Il mio nome è Giobbe
nacqui ad Uz
nell’Arabia settentrionale
vicino agli edomiti
a sud dei sabei
e a est dei caldei.
Temevo Dio e mi ritraevo dal male.
Ebbi sette figli e tre figlie.
Il mio bestiame era di settemila pecore
tremila cammelli
cinquecento bovini
e cinquecento asine.
Avevo anche una grande servitù.
Ero il più grande di tutti gli orientali.
Poi venne Satana
e Dio gli
chiese:” Da dove vieni?”.
E lui rispose:” Dal percorrere la terra e dal
camminare per essa!”.
E Dio era certo che Satana avesse rivolto lo sguardo
verso me.
Ma lui rispose che io ero al sicuro poiché avevo una
siepe attorno a me.
Una siepe di protezione
e che senza di essa io avrei maledetto Dio.
Così Dio gli disse:” Ecco, ogni cosa che ha è nelle
tue mani. Solo non toccare la sua anima!”
Fece questo perché era certo che io non lo avrei mai
biasimato.
E Satana non perse tempo
e mandò i sabei a rubarmi il pascolo
e fece uccidere i miei servitori
eccetto uno per riferirmelo.
Poi mi presero le pecore,
i cammelli,
e i miei figli e figlie caddero
a causa del vento
e io strappavo il mio vestito
e mi tagliavo i capelli e dicevo:
“ Sono uscito nudo dal ventre di mia madre
e nudo vi tornerò!”
Ma non peccai.
Né attribuii qualcosa a Dio.
Così Dio incontrò nuovamente Satana
e gli fece notare che io avevo mantenuto la mia integrità.
Ma Satana disse:
“ Pelle per pelle e l’uomo darà tutto ciò che ha per
la sua anima!”.
E Dio rispose:
“ Ecco, è nella tua mano! Fanne quello che vuoi.
Solo non toccare la sua anima!”.
E poco dopo mi ritrovai
foruncoli maligni dalla pianta del piede
alla sommità del capo.
E prendevo pezzi di terracotta per grattarmi
e mi rotolavo nella cenere.
Mia moglie una volta urlò:
“ MALEDICI IL TUO DIO E MUORI!”
E io risposi:
“ Accetteremo da Dio ciò che è buono e non
accetteremo anche ciò che è male?”.
In tutto questo, credetemi, io non peccai mai con le
labbra.
Ma un brutto giorno
quando il dolore diventò insopportabile
invocai il male su di me e dissi:
“Perisca il giorno nel quale nacqui,
Anche la notte che qualcuno disse: ‘È
stato concepito un uomo robusto!’
In quanto a quel giorno, divenga
tenebre.
Non lo cerchi Dio da sopra,
Né brilli su di esso la luce del giorno.
Lo reclamino tenebre e profonda ombra.
Vi risieda sopra una nuvola di pioggia.
Lo terrorizzino le cose che oscurano il
giorno.
Quella notte, la prenda la caligine;
Non si allieti fra i giorni dell’anno;
Non entri fra il numero dei mesi lunari.
Ecco, quella notte, divenga sterile;
Non vi entri grido di gioia.
La esecrino quelli che maledicono il
giorno.
Si oscurino le stelle del suo
crepuscolo;
attenda la luce e non ce ne sia;
e non veda i raggi dell’aurora.
Poiché non chiuse le porte del ventre di
mia madre,
e non nascose dunque l’affanno ai miei
occhi.
Perché non morivo io dal seno?
Perché non uscii dal ventre stesso e
quindi non spirai?
Perché mi si presentarono le ginocchia,
e perché le mammelle affinché
succhiassi?”
Ma poi
quando capii
che non c’era idea
che fosse per lui irrealizzabile
Dio accettò il mio pentimento
e benedisse più la mia fine che
il mio principio
e mi ritornarono
quattordicimila pecore e seimila
cammelli,
e mille bovini
e mille asini.
Ebbi anche sette figli e tre
figlie
e vissi centoquarant’anni
e quando morii
ero vecchio e sazio di giorni.
Il mio nome era Giobbe: e il tuo?
Alva.