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web sito ImageChef Custom Images "Ormai quasi giunto al termine della mia vita di peccatore, mentre declino canuto insieme al mondo, mi accingo a lasciare su questo blog testimonianza degli eventi a cui mi accadde, mi accade e mi accadrà di assistere durante il periglioso viaggio che mi separa dalla tomba. E Dio mi conceda la grazia di essere testimone trasparente e cronista fedele di quanto ho visto. Possa la mia mano non tremare mentre mi accingo a scrivere certi eventi e ricordare l'inquietudine sottile che opprime l'animo mio mentre mi collego quotidianamente a questo blog poiché oggi ho la certezza che sto rettamente interpretando gli indubitabili presagi ai quali, da quando nacqui, stoltamente, non diedi peso ."

mercoledì 27 aprile 2016

POESIA DOPO LE DIMISSIONI.

E' strano, ora, pensare a te,
mentre cammino sul mio personale asfalto.
Ho parlato,
ho letto,
ho ascoltato
& ho perfino pianto
pensando come a volte si soffre
sognando di nuovo la vita
come una corsia preferenziale
verso l'Apocalisse.
Mentre cammino
mi volto a guardare
le centinaia di finestre negli edifici,
luoghi di povertà
che io conosco
& tu conosci.
Non facciamo più parte
di questo sistema.
Abbiamo finito con questo secolo.
Finito col sentiero che lo attraversa.
Non abbiamo più sorelle,
nè fratelli,
nè segreti.
Siamo astratti.
Con poche immagini.
Avevamo giurato di illuminare il genere umano
ma ci siamo ritrovati a fissare l'angolo di una finestra
sperando di intravedere una poiana su un albero
o un ramo pieno di civette.
Ci hanno gettato addosso i germi del veleno.
Ci hanno impedito di prenderci la nostra tazza di caffèlatte mattutina.
E poi
le brutture della vita
ci hanno insegnato a ridere degli idioti
quelli con occhi sognanti e corpi rachitici.
Alla sera
andavamo a letto esausti
ignorando il dolore
che proveniva dal profondo delle nostri carni.
Valanghe mortali di profanate montagne.
Ricordo ancora quando mi svegliai alle 3 del mattino
e mi trovai con la mano tesa
a chiedere la carità al buio.
Pensai a come cercare di essere posseduto da me
ma ero nudo,
con un corpo pieno di cicatrici
come orrende e spesse cerniere lampo.
Abitavo in sudici appartamenti
e in stanze buie
mi mangiavo le unghie
e la carne intorno ad esse
e ascoltavo la mia vicina
che urlava di piacere
nell'ennesimo coito
del suo ennesimo amante.
Avrei voluto essere glorificato
ma il mio occhio era sepolto
e il mio grido volava intorno all'universo.
Lascio qui il mio pensiero istantaneo 
sotto forma di dimissioni.
Inchiostro su carta.
Poche parole.
Più veloci della luce.
E
per tutto il resto

torno a dormire nel mio letto buio sulla terra.

                                                                                          Alva.

POESIA PSICHIATRICA.

Realtà manicomiale.

La puoi toccare.

Essa è fatta di pareti che hanno la consistenza del giudizio psichiatrico.


La società tarata
indifferente
& annoiata


ha inventato la psichiatria.


L'hanno inventata per difendersi
da menti superiori.


Essa non è altro
che un insieme di gorilla
ossessionati e perseguitati
dalla paura
degli stati più spaventosi dell'essere umano.


Il loro palliativo
è una terminologia ridicola
materialistica e corporea quindi inumana
spiritualistica e psicogenista quindi ingiusta.


Perché non accettare tanto la ragione quanto la follia?


Alcuni
hanno come unica grande colpa
quella di essere nati.


E io che guardo e non riesco a parlare?
E io nevrotico che costruisco castelli in aria?
E io psicotico che ci abito?
E tu, psichiatra, che riscuoti l'affitto?


Io e la claustrofobia
io e la paura del passato
io e l'uomo nero
io e la paura astratta.


Ed ecco la terapia!
Me la ficcano in bocca
controllano se la mando giù
e se ne vanno soddisfatti.


Ma io sorrido


perché


tanto


dentro di me



scappo lo stesso!

IL MIO NATALE NUMERO 23.

Ricordi indissolubili di giorni infausti
perseguitati  da particolari momenti della mia esistenza
che accompagnano nebbie del passato
sopra sbiaditi flashback.
Tremule tinte sfumate
di acquarelli in soffitta
e  foto in bianco, nero e giallo
dove famiglie finte a Natale
fanno sorrisi finti
e fingono di volersi bene,
 fingendo abbracci e scambiandosi regali.
Era sempre a Natale che mia madre urlava: “ ELENA,VUOI SEMPRE FARE DI TESTA TUA!”
E io che pensavo: ”crepa, maledetta!”
Ma poi negli anni mi sono dovuta ricredere.
Fare di testa mia creava problemi
così ho iniziato a fare quello che piaceva agli altri.
E’ stato un periodo meraviglioso!
Tutti intorno a me erano felici : eccetto me.
Ma questo era irrilevante al fine
e cioè essere tra persone felici.
La felicità mi seguiva ovunque andassi.
Mi stava attaccata ad un braccio.
Pronta per essere sfoderata
quando arrivava qualcuno;
soprattutto a Natale
perché quel giorno si doveva essere felici.
Ne avevano tutti bisogno.
Non dovevo fare di testa mia.
Non dovevo dire alle persone che mi annoiavano.
Che avrei preferito mangiare la merda piuttosto che essere costretta alla loro compagnia.
Non potevo deluderli.
Volevano applausi, sorrisi, auguri.
Il mio volto aveva imparato a costruire
un riso falso in mezzo secondo.
Ero  coinvolta
nelle loro stupidaggini,
nelle loro idiozie,
nei loro vaneggiamenti,
nei loro discorsi privi di parole sensate.
I miei occhi li guardavano
ma suscitavano in me
lo stesso interesse
di uno sputo per terra.
Così oggi
per il mio Natale numero 23
ho deciso che non esiste una realtà,
un’età massima per la permanenza in questo mondo.
Da questo ponte sul Turchino vedo Genova e un mare grigio.
Scavalco il parapetto e senza esitazione mi lascio cadere nel vuoto.

E’ strano: la felicità non mi ha seguita.
La felicità degli altri non ha coraggio.
E’ rimasta lassù, con lo spirito natalizio.
Ad osservarmi.
Sarà dura per loro senza me.
Non ho mai tentato di sedurli quando li passavo agli altri.

L’orizzonte si alza di colpo e la terra mi aspetta.
Finalmente, un vero sorriso mi taglia la faccia.

Ho di nuovo fatto di testa mia.                                                                                                 

Alvaro.                                              

IN MEMORIA DI UN POETA SCONOSCIUTO QUINDI A ME STESSO.

Ho fatto balli intorno
con i miei muscoli potenti
bagnandomi la pelle
nelle raffiche del nord,
muovendomi avvolto dalla nebbia
con diversa gloria e gran coraggio.
Oh, certo: ho molto mentito!
Ma mai ho contemplato la strage del nemico.
E’ più bella la conquista
di un guerriero che cade senza vita
poichè anche sottoterra non si disperde
la fama di quell’uomo.
Egli diventa senza morte,
vivendo
da eroe
in piena resistenza di battaglia.
Lo sai che Dio non dà sanzioni?
Ma beato è chi ricuce i suoi giorni senza pianto.
Io non ho mai avuto scudo,
né nastri d’oro,
né ragazze d’oriente con occhi vellutati.
Sul mare limitato della mia esistenza
ho affondato il pianto del mio cuore anonimo e vile,
che fiorì
in benessere e abbondanza
insieme ad un assurdo patrimonio di miseria.
Ma ora che non sono più parte di questo mondo,
potrai avvertire la mia tristezza immensa
come il sapore in bocca di polistirolo espanso
poiché non  sapendo vivere altra vita se non questa
ad oggi
non ho saputo far altro che morire.


                                                                                                     Alva

LETTERA POST MORTEM

Caro Ale, oggi c’è stato il mio funerale…
…e, UDITE UDITE, piangevano tutti! Compreso Enrico, il solito megalomane. C'era anche Luciano “Big Hands” e tu sai com’è difficile che si scomponga. Io però non ci sono riuscito, anche perché ero morto. Non sono riuscito a far cadere una sola lacrima: avevo un nodo alla gola che mi strozzava: sarà stato il rigor mortis.  Ma tu lo sai che avrei voluto gridare e invece: niente! Sono stato zitto zitto dentro la mia bara elargita dal comune, solo con il mio magone, a pensare agli altri.
Te ne sarai sicuramente accorto: tuo padre non era al funerale; ho sentito dai pettegolezzi tra Maffy e Pat ( che erano vicinissime alla mia bara) che quando ha saputo della mia morte era al ristorante con la sua nuova fidanzata; è rimasto basito, ha mollato lì la ragazza ed è corso all’ospedale.
Non so dove sia andato perché qui non è venuto. Secondo me era troppo imbarazzato. Eri tu che mi dicevi che è un tipo a cui non piacciono le cerimonie di qualsiasi genere? E poi sono sicuro che ora è a casa sua, a guardare le nostre foto, piangendo e scolando una bottiglia di Chablis del ’65.
Odiavi tuo padre. Non gli hai mai perdonato di aver lasciato tua madre. In fondo lo amavi, dì la verità; lui avrebbe voluto venirti a trovare tante volte, ma tu non glielo hai permesso, lo respingevi sempre e lui forse aveva paura del tuo rifiuto.
Tornando al funerale, c’erano proprio tutti i nostri amici. Luciano, come da copione, ha fatto la sua solita figura di merda: si è appoggiato vicino alla cassetta delle offerte e  c’è caduto sopra tirandosi dietro tutte le candele( meno male che erano di quelle finte con la lampadina); il prete si è preso un infarto, ma almeno ci ha fatto leggermente sorridere, come volevi tu: niente pianti, è da checche!
Enrico ha tentato il solito miserevole approccio con una ragazza facendo cadere il discorso sul suo ultimo CD “ Io e il mio pianoforte” forse con il pensiero di eccitarla. Ma il bianco lo ha dato Giuseppe “ Giak” l’artificiere perché a lui è stato affidato il rosario e, a causa della sua balbuzie, è riuscito a farlo durare mezz’ora in più sotto gli occhi iniettati di sangue del Don che, inconsapevole dell’handicap, aveva ben altri due rosari dall’altra parte della città. Tutti ridevano senza farsene accorgere. Persino tua nonna, la cara Adalgisa, notoriamente seriosa e austera, ha riso tanto che si è pisciata addosso. Cambiando discorso: lo sai  che domani mia madre andrà a trovare tua madre? Immagino che alla fine si ubriacheranno come due scimmie.
Si è fatto tardi.
Ora ti lascio.
Mi adeguo al buio.
Credo che mi ci dovrò abituare.
Tuo amico x sempre

Alvaro.

DOMENICA DI PASQUA, A LAVAGNA, CON PIOGGIA.


Ero appena tornato a casa dopo il turno di lavoro del pomeriggio. I ragazzi del Centro di Riabilitazione Psichiatrica in cui svolgevo la mia mansione di operatore erano stati, tutto sommato, discretamente calmi se si eccettua che la consueta visita pasquale dei genitori, tutti eccitati al pensiero del grasso e gratuito buffet messo a disposizione dalla direzione, era la cosiddetta goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso. Un vaso zeppo di frustrazione e rabbia psicotica che,come previsto, grazie  agli atteggiamenti  da  padri e madri premurosi, fermamente convinti che i loro “piccoli” sarebbero stati tranquilli per almeno una settimana dopo la loro visita, avrebbe tracimato disastrosamente non appena il cibo del buffet fosse finito e i loro sensi di colpa acquietati.
Infatti, come da copione, appena il gregge genitoriale defluiva lentamente lungo le curve e i tornanti dell’alta Val Graveglia, le gemelle erano già di lungo a riempirsi di botte e morsicate mentre volavano tavoli, sedie, piatti e bicchieri scaraventati, a turno, da figli e figlie incarogniti dall’assenza di somministrazione giornaliera della terapia ( papi e mami i loro pargoli li vogliono “nature” ). In quei frangenti gli operatori, educatori ed infermieri assurgono a ruoli di veri e propri gladiatori. Nessuno può immaginare cosa significhi fare un’iniezione di Valium ad un “pargolo” che per l’occasione pasquale non ha assunto terapia e quindi ha la forza di un cinghiale inferocito.
Comunque la giornata era finita ma sentivo la depressione salire nuovamente in me. Fuori pioveva e non c’era nient’altro da fare se non bere un bicchiere di Jack Daniel’s.  Presi la bottiglia e me ne versai un gotto. Dopo averlo bevuto d’un fiato me ne versai un altro. Questa volta feci roteare il liquido nel bicchiere e osservai quel vortice ambrato. Ero di nuovo con il mio vecchio amico Jack. In passato mi aveva dato dei problemi quindi per un po’ avevo deciso  di non frequentarlo ma poi, si sa, di un vecchio amico senti sempre la mancanza e quindi rieccoci qua. Trovo che oggi abbia un calore speciale, infatti sento già la sua magia su di me. La televisione davanti a me è spenta perché ho scoperto che quando ti senti male quella figlia di puttana ti fa sentire peggio. Una riga di visi assurdi, alcuni dei quali famosi. Una processione infinita di idioti. Non avevo voglia di internet e nemmeno di musica. Non c’era granché a cui potessi rivolgermi se non al mio amico Jack. Bevevo ed ascoltavo la pioggia battere sul tetto. Avevo come la sensazione che se fossi morto in quel momento nel mondo intero non si sarebbe versata nemmeno una lacrima. Quanto solo poteva diventare uno come me?  Capisci che stai invecchiando quando inizi a farti domande del genere. Mi sentivo già defunto per metà. Diedi un’occhiata allo schermo del televisore e mi feci lusingare quindi l’accesi. Il caso vuole che stessero trasmettendo su una rete locale uno spot:

                       “TI SENTI SOLO? SEI DEPRESSO? NON CI PENSARE!
                       TELEFONA ORA AD UNA DELLE NOSTRE BELLISSIME RAGAZZE!
                      LORO VOGLIONO PARLARE CON TE! USA LA TUA MASTER CARD.
                     POTRAI PARLARE DI QUELLO CHE VORRAI CON SABRY O MARY O
                    JESSY O SAMANTHA. COMPONI IL NUMERO 800 – 787 – 5501”


Afferrai il telefono e feci il numero. Intanto sullo schermo scorrevano le immagini delle ragazze appena elencate. Sabry sembrava la migliore. Bevvi un altro sorso di Jack e attesi.
“ Si?” – era una voce maschile. Piuttosto arrogante e distaccata.
“ Sabry, per favore!”
“ Lei ha più di 18 anni?”
“ Certo!” – risposi.
“ Master o Visa?”
“ Visa”
“ Mi dia il numero e la data di scadenza. E anche l’indirizzo, il numero telefonico e quello della patente.”
“ In tutto questo non ho sentito la parola magica”
“ Parola magica?”
“ Si, tipo per favore, per cortesia o cose del genere”
Trascorsero alcuni secondi.
“ Ehi, amico, vuoi parlare con Sabry?”
“ Penso di si…mmmhhh…va bene…dammi il tempo di tirarli fuori dal portafogli”
“Hai tutto il tempo che vuoi”
“ Di cosa mi parlerà Sabry?”
“ Ti piacerà”
“Come fai a saperlo?”
“ Ehi, amico…”
“ Va bene, va bene, aspetta un momento…”
Gli diedi le informazioni che voleva. Ci fu un momento di silenzio mentre controllavano la carta di credito. Poi udii una voce.
“ Ciao tesoro, sono Sabry!”
“ Ciao Sabry, mi chiamo Alvaro”
“ Ooooh, hai una voce mooolto sexy! Sono già un po’ eccitata!”
“ Non è vero, non ho una voce sexy”
“ Oh, sei molto modesto”
“ No, Sabry, non sono nemmeno modesto”
“ Sai, mi sento molto vicina a te! Mi sento come se ti fossi rannicchiata in grembo, come se ti guardassi negli occhi. Io li ho grandi e azzurri. Ti stai piegando su di me come se mi volessi baciare?”
“ Stronzate, Sabry, sono qui da solo a bere whisky e ad ascoltare la pioggia.”
“ Senti, Alvaro, devi usare un po’ l’immaginazione. Lasciati andare e sarai sorpreso di quello che potremo fare insieme. Non ti piace la mia voce? Non la trovi un po’…sexy?”
“ Si, un po’ ma non troppo. Sembra che tu sia raffreddata. Sei raffreddata?”
“ Alvaro, Alvaro ragazzo mio, io sono troppo calda per essere raffreddata!”
“ Cosa?”
“ Ho detto che sono troppo calda per essere raffreddata!”
“ Beh, dalla voce sembra che tu lo sia. Forse hai fumato troppe sigarette!”
“ Io fumo solo una cosa, Alvaro!”
“ Che cosa, Sabry?”
“ Non riesci ad indovinare’”
“ No!”
“ Guardati in basso, Alvaro!”
“ Va bene”
“ Che cosa vedi?”
“ Il bicchiere, il telefono…”
“ Che cos’altro, Alvaro?”
“ Le scarpe”
“ Alvaro, che cos’è quella cosa enorme che sporge laggiù mentre mi parli?”
“ Oh, quella? E’ la pancia!”
“ Continua a parlarmi Alvaro. Continua ad ascoltare la mia voce, a pensare che ti sia seduta in grembo, con il vestito un po’ sollevato, le ginocchia e le cosce in mostra. I miei capelli sono lunghi e biondi. Mi scendono sulle spalle. Pensa a questo, Alvaro, pensaci…”
“ Va bene”
“ Allora, adesso che cosa vedi?”
“ Le stesse cose: telefono, bicchiere, scarpe, pancia…”
“ Sei cattivo Alvaro! Quasi, quasi vengo lì a sculacciarti! O forse lascerò che tu sculacci me!”
“ Cosa?”
“ Tò, to, to , tò, Alvaro!”
“ Sabry?”
“ Si?”
“ Mi scusi un momento? Devo andare in bagno!”
“ Oh, Alvaro, so cosa vai a fare! Ma non c’è bisogno che tu vada in bagno, puoi benissimo farlo sopra il telefono mentre parli con me!”
“ No, Sabry, non posso, devo pisciare1”
“ Alvaro, puoi considerare chiusa la nostra conversazione! Vai a farti fottere”.
Riagganciò.
Andai in bagno e pisciai. Era stata una conversazione orribile ma almeno avevo distolto la mente dal mio lavoro. L’indomani ero in turno la mattina e chissà quali altre situazioni assurde avrei dovuto affrontare. Tornai sul divano, spensi la televisione e mi addormentai.