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web sito ImageChef Custom Images "Ormai quasi giunto al termine della mia vita di peccatore, mentre declino canuto insieme al mondo, mi accingo a lasciare su questo blog testimonianza degli eventi a cui mi accadde, mi accade e mi accadrà di assistere durante il periglioso viaggio che mi separa dalla tomba. E Dio mi conceda la grazia di essere testimone trasparente e cronista fedele di quanto ho visto. Possa la mia mano non tremare mentre mi accingo a scrivere certi eventi e ricordare l'inquietudine sottile che opprime l'animo mio mentre mi collego quotidianamente a questo blog poiché oggi ho la certezza che sto rettamente interpretando gli indubitabili presagi ai quali, da quando nacqui, stoltamente, non diedi peso ."

venerdì 13 dicembre 2013

La danza della merda.

Io sono un Operatore Socio Sanitario, lavoro in un istituto psichiatrico e ho visto cose che a voi, normali esseri umani, (non so se scrivere “per fortuna” o “ purtroppo”) è stato negato di vedere e quello che mi accingo a raccontarvi è accaduto in un Centro di Riabilitazione Psichiatrica non molto lontano da Genova di cui è pietoso e saggio tacerne anche il nome.

Era una giornata tranquilla. Il solito bastardo psicopatico aveva già distrutto due estintori, tre sedie in plastica dura e lo sportello di protezione del dispositivo antincendio. Erano le 9.30 e prima di sera la direzione avrebbe dovuto mettere a bilancio almeno 600 euro di disastri. Le sorelle schizofreniche stavano dando testate contro il muro appena tinteggiato e, nell’esatto punto in cui la loro fronte incontrava il cemento, una macchia rossa si stava allargando a vista d’occhio. Le guardavo distrattamente mentre un autistico si masturbava accanto a me con l’uccello infilato in una di quelle cerate per isolare il materasso dall’urina. Poco più in là un ciccione con in mano due radioline senza pile e l’auricolare infilato negli orecchi stava ascoltando una beata minchia di niente con estremo coinvolgimento. Ogni tanto chiudeva gli occhi come se fosse immerso in un’estasiante versione del Bolero di Ravel diretta da Muti. Mi veniva  da ridere al pensiero di come questi “ errori biologici” potessero ancora affascinarmi tanto. La palestra ( così veniva chiamato il luogo dove i derelitti trascorrevano la maggior parte della loro giornata) non era altro che un capannone fatiscente in plastica con tetto in alluminio riciclato, riscaldato da un ventilatore industriale da soffitto che tentava di mantenere il microclima ad una temperatura di poco superiore all’accettabile fisiologico.  Qualcuno dormiva steso su uno di quei tappeti imbottiti su cui ci si dovrebbero fare le capriole; qualcun altro leccava avidamente il pavimento costituito da parquet di scadente fattura; alcuni ululavano rumorosamente in una tale sintonia che, a volte, si sarebbe riusciti a cucirci sopra l’aria di un opera ambientata all’inferno o giù di lì.

Mentre il mio pensiero cercava affannosamente di salire sul primo aereo diretto dall’altra parte del mondo senza conoscerne la destinazione intravedo un ragazzo nudo in fondo alla palestra. Acuisco lo sguardo e tento di identificare il soggetto: razza bianca, altezza 1.80, incredibilmente peloso e pene in erezione. Nota di costume: ride e ha gli occhi strabuzzati come se a guardarmi lo diverta. E’ Giosuè, il bevitore instancabile di acqua. Egli può berne anche 10 litri al giorno e trascorrerlo sopra il water a pisciare. Molte volte non riesce ad arrivarci in tempo per assecondare il suo bisogno e così inonda se stesso. Ho scritto se stesso perché è proprio ciò che fa: tutti i suoi indumenti, dalle scarpe alla t-shirts, dopo la super minzione , sono zuppi. Mi avvicino a Giosuè ma sono conscio che è un povero idiota fin dalla nascita:da bambino usava sfrucugliarsi l'ano con le sue dita salvo poi odorarne l'acre fetore. Sua madre era una povera zoppa,madre di otto figli,l'ultimo dei quali,a motivo di un parto soffertissimo,le aveva lasciato come ricordino perpetuo un'anca malmessa, causa evidente della sua attuale situazione di sciancata. Giosuè ha fatto ingresso nella casa di riabilitazione mentale( tradotto:manicomio) diversi anni fa; l'hanno trovato infinite volte nell'atto insolito di bere la sua stessa urina,normalmente tagliata con sputacchi e caccole di naso. Il dottore diceva che sarebbe stato recuperabile mediante lunghi percorsi psicoanalitici:secondo questo luminare della scienza psichiatrica sarebbe sufficiente percorrere a ritroso i vissuti di ciascun paziente,anche attraverso l'ipnosi,per ristabilire un punto di contatto tra cuore e mente. Alva
in verità ritiene che difficilmente Giosuè riuscirà mai a stabilire un eventuale contatto tra cervello e buco del culo.
Giosuè è anche un  mangiatore compulsivo. Il problema è che egli ha inventato un suo ghiribizzo psicotico piuttosto originale: ogni giorno,verso le tre di pomeriggio,si infila furtivamente nell'infermeria dell’istituto,approfittando delle chattate interminabili allo smartphone di due infermiere sottraendo ogni volta un'intera scatoletta di perette di glicerina per  poi  inocularsele nel retto,una dietro l'altra.  Il risultato? Nel volgere di pochi minuti, una sorta di tornado all’interno delle sue budella  lo pone in preda ad un diabolico esibizionismo CHENON PUO' ASSOLUTAMENTE NON ESIBIRE. Ecco che correndo come un pazzo lungo i lati della palestra,applaudito dai degenti picchiatelli, e rincorso dagli infermieri più robusti, ,inizia a spruzzare merda dal suo culo  emorroidico ( dovete sapere che Giosuè detiene il record non invidiabile di ben sei,dicesi 6, grappoli di emorroidi color polpo morto che gli si estroflettono dall'orifizio anale) e i suoi schizzi virulenti seguono traiettorie imprevedibili.  Ma il meglio,Giosuè il pazzo,lo offre appena giunge al luogo da lui estemporaneamente selezionato. Ieri per esempio è salito sul termosifone enorme del refettorio e  ha iniziato a ballare una specie di tarantella interamente nudo, mentre il suo ritmico saltellare imponeva al suo membro un'oscillazione verticale rapidissima,con leggero rumorino causato dall'urtare del prepuzio, or sulla sacca scrotale or sull'ombelico,cosicché  Giosuè addiviene al suo vero scopo: inzaccherare di feci chiunque si trovi nelle sue vicinanze.
Danzando egli alterna, ai guizzi verticali, una lesta torsione del busto,con conseguente effetto-mitraglia delle sue deiezioni, sparate a salva di cannone dal suo retto iperimperettato. Alva e altri infelici infermieri e operatori accorrono e spesso non possono non subire un coatto e  odioso scontro con le saette merdose del tragico Giosuè. Di tutto questo Alva  se ne fa una ragione,e,solitamente, finito il turno, va a farsi un giro in un super mercato per mischiarsi alla folla lasciandosi travolgere dalle becere discussioni delle massaie liguri le cui elucubrazioni vertono, in questo periodo, quasi esclusivamente, sulle tecniche di preparazione della cena di natale. Sembrerebbe proprio quella  la normalità ma Alva sa che le cose non stanno così e che l'inferno non è poi così lontano da loro. 

                                                                   A&A

mercoledì 11 dicembre 2013

In memoria di un poeta sconosciuto quindi a me stesso.

Ho fatto balli intorno
con i miei muscoli potenti
bagnandomi la pelle
nelle raffiche del nord,
muovendomi avvolto dalla nebbia
con diversa gloria e gran coraggio.
Oh, certo: ho molto mentito!
Ma mai ho contemplato la strage del nemico.
E’ più bella la conquista
di un guerriero che cade senza vita
poichè anche sottoterra non si disperde
la fama di quell’uomo.
Egli diventa senza morte,
vivendo
da eroe
in piena resistenza di battaglia.
Lo sai che Dio non dà sanzioni?
Ma beato è chi ricuce i suoi giorni senza pianto.
Io non ho mai avuto scudo,
né nastri d’oro,
né ragazze d’oriente con occhi vellutati.
Sul mare limitato della mia esistenza
ho affondato il pianto del mio cuore anonimo e vile,
che fiorì
in benessere e abbondanza
insieme ad un assurdo patrimonio di miseria.
Ma ora che non sono più parte di questo mondo,
potrai avvertire la mia tristezza immensa
come il sapore in bocca di polistirolo espanso
poiché non  sapendo vivere altra vita se non questa
ad oggi
non ho saputo far altro che morire.


                                                                                                     Alva