Probabilmente
non esistono al mondo
volatili più belli ed
eleganti
dei gabbiani del Kent.
Hanno penne candide
macchiate di grigio sulle ali
e sono giganteschi!
Ti chiedi : “Come potranno alzarsi in volo?!”.
Ed invece lo fanno.
Con una grazia incredibile.
Sono anche furbi
e
spaventosamente affamati.
Ma la loro non è una fame
come quella che colpisce
quotidianamente
chiunque di noi. No!
La loro è una fame atavica.
Una voracità che non ha pari
tra i loro simili.
Mangerebbero qualunque cosa
ma
essendo inglesi
esercitano self-control.
Mi affascinarono subito
sin dalla prima volta che li
vidi.
Volete sapere come ci
incontrammo?
Ecco qua…
…attraversai la Manica per la
prima volta
durante una giornata brutta e
piovosa
il mare era gonfio
ed il traghetto ondeggiava.
Ad una signora scappò di mano
una bimba molto piccola
che rotolò per mezza nave.
La madre le correva dietro
gridando:
“Oh…miodiomiodiomiodiomiodio…!”
Non sapevo se ridere o
aiutarla.
Decisi di ridere
anche perché
sarebbe bastato attendere
la fase ascendente del rollio
per riavere la bimba
di nuovo al suo posto.
Iniziai a stare male
verso la fine della
traversata
quindi decisi di mangiare
qualcosa.
Acquistai – a carissimo
prezzo – un panino.
Avevo sentito dire
che se lo stomaco lavorava
sarebbe passato il malessere.
Mancavano circa venti minuti
all’arrivo a Dover.
Mi sedetti
ed iniziai a sgranocchiare
il mio panino.
Alla mia sinistra
c’era un oblò rifinito in
ottone:
da lì vedevo il mare
infuriato.
Ad un certo punto
mi sentii osservato.
Mi girai verso la gente
di fianco a me.
Nulla!
Io ero per loro
come la sedicesima luna di
Plutone: inesistente!
Continuai a masticare.
La sensazione
diventò tangibile.
Questa volta
mi voltai a sinistra
e guardai attraverso l’oblò:
un enorme gabbiano
si faceva trasportare
dal vento
e con il suo testone
mi guardava.
Il vento
lo sbatacchiava ovunque
ma lui resisteva!
Era incredibile!
Rimasi ad osservarlo:
aveva una pancia gigantesca
all’incirca come la mia
solo che lui volava
mentre io riuscivo a malapena
a fare le scale.
Ci guardammo ancora
poi lui cabrò e sparì.
Stavamo attraccando
per cui scesi
al ponte inferiore
e salii sul mio mezzo.
Il portellone di prua si aprì
e mi avviai lentamente.
Sbrigate le formalità
doganali
mi posteggiai
e, mentre trafficavo con dei
documenti,
sentii la cabina
inclinarsi leggermente a
sinistra.
D’istinto guardai lo specchio
laterale
e proprio sopra di esso c’era
lui:
il gabbiano dell’oblò.
Lo riconobbi dalla pancia.
Si era ricordato di me
anzi
del mio panino.
Era lì
maestoso
con la sua livrea in bianco e
nero
ed il becco un po’ curvo.
Decisi di chiamarlo Gibbo.
Abbassai il vetro
e tentai di accarezzarlo
ma lui faceva il gesto di
beccarmi.
Poi iniziò ad urlare
“YAAHKK! YAAHKK! YAAHKK!”
Muoveva il collo avanti ed
indietro
alzava le zampe
ed apriva il becco.
Avevo capito:
era affamato!
Io avevo solo
scatolette di tonno e carne.
Ne aprii una al tonno
e provai a dargliela:
sbranò il contenuto
in un colpo!
Ne aprii un’altra:
idem!
Aprii la scatoletta di carne:
uguale!
Era famelico.
Ogni tanto faceva
“YAAHKK! YAAHKK!”
Era felice.
Aveva trovato un grullo!
Gli diedi ancora
un pezzo di parmigiano
mezza mela e cinque
caramelle.
Era tardi
ed io dovevo andare.
Spiegai a Gibbo la
situazione.
Lui rispose “YAAHKK!”.
Allora iniziai a muovermi
piano piano.
Niente!
Era sempre aggrappato alla
staffa.
E mi guardava.
Ingranai la marcia e partii.
La scena era ridicola:
chi ci vedeva poteva pensare
che a quel povero gabbiano
gli avevo imprigionato le
zampe
per tenerlo come soprammobile
là fuori!
Iniziai a preoccuparmi.
Guidavo e lo guardavo
Sembrava inebetito.
Forse era in piena
digestione.
Ma quando raggiunsi
la cima della costa
si staccò.
Fece un largo giro
sopra di me
e poi
picchiò verso il mare.
Sembrava uno Stukas
in fase di bombardamento!
Salutai Gibbo
mentre dietro a me
scomparivano
le bianche scogliere di Dover
stupidi
inanimati
pezzi di roccia.
Alva.
Le esperienze di un creativo disadattato(mi ricordi me) stravagante:ossigeno per la mente.
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