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web sito ImageChef Custom Images "Ormai quasi giunto al termine della mia vita di peccatore, mentre declino canuto insieme al mondo, mi accingo a lasciare su questo blog testimonianza degli eventi a cui mi accadde, mi accade e mi accadrà di assistere durante il periglioso viaggio che mi separa dalla tomba. E Dio mi conceda la grazia di essere testimone trasparente e cronista fedele di quanto ho visto. Possa la mia mano non tremare mentre mi accingo a scrivere certi eventi e ricordare l'inquietudine sottile che opprime l'animo mio mentre mi collego quotidianamente a questo blog poiché oggi ho la certezza che sto rettamente interpretando gli indubitabili presagi ai quali, da quando nacqui, stoltamente, non diedi peso ."

giovedì 8 settembre 2016

Matrimonio a Coronata




Era un bellissimo pomeriggio di fine giugno quando gli sposi entrarono nella piccola chiesetta di Coronata, attraversando una discreta folla di curiosi, qualche tossico appoggiato al muretto della salita e i parenti in lacrime, alcuni vestiti all’antica con giacche e cravatte altri decisamente più sobri, forse un po’ troppo ma con i volti abbronzati ma tutti, dico tutti, erano sudati marci e anche i bambini che vociavano e correvano allegri, tirandosi addosso una varietà di riso scadente, sudavano copiosamente e il sole scintillava con i suoi raggi sulle goccioline che scendevano dalle loro fronti e i cani avevano la bocca spalancata con la lingua a penzoloni e ansimavano e abbaiavano per poi lasciarsi cadere in qualche anfratto lurido alla ricerca di ombra e quando gli sposi varcarono la soglia del portone in legno della chiesa ci furono degli OOOOHHHH da parte dei bambini, come in quella canzone di Povia e una folata di vento improvvisa scompigliò i capelli di tutte le adolescenti brufolose che erano sedute all’interno per godersi il fresco insieme ai più anziani mentre gli sposi avanzavano lentamente uno accanto all’anziana madre, infilata a fatica dentro un vestito giallo e rosso e l’altro accanto al padre che dritto come un pilastro dell’autostrada pareva avere la testa come un soprammobile appoggiata al colletto di una camicia bianca lavata troppe volte e la sposa aveva un bellissimo vestito bianco di organza con lo strascico che veniva calpestato da decine di marmocchi irritati dal caldo e lo sposo indossava un completo alla coreana nero opaco con cuciture ai polsi che formavano disegni orientaleggianti e quando si trovarono di fronte al sacerdote si guardarono negli occhi e pareva che in quegli occhi ci fosse tutta la felicità di questo mondo ma io sapevo che di felicità non poteva essercene abbastanza per tutti e l’anziano prete officiò la cerimonia in maniera davvero impeccabile riuscendo anche a fare delle battute in dialetto genovese che quasi nessuno capiva perché l’unico ligure era lui ma il tutto sortì l’effetto desiderato e poi disse la frase di rito e gli sposi si dissero si reciprocamente decretando la fine dei loro sogni da bambini e si baciarono furiosamente, lungamente al punto che un anziana donna si sentì in imbarazzo e volse lo sguardo altrove e i genitori degli sposi iniziarono a modo loro a piangere e qualcuno iniziò a urlare ai bimbi di stare zitti e non fare chiasso ma quando gli sposi uscirono sul sagrato della chiesa iniziarono ululati e urla e cori e fischi e applausi e lanci di riso e latrati di cani e clacson di macchine e clangore di campane a festa poi arrivarono un bambino che sembrava un piccolo mafioso e una bambina che sembrava una piccola baldracca e ognuno di loro aveva in mano una colomba e ogni colomba aveva un nastrino legato alla zampetta, azzurro per il piccolo padrino e rosa per la sua degna compare poi porsero le colombe agli sposi che delicatamente le afferrarono e si guardarono negli occhi e con un piccolo gridolino di gioia le lanciarono verso il cielo e ci fu gente che fece foto, filmati e quant’altro e le colombe sbattevano le ali e parevano disorientate come se si inseguissero una coll’altra e tutti le guardarono per un po’ ma il sole picchiava così duro che gli sguardi si abbassarono e arrivò una macchina di quelle americane, lunga un chilometro, bianca, con un ‘autista vecchio e mezzo gobbo che scese e aprì la porta posteriore con estrema fatica e io pensai che forse quella sarebbe stata la fatica che lo avrebbe stroncato proprio in quel frangente e pregai che non accadesse e per fortuna non accadde così gli sposi salirono e i genitori applaudirono sicuramente pensando a quanto gli era costato l’affitto di quella macchina che quasi non riusciva a far manovra nella piazzetta e quando la prua della Lincoln si diresse verso la discesa  allora tutti corsero verso le rispettive vetture per seguire gli sposi e c’erano fiori e riso ovunque e le colombe ormai dimenticate iniziarono a puntare verso sud in direzione di Ponte Assereto e l’allegra comitiva festante discese la strada di Coronata quando ancora gli anziani del rione si scambiavano antichi rituali da compiere sempre dopo un matrimonio con la regia di arcane liturgie tramandate di padre in figlio sia che si trattasse di un matrimonio o di un funerale e quando gli invitati si trovarono in piazza Massena dopo aver atteso il verde del semaforo svoltarono tutti verso levante diretti ai giardini di Nervi e le colombe che veleggiavano perfettamente in coppia fecero una sorta di leggera cabrata per poi picchiare verso la Lanterna con i loro nastrini ancora attaccati alla zampette uno azzurro e uno rosa e quando la bianca macchina americana guidata dal vecchio gobbo imboccò la sopraelevata tra schiamazzi e clacson e felicità nessuno si accorse che le colombe stavano perdendo quota e quando la lunga fila di macchine arrivò ai giardini di Nervi per le foto le colombe erano ancora una a fianco all’altra che volavano quasi al livello del mare con un orizzonte basso e lontano e terso e affilato come una lama di rasoio ed era certo che avrebbero volato ancora accanto con i loro nastrini, uno rosa e l’altro azzurro e quando il fotografo chiese agli sposi di baciarsi per la foto di rito davanti alle famose rose dei giardini di Nervi la colomba col nastrino rosa cadde in acqua ma l’altra continuò ancora per una decina di metri poi atterrò su una boa di segnalazione e beccò ripetutamente il nastrino azzurro che si sfilò.
Poco dopo riprese il volo.  Quando arrivò sul Porto Antico atterrò delicatamente vicino ad una panchina dove un signore in abito bianco e cravatta gli lanciò del pane secco. Era domenica. Il sole stava tramontando e da lì a non molto, Genova, pigramente , si sarebbe addormentata.