutti i tuoi pensieri e le tue risorse devono mettersi a far qualcosa per rimediare a un errore. Il più delle volte è l’errore di qualcun altro. E tu pensi: perché è successo? Perché non me ne sono reso conto? Poi passano gli anni: due, cinque, sette, dieci, tredici. E la sveglia suona ancora. La strada che è sotto di me non ha quasi più nulla di nuovo da raccontarmi. Resta solo il residuo. Le frammentazioni. Le scorie.

                                      Martedì, ore 06.15
                  

Ho atteso quest'ora nella speranza di non trovare traffico per l'entrata in Germania. Purtroppo la colonna è molto lunga e lenta. Devi avere mille occhi e stare attento che nessuno ti venga addosso. Il piazzale, dopo la notte, puzza di orina accentuata dal fatto che fa caldo e non piove da settimane. I doganieri svizzeri ridono. Nelle loro divise perfette e pulite ridono. Ci guardano come fossimo bestie.  Eppure è l'Italia che negli ultimi 500 anni di storia, nonostante tutte le guerre e le devastazioni che si sono succedute, è riuscita a produrre grandi letterati, musicisti, scienziati, politici, poeti, navigatori e altro ancora. E la Svizzera? L'orologio a cucù! Lentamente oltrepasso il confine. Inizia la Germania con le sue lunghe e tristi autostrade. Quattro ore mi separano da Francoforte. Il navigatore mi dice che arriverò verso le undici. Il motore è al massimo regime. La giornata è bella. Canticchio la solita canzone di cui mi sfugge il titolo.Davanti a me camion e macchine con luci di emergenza accese. Segno che oltre è accaduto qualcosa. Magari il solito incidente del solito idiota in macchina che ha deciso di consultare la cartina mentre sta andando a 200 all'ora. Oppure i soliti lavori in corso che in Germania assumono dimensioni bibliche in tutti i sensi. Niente di tutto questo: c'è un copertone in mezzo alla strada, staccatosi probabilmente da un camion, che ha deciso di piazzarsi proprio nella corsia centrale quindi, per venti minuti.
l'attrazione principale della mattinata per tutti quelli davanti a me sarà: passa accanto al copertone del camion MOOOLTO lentamente e fissati per sempre nella memoria quel momento d’indicibile adrenalina. Vorrei suonare il mio potente clacson per riportare alla realtà tutta quella massa di ebeti ma soprassiedo. Non vorrei incorrere nel sillogismo un po’ stereotipato secondo cui i camionisti sono prepotenti perché guidano un mezzo così grosso. Ricordo che anni fa qualcuno ebbe a dire che certi uomini decidono di pilotare grosse macchine e camion per compensare la pochezza dei propri genitali. Mah!

                                      Martedì, ore 07.40

Posto di blocco! Noooooooooooo! Questa non ci voleva! Li conosco i posti di blocco in Germania: con estrema cortesia e professionalità ti rivoltano come un guanto e  TRANQUILLO che qualcosa trovano! Inizio a rallentare. Vedo, 300 metri più avanti, uno della Polizei che, fermo proprio davanti all'entrata di un'area di parcheggio, con una paletta luminosa, fa entrare i camion per il controllo. Ora sto pregando. Prego ma non perché io abbia qualcosa che non va (a parte il rimorchio che pare essere stato per un anno il gioco preferito di Godzilla) giacché in un controllo di polizia si possono perdere anche quarantacinque minuti. Ciò significa che stasera mi mancheranno quarantacinque minuti da dedicare a me. Certo! Io dedico sempre del tempo a me stesso! Sono una persona interessante. Anche se un po' timido. E' per questo che, a volte, ho un approccio complicato con la mia persona. A volte oso. Mi faccio coraggio e m’invito a pranzo. A volte accetto, ma il più delle volte no. E non lo faccio perché mi credo chissà chi: lo faccio perché devo capire che non ci sono solo io al mondo. Sai quanti come me esistono? Un'infinità. Così, quando mi rifiuto l'invito, mi ridimensiono. Comprendo meglio le cose intorno a me. Poi, mi prende una cosa allo stomaco, inizio a soffrire, prendo il cellulare e mi scrivo. Mi posso perdonare? Mi do' un'altra possibilità? In seguito cado in un errore madornale: cerco di invitarmi a cena per il giorno dopo. Stesso posto. Stessa ora. Per un po' gioco con me stesso poi accetto. E' troppa la voglia di vedermi. Di toccarmi.
A proposito: è un po' che non mi tocco! E questo non è bello. Penso che sia l'età o, forse........AVRO' UN ALTRO?
Mi risveglio da questi pensieri e noto con stupore che la polizia mi ha graziato. Al posto mio hanno beccato uno di Napoli. Si! Si! Si! Si! Si! Si! Si! Si! Si! Si!
Oh, ben inteso: mi spiace per quell’autista ma come dicevano i romani: MORS TUA VITA MEA!


                                              
Martedì, 08.55

Tutto scorre liscio. Il motore cinguetta come un canarino di 10 quintali. La giornata è perfetta. Le casse della radio diffondono un idioma a me incomprensibile. Viro il tuner su Virgin Radio. A un tratto la mia quiete interiore è disturbata da un improvviso quanto impellente bisogno fisiologico. Il cartello che arriva ora mi segnala che il primo parcheggio con wc disponibile è a 5 km. Non ci penso nemmeno di fermarmi in quei posti orrendi dove, a causa di certi cartelli con scritto: VI PREGHIAMO DI NON SPRECARE LA NOSTRA PREZIOSA ACQUA, aleggia un impressionante tanfo di piscio misto a miasmi fognari di antica memoria olfattiva.  Decido di fermarmi al Tank stelle di Bruchsal, delizioso paesino alle porte di Karlsruhe. Quest’area di servizio consta di circa 300 posti camion, tranquillamente accessibili di giorno ma DEVI ASSOLUTAMENTE RICORDARTI DI NON ENTRARCI DOPO LE 22! Perché? Perché durante la notte decine di camionisti morti di sonno s’infilano in quell’area di servizio, ormai priva di posti camion delimitati, parcheggiandosi DOVE CAPITA! E non dico dove capita tanto per esagerare. Ti può accadere (com’è capitato a me) di entrare per fare rifornimento alle 2 del mattino e riuscire a uscire alle 3.35 dopo aver fatto spostare, previo intervento della Polizia, almeno dieci camion compresi due trasporti eccezionali. In Italia, la Polizia, per telefono, mi avrebbe consigliato di farmi una dormitina, vista l'ora. In Germania no. Avrai sicuramente un buon motivo per creare tutto quel disordine. Avrai della merce che dovrà arrivare assolutamente a destinazione in qualche luogo remoto del paese. Magari un aereo ti sta aspettando sulla pista di decollo per caricare un delicato meccanismo che servirà a ripristinare la corrente elettrica in un ospedale del centro America dove quindici emodializzati sono in pericolo di vita. Nulla di tutto questo. Hai solo voglia di andartene da quella bolgia di zingari dell’est Europa. Fortunatamente la polizia non ti chiede nulla. Ti guarda solo dal finestrino e tu sfoderi l’espressione più preoccupata di questo mondo e sbatti le mani sul volante come se nello stesso tempo in quell’ospedale del centro america fossero già morte tre persone a causa di quegli imbecilli che non si tolgono e fai finta di telefonare a qualcuno dal tuo cellulare ormai spento da sei ore e prendi le tue bolle di scarico all’ interno delle quali sono descritte le varie tipologie di accendisigari per auto e le leggi e ti disperi e parli al cellulare spento con il comandante dell’ aereo che sta aspettando la merce e lo metti di fronte alle sue responsabilità in caso decidesse di partire senza il tuo prezioso carico mentre il poliziotto che ti sta guardando chiama il suo collega per farsi aiutare a spostare ancor più velocemente quei disgraziati che hanno osato parcheggiarsi in siffatta maniera per dormire e lo fa perché ha capito la situazione perché ha capito che tutto dipende dalla velocità con cui opereranno lo sgombero e poi l'ultimo...accelero...via libera...una, due, tre, quattro marce. Sono uscito. Il film è finito. Applausi. Titoli di coda. Darei una nomination per l'Oscar a quel gran attore che sono io.

                                      Martedì, ore 09.30

Ho appena oltrepassato Karlsruhe. Manca ancora un’ora e mezza all'arrivo. Tutto mi è familiare intorno. Sono quasi cinque anni che faccio questo viaggio. Mi pare di esserci nato in queste zone. Quando mi fermo in certe aree di servizio gli inservienti si rivolgono a me in tedesco, convinti che io li capisca per il solo fatto che da anni quando essi parlano io annuisco con uno JA o manifesto un diniego con un NEIN.
Chissà cosa mi sono perso. Chissà quante barzellette in cui avrei potuto ridere. E invece cosa dicevo anziché imparare la lingua? JA o NEIN. Vabbè, ormai è andata. Non posso mica dire a quella gente la famosa frase che tutti gli italiani usano e cioè: NICS SPRICHEIN DOICH che è la translitterazione italiana della frase in tedesco che significa NON PARLO TEDESCO. L'ho translitterata anche perché non saprei come scriverla correttamente (non ho un dizionario multilingue tra le mani). Mi ricordo che quando iniziai a fare la Germania, molti anni fa, avevo un’altissima considerazione del popolo tedesco. Lo consideravo esente dalla maggior parte delle piaghe sociali che normalmente affliggono il nostro paese fino al giorno in cui, durante una sosta tecnica per svuotare la vescica (per pisciare, per chi ha poca dimestichezza con i tecnicismi medici della lingua italiana) un allegro e senile signore sbucò da dietro l'alberello, che avevo deciso di usare per il già citato stimolo, con il suo pisellino in mano e un bellissimo sorriso stampato in faccia.
Ricordo di essermi scandalizzato moltissimo e che, nella fretta, di aver svuotato una considerevole parte del contenuto vescicale sulle mie Adidas nuove di trinca. Era crollato un mito. La Germania pullulava di finocchi (come avrei potuto constatare negli anni successivi). Quando risalii sul camion mi presi la briga di osservare il nonnetto gaudente. E a tragedia si aggiunse tragedia: quel vecchio uomo salì su un camion! Stava crollando il mito del machismo riservato alla nostra categoria? Dove era finito il camionista che avrebbe fatto la corte a qualunque donna compresa tua moglie? E se ancora c'era, dov'era? Sicuramente non in Germania, pensai. Mi resi conto solo mesi dopo che anche in Italia, all'interno di certi piazzali, dove una volta spopolavano
le morigerate donne bolognesi e le casalinghe inquiete di Rovigo ora facevano la loro porca figura (di merda) trans sudamericani e tranquilli manager insoddisfatti desiderosi di nuove esperienze.  Qual era il nesso tra questi soggetti e luoghi come quelli che per loro definizione servivano alla sosta notturna di veri uomini come i camionisti?
“ Sei d'accordo con me se dico che se sono li è perché qualcuno apre loro la portiera per farli salire a bordo?” - mi disse, con una punta di disgusto, un ex camionista.
La sua osservazione non faceva una piega. Il male era tra noi. Non misi mai più piede in quelle aree di servizio. Non esisteva più il camionista. Ora c'era solo l’autista di mezzi pesanti con le proprie inclinazioni sessuali. Non posso dare un giudizio obiettivo su questa faccenda. Ho visto troppe volte Convoy, trincea d'asfalto.


                                      Martedì, ore 11.30

E’ quasi ora di pranzo e il mio stomaco emette rumori gravi, molto simili al suono prodotto da una mucca imbavagliata e con le narici tappate la cui unica via di fuga, per l’aria, sia quella usata dal cibo nella fase finale della sua permanenza all’interno del suo organismo. Alzo la leva dell’indicatore di direzione destro ed entro nel parcheggio di un Autohof che, tradotto, significa Autoporto, luogo nel cui interno vi sono, in pratica, solo mezzi pesanti. Le vetture entrano a loro rischio e pericolo. Rischio perché le probabilità di trovare un posto adatto, nelle dimensioni a loro concesse, sono altissime. Pericolo perché se per caso dovessero posteggiare la loro vettura all’interno dei 17 metri riservati a un camion precludendogli quindi il parcheggio, l’incolumità di quella macchina sarebbe seriamente messa in discussione. Anche quella del guidatore. E non è per niente piacevole intraprendere una discussione con un camionista tedesco magari alto poco meno di una cabina telefonica, in pantaloncini corti perfino a venti sotto zero, con gli zoccoli ai piedi senza calze e che ha deciso di fermarsi PROPRIO LI’. Soprattutto quando quel camionista ha una cicatrice che gli attraversa il volto in perfetta diagonale dal quadrante sopraccigliare superiore sinistro allo zigomo destro, quasi coincidente con l’attaccatura del labbro inferiore. Dopo aver fermato il camion, scendo e mi dirigo all’interno dell’autohof per cercare di placare la fame. Dovete sapere che, a differenza dell’Italia, entrando in questi “autogrill” non assaporerete mai il delizioso effluvio del caffè che galleggia perennemente sulle molecole dell’aria; né tantomeno il fragrante profumo delle brioche appena sfornate. No. DIMENTICATEVELO! Qui, a qualunque ora del giorno e della notte, si sfornano patate lesse con intingoli alla senape ed estratti di radice, salsicce di tutte le dimensioni e forme, bistecche, zuppe, cacciagione varie con nomi talmente complicati da pronunciare a tal punto che, dopo esserteli ripetuti mentalmente almeno venti volte, per cercare di far bella figura ma soprattutto per ottenere il piatto desiderato, desisti. Usi il metodo napoletano: di brutto impatto visivo ma efficace. Attiri l’attenzione dell’addetto con una serie di “uè” oppure “oh” oppure “ehi capo” e poi con l’indice indichi con mestizia e indifferenza pilotata ciò che desideri. Ovvio che ciò che desidereresti sarebbe una bella pastasciutta al pesto, un’insalata di verdure, cipollotti e pomodori e una bella tagliata con rucola il tutto innaffiato da un Nero d’Avola a sedici gradi di temperatura in calice largo. Purtroppo sono in Germania. Paese che vai, cibo che trovi. Pazienza! Per oggi wurstel caldo con un po’ di senape e pane nero che sa di plastica.

                                      Martedì, ore 12.30

Dopo aver fatto scendere nello stomaco quella cosa che loro chiamano, con un eufemismo, cibo riprendo il mio viaggio. Sono quasi alle porte di Francoforte. Esattamente a Darmstadt, sede di una delle più grandi basi militari degli Stati Uniti.
Qui, come in Italia, gli americani sono di casa. Hanno portato di tutto: dai Mc Donald’s ai Drive In, dal cibo in eccesso all’eccesso di cibo, dall’alcol in eccesso all’eccesso di alcol, insomma ci hanno rotto le palle ma non lo sanno, anche se credo che sia più logico dire che lo sanno ma se ne sbattono le palle. Crediti di guerra. Loro ci hanno liberati e ora siamo loro prigionieri. Buon viso a cattiva sorte. Non che ce l’abbia con gli americani ma non credete anche voi che se l’America è così distante da noi sarà per un motivo oggettivamente sensato? Quale sia questo motivo non lo conosco ma io mi sento molto stanziale, geograficamente parlando, quindi reputo che non ci sia bisogno di una comunità americana in ogni nazione del mondo. Capisco gli interessi economici di un paese così vasto alla continua ricerca di petrolio per soddisfare il suo bisogno assurdo di energia atto a creare agio a tutti i costi diffondendo obesità, malattie cardio vascolari, malattie mentali e depressione tra i suoi abitanti. Ma con noi “che c’azzecca?”direbbe un noto ex magistrato ora leader politico. Non abbiamo scontato abbastanza la nostra voglia di grandezza, sfociata in una seconda guerra mondiale e costata milioni di vite umane? Quanto durerà ancora la presenza degli yankes e delle loro basi militari in Italia? E il Vaticano? Quando sarà fatto un referendum popolare nel quale si chieda espressamente se si voglia ancora o no il Papa in Italia? Perché non se ne torna ad Avignone in Francia? O magari in Svizzera a confabulare con il governo per un maggior rispetto delle quote di appartenenza dei capitali provenienti dai tiranni di tutto il globo. Eviterebbero un sacco di viaggi aerei essendo in loco. Dopo tutte queste elucubrazioni mentali, come d’incanto, mi trovo quasi a tangere l’aeroporto di Francoforte. C’è un aereo dell’Air India che sta atterrando. Mi passa sulla testa. Benvenuti in Germania, penso.


                                     Fine del viaggio, ore 12.45

Ho appena preso la B43 in direzione Kelsterback. Ormai conosco la strada a memoria: un rettilineo, un mezzo tornante, la deviazione per gli infiniti lavori di ammodernamento del terminal 2 dell’aeroporto, giri a destra, prendi lo svincolo che  “senonstaiattentotiribalti,” cambi tre marce, una leggera salita che ti costringe a scalare mezza marcia, subito un rettilineo che se fossi con la mia moto sarei a 200 all’ora in mezzo secondo e poi l’incrocio con l’unico semaforo. Giro a sinistra, 500 metri poi a destra “affronto” l’ultima rotonda e poi dritto fino alla dogana. Scendo dal mezzo e consegno i documenti. La bella Dominique sorride e mi annuncia che ci vorrà mezz’ora per sdoganare la merce. Infatti, mezz’ora dopo mi porta i documenti. Avvio il motore e mi dirigo verso la periferia di Francoforte. Il cartellone dell’IKEA mi ricorda che devo svoltare a destra e subito a sinistra. L’entrata dell’azienda è un varco un po’ angusto, dove devi stare attento a come entri a causa di un grosso sasso piantato nel terreno che potrebbe strusciare su tutte e tre le gomme destre del rimorchio. Consegno i documenti e lo posiziono con una manovra piuttosto difficile, ma che ormai è diventata semplice da tante volte che l’ho fatta. Sgancio, posteggio il trattore accanto ad un fabbricato proprio davanti all’azienda e vado a prendermi un caffè. Poi torno al trattore. Mi cambio e indosso le cose da jogging. Prendo un’aspirina, attendo gli effetti e inizio a correre. Il perimetro del parco del quartiere di Nieder - Esback è esattamente di 1500 metri. Lo farò 6 volte. Come tutte le settimane. E mentre correrò, penserò a tante cose. E tra le tante cose cui penserò, ci sarà sicuramente posto per qualche considerazione sulla mia vita. Su qualche cosa che avrei dovuto fare o che avrei dovuto dire. Quasi certamente qualche mio pensiero, seppur in maniera laterale, cadrà inevitabilmente su quello che avrei potuto scrivere. Peccato che quando corri tutte le tue energie, soprattutto quelle mentali, sono rivolte al mantenimento del ritmo che deve cercare di stabilizzarsi su quello del cuore. Il cuore.  Con il suo battito scandisce la tua vita ma non può far nulla affinché tu la possa vivere con dignità e senso del dovere. E’solo un muscolo che pompa migliaia di litri di sangue al giorno. A volte, prima di addormentarmi, mi domando spesso che senso abbia nascere, crescere, lottare per conquistare qualcosa e poi morire. Subito dopo mi viene in mente una vecchia battuta: vuoi far ridere Dio? Confidagli i tuoi progetti per domani! E’ così che mi addormento. Con un sorriso sulle labbra e la certezza di aver fatto quasi tutto quello che potevo fare. Socrate, nel suo Libro Quarto, scrisse: “ La vita è stata data con la riserva della morte”. C'è qualcuno che può dire di aver fatto tutto nella brevità di una vita? Sicuramente si, ma questa, per fortuna, è un’altra storia.
                                                                                                       Hal