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web sito ImageChef Custom Images "Ormai quasi giunto al termine della mia vita di peccatore, mentre declino canuto insieme al mondo, mi accingo a lasciare su questo blog testimonianza degli eventi a cui mi accadde, mi accade e mi accadrà di assistere durante il periglioso viaggio che mi separa dalla tomba. E Dio mi conceda la grazia di essere testimone trasparente e cronista fedele di quanto ho visto. Possa la mia mano non tremare mentre mi accingo a scrivere certi eventi e ricordare l'inquietudine sottile che opprime l'animo mio mentre mi collego quotidianamente a questo blog poiché oggi ho la certezza che sto rettamente interpretando gli indubitabili presagi ai quali, da quando nacqui, stoltamente, non diedi peso ."

lunedì 19 marzo 2012

La riconoscenza.


                                                                          
Alva era nervoso. Scese le scale a tre gradini alla volta allo stesso modo di come lo faceva da bambino, in quel vecchio casermone al 42 di via A. De Gasperi, con il palmo della mano destra che scivolava sul mancorrente, pantaloncini corti, canottiera un po’ sbrindellata e il pensiero che era già su quella collina sulla quale, da lì a non molto, avrebbe scaricato tutta la sua energia repressa rincorrendo un pallone e sudando come un vitello. Ma non era più un bambino. Aveva 50 anni, i capelli grigi, una montagna di vita  fangosa e puzzolente alle  spalle e due figli sparsi chissà dove. Due parti della sua esistenza che non sapevano nemmeno se era vivo o morto. Alva quel pomeriggio stava pensando a cose importanti. Erano anni che studiava la Bibbia e proprio quel mattino aveva letto la seconda lettera di Giovanni. I versetti dal 9 al 11 recitavano così: 9 Chiunque va avanti e non rimane nell’insegnamento del Cristo non ha Dio. Chi rimane in questo insegnamento è colui che ha il Padre e il Figlio. 10 Se qualcuno viene da voi e non porta questo insegnamento, non ricevetelo in casa e non rivolgetegli un saluto. 11 Poiché chi gli rivolge un saluto partecipa alle sue opere malvage.”

Alva sapeva molto sull’apostolo. Innanzitutto doveva essere originario della Palestina e abitarvi, come si desume dalla profonda conoscenza del paese. I particolari relativi ai luoghi menzionati dimostrano che li conosceva personalmente. Parla di “Betania al di là del Giordano”  e di ‘Betania vicino a Gerusalemme, inoltre  scrive che presso il luogo dove Gesù fu messo al palo c’era un orto con una tomba commemorativa nuova e che Gesù parlava “nel luogo del tesoro mentre insegnava nel tempio” e che “era inverno, e Gesù camminava nel tempio sotto il colonnato di Salomone”. Inoltre non c’era nessuna ragione per dubitare che Giovanni abbia scritto questa lettera. Lo scrittore si definisce “l’anziano”. Questo si addice certamente a Giovanni non solo a motivo della sua età avanzata, ma anche perché, essendo una delle “colonne”  e l’ultimo apostolo ancora in vita, era davvero un “anziano” della congregazione cristiana. Egli era ben noto, e non occorreva nessuna ulteriore identificazione per i suoi lettori. Che lo scrittore sia lui è evidente anche dalla somiglianza di stile con la prima lettera e con il Vangelo di Giovanni. Come la prima lettera, sembra che anche questa sia stata scritta a Efeso, o nei pressi, verso il 98 E.V. Riguardo a 2 e 3 Giovanni, un’enciclopedia osserva: “Dalla loro generale somiglianza, possiamo supporre che le due epistole siano state scritte poco dopo la prima Epistola da Efeso. Tutt’e due applicano a singoli casi di condotta i princìpi che erano stati estesamente trattati nella prima Epistola”. A sostegno dell’autenticità di questa lettera c’è il fatto che essa è citata da Ireneo, del II secolo, e che fu accettata da Clemente Alessandrino, dello stesso periodo. Le lettere di Giovanni sono inoltre elencate nel Frammento Muratoriano.
C’era però un’incertezza sulla traduzione resa della parola “saluto” nel versetto 11. Gli scrittori delle ispirate Scritture Greche Cristiane si preoccupavano di trasmettere il loro messaggio in modo comprensibile a tutti, perciò non ricorsero alla lingua greca classica, ma alla koinè. Quegli scrittori erano tutti ebrei. Pur essendo semiti, non intendevano divulgare il semitismo, ma la verità del puro cristianesimo e per mezzo della lingua greca potevano raggiungere più persone; potevano meglio assolvere l’incarico di fare “discepoli di persone di tutte le nazioni”. Inoltre la koinè era un ottimo strumento con cui potevano esprimere bene i difficili concetti che volevano spiegare. Con il loro messaggio gli scrittori cristiani ispirati conferirono alla koinè forza, dignità e calore. Nel contesto delle Scritture ispirate i termini greci assunsero un significato più ricco, più pieno e più spirituale.

Per farla breve la parola “saluto”, tradotta dalla Khoinè significava rallegrarsi ed era resa KHAIRO’ mentre l’ideologia comune voleva che fosse tradotta come un ciao o un  buongiorno e quindi KHAIRE’. Ad uno sterminato numero di persone la questione non sfiorerebbe nemmeno un ‘infinitesimale parte dell’ultimo neurone preposto per il ragionamento ma, per Alva, si ergeva ad un’importanza storica, uno di quei quesiti da dipanare molto velocemente a dispetto dei secoli trascorsi nell’assenza della conoscenza soggettiva di cosa avrebbe cambiato una diversa traduzione.  
Una volta arrivato sulla strada, Alva si immerse per un attimo in tutti quei libri di Diritto Canonico e le reminiscenze di Liceo Classico che avevano suggellato , anni prima, una laurea “cum laude” all’ateneo dell’Aquila. Le sue sinapsi iniziarono a considerare centinaia di testi sacri e scritti e lettere e traduzioni e gli sovvenne che l'attico era parlato ad Atene e in  Attica; tuttavia Omero viene  studiato in dialetto dorico, poi ci sono autori che usavano il  dialetto ionico-vedi quello molto usato in Magna Grecia,e poi l'eolico,parlato da Saffo, la poetessa di Lesbo e Alcèo. Comunque l'attico è quello che si studia solitamente. La koinè è appunto una miscela dei principali dialetti greci antichi fu usata soprattutto ad Alessandria d'Egitto,nel periodo ellenistico quindi, per estensione, :
χαιρε(chàire) = salve! Che Dio ti aiuti! / Buona fortuna (usato all'arrivo ed alla partenza),
χαιρω (chàiro)= mi rallegro,gioisco,esulto.
Alva aveva ripreso il bandolo della matassa. Ora i suoi pensieri erano più fluidi, trasparenti, assolutamente chiari. Per un attimo aveva compreso quell’ uomo che ormai era senz’altro “anziano”, poiché in quel tempo poteva avere circa 90-100 anni. Era anziano anche in quanto a maturità cristiana, ed era una ‘colonna’ della congregazione. Non ebbe mai figli. Sapeva che non avrebbero seguito le orme del padre. E mai lo avrebbero compreso.  Dai vocaboli ebraici e greci usati in riferimento alla prole umana si desumono vari utili particolari. Il comune termine ebraico per bambino o fanciullo è yèledh.  Il termine affine yaldàh può indicare una “fanciulla” o una “ragazza”. Entrambi derivano dal verbo yalàdh, che significa “generare; partorire”. Altri due termini ebraici resi fanciullo (ʽohlèl e ʽohlàl) derivano dal verbo ʽul, che significa “allattare”.  L’abituale termine ebraico per ragazzo o giovane è nàʽar , che viene però usato anche in riferimento a bambini piccoli come Mosè quando aveva tre mesi. L’ebraico taf (fanciulletti; piccoli) rende fondamentalmente l’idea di camminare “con agili passetti”. Alcuni vocaboli greci sono tèknon (figlio), teknìon (figlioletto), paidìon (bambino) e àrsen (figlio maschio). Il termine greco nèpios indica un “bambino” piccolo e brèfos un “bambino” anche prima della nascita.

I figli di Alva, nella sua personale traduzione, erano resi con un unico aggettivo: estranei.
Durante il viaggio nei suoi pensieri, Alva si era ritrovato davanti ad uomo di colore che suonava la chitarra. Aveva uno strano tic all’occhio destro e la custodia aperta con qualche moneta dentro. Si frugò nelle tasche e trovò una moneta da 50 cents. La mise sull’unghia del pollice e con  l’indice fece leva scagliandola in aria dentro un moto vorticoso. Il sole la fece luccicare prima di cadere nella custodia.  Satchmo aprì la bocca e un piccolo, fulgido sole accecò gli  occhi di Alva. Era il sole della riconoscenza. Lui la conosceva.
                                                                                                                          Alva.