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web sito ImageChef Custom Images "Ormai quasi giunto al termine della mia vita di peccatore, mentre declino canuto insieme al mondo, mi accingo a lasciare su questo blog testimonianza degli eventi a cui mi accadde, mi accade e mi accadrà di assistere durante il periglioso viaggio che mi separa dalla tomba. E Dio mi conceda la grazia di essere testimone trasparente e cronista fedele di quanto ho visto. Possa la mia mano non tremare mentre mi accingo a scrivere certi eventi e ricordare l'inquietudine sottile che opprime l'animo mio mentre mi collego quotidianamente a questo blog poiché oggi ho la certezza che sto rettamente interpretando gli indubitabili presagi ai quali, da quando nacqui, stoltamente, non diedi peso ."

sabato 28 settembre 2013

Parole non dette.

L’uomo era rimasto fermo per un tempo indefinito, immobile, granitico, quasi che fosse regredito ai tempi remoti della sua personale esistenza quando ancora giocava a “Uno-due-tre- stella”.
La sua figura, stretta nel giaccone Moncler, si stagliava massiccia, sullo spoglio sky-line  costituito dalle poche case fronte mare. Era rimasto a lungo pensieroso, lo sguardo fisso in un punto indefinito, là, sulle onde grigio-argento di quella triste giornata di fine Novembre. Improvvisamente si era scosso, come animato da un’idea repentina: aveva estratto il portafogli dalla tasca, lo aveva aperto e, poi, come rassicurato alla vista della mazzetta di banconote verdi al suo interno, lo aveva riposto con cura, avviandosi verso un’ Audi nera, scintillante. Stava percorrendo la via, un largo stradone diritto, che costeggiando il mare, dalla periferia portava alla città. Al lato monte, a intervalli di una cinquantina di metri una dall’altra, le prostitute erano già uscite, sotto la luce gialla dei lampioni che iniziavano ad accendersi, ed esponevano i loro giovani corpi agli sguardi concupiscenti degli automobilisti di passaggio ma anche ai primi rigori dell’inverno. Erano tutte belle, fresche, merce selezionata per il marciapiede esclusivo sopra il quale erano sfornate ogni sera: alte, slanciate, alcune poco più che adolescenti; i dati somatici le registravano come donne provenienti dall’est anche se non mancava qualche nota contrastante  costituita da alcune ragazze di colore. Le mani in tasca, battevano i piedi fasciati da scarpe con tacchi vertiginosi sull’asfalto, scrutando con sguardo sfrontato i possibili clienti.
L’Audi scura procedeva lentamente: l’uomo alla guida si era abbassato, protendendosi verso il finestrino del viaggiatore, per meglio valutare la mercanzia.
Aveva percorso quasi tutto il vialone quando improvvisamente si fermò davanti a una biondina, poco appariscente, vestita in maniera semplice, con un paio di jeans e una giacca di lana blu. Niente di esagerato, nemmeno il trucco. Era quasi fuori luogo nella sua normalità che le conferiva l’aria di “ragazza della porta accanto”. Per lei, poteva essere l’arma vincente per attirare i timidi o i pavidi, quelli che a casa avevano lasciato una donna dominante e che erano messi in fuga dall’aggressività e dalla volgarità delle sue colleghe.
-Sali su, dai!- l’uomo le fece cenno e la ragazza si fiondò in un amen dentro l’abitacolo caldo, sfregandosi le mani livide, grata di quella pausa dal freddo esterno.
-Sono 150 completo, 100 solo con bocca- buttò lì senza neppure guardarlo, in un italiano approssimativo.
-Te ne do 500 ora e 500 fra tre ore, se fai una cosa particolare per me-
-Tu non capisci: io non fare cose strane come manette, strette a gola, fruste, o fatto con altri, no, no, io non fare questo-
- Infatti ti chiedo di fare la “normale” più di quanto tu faccia ogni sera- e le aveva messo in mano 500 euro.
La ragazza dapprima allarmata si era tranquillizzata: aveva rigirato per un attimo le banconote fra mani prima di riporle nella borsa e poi aveva iniziato a togliersi la giacca.
L’uomo la fermò con un gesto.
-Ti voglio vestita. Come ti chiami?-
-Snejana- rispose confusa, la donna.
-Snejana è un nome complicato. Ti chiamerai Nina e dovrai essere molto- e l’uomo ripeté, modulando la voce - MOLTO gentile, con la persona che andremo a prendere ora. Quando ti parlerà, dovrai fingere di non capire una parola d’italiano e dovrai rispondere solo nella tua lingua. Capito?
-Ti ho detto che non faccio a tre, né con uomo, né con donna. Capito tu?-
-Appunto. Devi solo fare ciò che ti ho chiesto. Ok?-
La ragazza fece un cenno di assenso, proprio mentre l’auto imboccava il vialetto d’accesso a una villa stile Liberty, proprio nel centro città. L’uomo scese, la fece passare sul sedile posteriore, poi si diresse verso la casa: aprì con le chiavi il portone d’ingresso e fu fagocitato dal buio della casa. Riapparve dopo una ventina di minuti al braccio di un’anziana signora, dall’aspetto fragile come di carta velina. Anche la voce era tremula quando mise la testa candida nell’abitacolo e salutò la ragazza.
-Ciao Nina. Mio figlio mi ha parlato tanto di te: peccato non averti potuto conoscere prima.-
E aveva attaccato con una serie di complimenti , mentre si accomodava al’interno dell’auto e ripartivano,su quanto era bella e quanto fosse stata brava a prendersi cura del figlio adesso che lei non poteva fare più niente per lui, e peccato che non si potevano comprendere data la diversa provenienza.
Snesjana aveva eseguito gli ordini: aveva pronunciato poche parole, tutte rigorosamente nella sua lingua d'origine, ed era stata gentile e premurosa accompagnando la donna fino all’ingresso della clinica,davanti alla quale, dopo mezz’ora di strada si erano fermati.
Poi aveva atteso in auto, sprofondata nei sedili di pelle, al buio, respirando l’odore del lusso.
Dopo circa un’ora, l’uomo era tornato e si era rimesso alla guida senza una parola. Solo quando erano ormai molto vicini al luogo dove si erano incontrati, l’uomo aprì bocca:
-E’ molto malata, ne avrà si e no per un mese. Mi voleva sapere felice, con una donna accanto.-
-Ma tu sei bello, ancora giovane, ricco. Potevi avere tutte donne che volevi. Perché tu preso me?-
Dall’uomo nessuna risposta.
Avrebbe potuto spiegare che lui era sì felice, però con una “donna” che si chiamava Sergio ed era in realtà un uomo. Ma non lo fece.
Mise in mano alla ragazza gli altri 500 euro e la scaricò, là dove l’aveva raccolta.
-Buona fortuna Nina anzi, Snesjana. Grazie.-
Un colpo d’acceleratore e l’auto era già lontana. La ragazza la guardò allontanarsi.
Non le sarebbe dispiaciuto essere Nina, pensò:si sarebbe appropriata di quella normalità il cui sapore aveva appena percepito per due ore e ventitré minuti della sua vita e che purtroppo,lei, possedeva solo nell’aspetto.


                                                                                                         Alvaro.

domenica 15 settembre 2013

Se.

Se, avendo il terrore di esser sepolto vivo,  decidi di farti cremare ma ti svegli nella bara dentro il forno crematorio;

Se, in una gelateria, non hai mai voluto comprare la Coppa del Nonno per rispetto all'anzianità;

Se hai mandato tutti a quel paese e ora vivi in una città deserta;

Se non hai mai schiacciato un pisolino  perchè sei un brontolone;

Se tutto quello che dici ha un senso ma non ha senso se lo dici;

Se, quando sali su un aereo e chiedi alla hostess se il volo arriverà in orario, ma lei ti risponde al condizionale;

Se  stai attraversando un fiume in secca a piedi in una vallata, ma a monte qualcuno decide di abbassare il livello della diga a scanso di disgrazie;

Se hai un diavolo per capello ma sei calvo;

Se ti senti male e poi scopri di avere un tappo di cerume nelle orecchie;

Se, quando avevi 20 anni, ti addormentavi col cazzo in erezione e adesso, che ne hai 60, col cazzo che ti addormenti;

Se, in un campo nudisti, mentre dormi a pancia all'aria, un passero cerca di strapparti l'uccello  perchè lo ha scambiato per un verme;

Se, deciso come non mai, entri in banca per ottenere un fido ed esci con un cane;

Se fingi di essere intelligente ma reciti male;

Se, ogni volta che entri in banca per conoscere la tua situazione finanziaria, il direttore chiama la polizia;

Se gli ultimi 3 minuti della tua vita li trascorri guardando il soffitto per il solo fatto che ti stai impiccando;

Se hai un sacco di rituali per addormentarti ma nemmeno uno per svegliarti;

Se, dopo esserti lanciato nel vuoto dal 12° piano, realizzi che la macchina sulla quale ti sfracellerai è la tua;

Se trascorri le tue giornate a dire che la religione è l'oppio dei popoli e poi ti fai le canne per rilassarti;

Se ti senti un pezzo da 90 ma hai passato i 90 da un pezzo;
Se, ogni volta che entri al bar e chiedi un caffè corretto,  il barista prende la tazzina
e se la infila da dietro nei pantaloni per qualche secondo;


se ti accade tutto questo, amico mio,


DON’T WORRY, BE HAPPY! 

Voltri's C.E.P. ( Case Edilizia Popolare di Voltri)

Non c’era nulla di buono in quel cuore,solamente rabbia e tristezza. Nulla che sarebbe riuscito ad  accomunarlo a qualunque altro cuore. Nulla che avrebbe permesso a qualcosa di positivo di potervi entrare.
Era solo un muscolo al centro del petto. Che pompava migliaia di litri di sangue ogni giorno. Che potevi ascoltare nel silenzio della notte. Che ti avrebbe accompagnato fino al mattino. Che tu lo avessi voluto o che avessi sperato il contrario.
Era, per così dire, un indispensabile “oggetto” che valeva la pena di sopportare per non perdersi l’ennesima puntata di quell’incredibile commedia chiamata vita.


“ALLORA,  LA VOGLIAMO FINIRE O NO?”

Era sempre così,tutte le notti, alla stessa ora, nello stesso medesimo momento in cui il suo vicino apriva la porta del bagno che dava sopra la sua camera da letto.


“ EHI, HAI SENTITO? QUELLA MALEDETTA PORTA NON MI FA DORMIRE!

Non si poteva certo dire che il suo carattere fosse dei migliori; anzi, a ben analizzare i fatti, si poteva affermare,con un bassissimo margine di errore, che Alvaro avesse il carattere più bastardo e degradato della terra. Si era trasferito in quel caseggiato di periferia dopo essersi rovinato col gioco, anche se le donne avevano fatto la loro parte in grande misura. Viveva in un appartamento di 35 metri quadrati e l’unico balcone che tentava di dare un po’ di spazio e aria a quell'angusto locale si affacciava su uno   stradone sterrato che alzava tonnellate di polvere ogni minuto.
La sua intera esistenza era stata costellata di momenti grandiosi: soldi, donne, gente importante...ma non se li era saputi gestire con parsimonia e così era stato scaraventa-
to nei bassifondi della vita alla stessa velocità con la quale, anni addietro, aveva raggiunto la vetta su cui, così dicono, risiedono gli Dei.

“ IL GIORNO CHE VERRO’ SU DA TE IN QUEL TUO LURIDO APPARTAMENTO , SARA’ SOLO PER SPACCARTI IN TESTA QUELLA STUPIDA  PORTA!”

Non accadeva quasi mai nulla nel quartiere in cui viveva;voglio dire mai nulla che potesse essere ricordata con un sorriso. Ai lati delle strade le siringhe usate ti sbattevano in faccia la realtà della droga mentre la gente, che camminava con la testa bassa, era ben poco disposta al dialogo. I pochi alberi che avevano avuto la sventura di crescere in quel luogo erano rinsecchiti e con i rami puntati verso terra, come se ad un certo punto si fossero accorti in che razza di posto avessero deciso di piantare le proprie radici e volessero, con un pietoso quanto inutile inchino, ritornare verso la terra. Era certo che se quelle piante avessero avuto un desiderio da esprimere, non avrebbero esitato nemmeno un secondo a far ripiombare quella strada nella più assolata solitudine.

“SEI SOLO UN MALEDUCATO! HAI CAPITO O NO? SE TI DA’ FASTIDIO LA MIA  PORTA NON DEVI FAR ALTRO CHE TRASLOCARE DA UN ALTRA PARTE. E’ CHIARO?!”

I gatti occupavano un ruolo predominante nel quartiere: dare la caccia ai topi. Essi venivano foraggiati dalle vecchiette rimbambite che non avevano null'altro da fare se non quello di raccattare cibo di ogni genere per i loro pasti. Le vegliarde,nella loro obnubilante senilità, non potevano sapere che così facendo invogliavano alla pigrizia i loro adorati felini. Avete mai visto un gatto, con la ciotola zeppa di carne trita, correre dietro a un topo? Certo che no! Il risultato? I ratti si moltiplicavano in maniera esponenziale e da lì a non molto si sarebbe dovuto ricorrere all'esercito!

“PERCHÉ’ NON SCENDI GIÙ’ E VIENI A DIRE  LE STESSE COSE DAVANTI A ME? HAI PAURA? SECONDO ME TI CAGHI ADDOSSO!”

Tutto intorno al quartiere una strada si inerpicava fino a raggiungere un santuario, luogo di devozione per quelli che ancora credevano in dio. Oltre quel santuario solamente un cimitero che nascondeva i resti di chi aveva osato sfidare una vita dura in un quartiere durissimo.La gente che “da basso” saliva per visitare i propri cari, si aggirava in quel luogo senza timore; quasi con un senso di invidia per chi si trovava sotto quella terra. Sapevano che alla fine sarebbe toccato a loro ma non immaginavano quando. Forse proprio per questo erano così nervosi: non sapere quando, finalmente,sarebbe giunta l’ora di abbandonare quel luogo, senza per questo doverselo ricordare anche solo per un minuto.

“VUOI CHE SCENDO GIÙ’, EH? SAI CHE SUCCEDE SE SCENDO? SE SCENDO GIÙ’ TI INFILO UN DITO IN UN OCCHIO E TE LO FACCIO USCIRE DA UN ORECCHIO. ECCO QUELLO CHE SUCCEDE SE SCENDO!”

I tossicodipendenti vagavano come sterco galleggiante in preda a lente correnti marine che dalla costa si spingono verso l’orizzonte senza mai oltrepassarlo. Erano sempre in cerca di denaro facile, soprattutto quello degli altri; soprattutto quando gli altri non si sarebbero mai sognati di darglielo. Ti avrebbero spaccato il vetro della macchina anche solo per rubarti un euro e venduto la loro madre per molto meno.

“ NON HO BEN CAPITO CHE COSA HAI DETTO. VERAMENTE TU PENSI DI FICCARMI UN DITO IN UN OCCHIO? E SE IO INVECE TI APRISSI LA TESTA IN DUE E CI SPUTASSI DENTRO? POTREBBE ESSERE DIVERTENTE!”

Non era una zona di fighetti o cose del genere. Chi viveva lì aveva le carte in regola. Se abitavi al C.E.P. non potevi essere uno qualunque. Dovevi per forza cercare di essere il migliore o perlomeno tentarci. Non c’era spazio per l’improvvisazione.
Era come una giungla circoscritta: ognuno aveva il proprio ruolo, finalizzato al buon andamento del territorio. Volevi star tranquillo e goderti i giorni che gli dei ti avevano riservato? Dovevi farti gli affari tuoi! Nella maniera più assoluta.

“ MA CHI TI CREDI DI ESSERE? NON SEI NESSUNO! DA QUANDO SEI ARRIVATO IN QUESTO POSTO NON FAI ALTRO CHE FAR CASINO A TUTTE LE ORE! STAI ALL'OCCHIO STAI. HO UN PEZZO DI FERRO CALIBRO NOVE PARABELLUM CHE HA UNA VOGLIA MATTA DI CONOSCERTI!”

A volte, anche quando non rompevi l'anima a nessuno, c’era sempre la testa calda pronta a romperla a te. Era come se ogni tanto ci si dovesse confrontare per forza, nonostante il motivo potesse essere banale e puerile come un semplice sguardo.

“ SAI DOVE LO DEVI METTERE QUEL FERRO? NELL'UNICO POSTO DEL TUO CORPO DEGNO AD ACCOGLIERLO!”

Poteva anche capitarti di incontrare la polizia. Si trattava, quasi sempre, di visite volute dall'amministrazione comunale per tranquillizzare l’onesta schiera di elettori che vivevano  nei quartieri “bene”, preoccupati che alle loro profumate figlie non venisse in mente di frequentare certa gente; e che se proprio avessero dovuto subire il loro maschio fascino non sarebbero state costrette di ritornare ad Albaro o Castelletto con un maledettissimo ricordo di quella zona.

“ PERCHE’ NON VIENI SU A FARLO? PERCHE’ NON VIENI SU CON TUTTA QUELLA TUA TRIPPA BUDEGOSA?”

Alvaro non se lo fece ripetere due volte: aprì la porta e iniziò a salire le scale che lo dividevano dal vicino.

“ STO ARRIVANDO, SPURGO DI FOGNA ! STO ARRIVANDO E SONO NERVOSO E QUANDO SONO NERVOSO SCOPPIANO GUAI!”

L’altro uomo corse in camera, aprì uno sportello ed estrasse la calibro nove.
La caricò velocemente, la armò e con passo veloce si diresse verso il pianerottolo.

“ TI STO ASPETTANDO, IMBECILLE.  TI STO ASPETTANDO!”

Alvaro fece gli ultimi gradini quasi di corsa e, quando intravide la sagoma dell’uomo, gli si avventò contro. Le sue grandi mani iniziarono a stringere il collo dell’altro.

“ CREPA!TI STACCO IL COLLO.TE LO STACCO QUESTO COLLO !”

L’altro, quasi totalmente in apnea, gli sorrise e disse:

“VAI ALL'INFERNO!”

Poi si udirono due colpi in rapida successione.
Subito dopo il silenzio.
Alvaro indietreggiò per qualche metro e si accasciò a terra. Un rivolo di sangue sgorgava da sotto il suo corpo ormai esanime.
L’altro uomo, con ancora la pistola in mano, rimase per qualche secondo a guardare la scena che gli si presentava davanti agli occhi. Era come inebetito. Quando realizzò cosa aveva fatto alzò la canna della pistola all'altezza della tempia sinistra e, senza esitare, premette nuovamente il grilletto.
Qualcuno, da dietro la porta, chiamò la polizia.
Arrivarono molte macchine. Furono scattate decine di fotografie. I cadaveri furono infilati in due sacchi di plastica neri e spediti all'obitorio. Un solerte poliziotto fece  molte domande, senza mai avere risposte esaurienti.
La gente, da dietro le persiane, spiava ogni cosa.
Le ultime due macchine della madama se ne andarono con le sirene spiegate.
Le luci blu dei lampeggianti si infiltrarono, per pochi attimi ancora, tra quei vicoli dove qualche anima persa si iniettava l’ennesima dose.
Dopo un attimo tornò il buio e con esso un forte vento si levò da mare.
Il camion della nettezza urbana stava iniziando il suo giro mentre l’autista, bestemmiando, compiva evoluzioni da circo per evitare le macchine che si erano posteggiate in malo modo. In lontananza i rumori del V.T.E. si lasciavano sfuggire gli strazianti urli dei trackers che sollevavano i container; dalle navi alle banchine. Incessantemente.
Il mattino incalzava e nell'appartamento, sopra quello che fu di Alvaro,una finestra sbatté per effetto del vento, lasciando entrare un delicato profumo di salsedine.
La porta del bagno iniziò nuovamente a cigolare, spaccando in due il mortale silenzio che vi regnava.
Il rumore si fece regolare ed  insistente. Insopportabile ed ipnotico.
Col passare dei minuti quel cigolio diventò un tormento, come un trapano nel cervello. In un appartamento accanto un ragazzo si stava facendo il caffè. Da lì a non molto avrebbe iniziato il suo turno di mattina in porto. Aveva dormito bene quella notte. Non era poi male quel quartiere, pensava. Certo, quel cigolio che sentiva, se fosse stato di notte sarebbe stato un problema . Al ritorno lo avrebbe fatto presente al vicino.



                                                                                                  Alvaro.

Raptus

Alvaro stava seduto nell'angolo della cucina. La finestra era aperta e sul davanzale c’erano piccoli pezzi di pane e biscotti. Ogni tanto qualche piccione atterrava lì sopra per beccare quel ben di dio e lui, con la sua pistola ad aria compressa, gli sparava con assoluta precisione. Il volatile cadeva giù in strada dal 3° piano e le macchine provvedevano a fare il resto. In quel periodo aveva 39 anni, ma ne dimostrava  molti di meno. Almeno 8 di meno. Alle sue spalle una vita orrenda: molti anni come sottufficiale dell’esercito, due nella legione, un divorzio e un bel po’ di reati…perlopiù risse. Stava quasi sempre da solo e aveva l’aspetto di un amicone che poteva, all'occorrenza, trasformarsi in un maledetto figlio di n.n. Quel giorno, mentre giustiziava i piccioni, le sue malsane idee si misero d’un tratto sull'attenti, rivolte in un’unica direzione: la chiesa della città.
Nel suo interno viveva il sacerdote più bastardo che avesse mai conosciuto: un rifiuto di fogna, vestito di nero che pontificava di amore e pace, ma solo per esigenze di copione.
Avevano tutti il terrore di lui e centinaia di mamme andavano spesso a supplicarlo per far avere un posto di lavoro ai propri figli, lasciando ogni volta generose elargizioni nella speranza, quasi sempre remota, che ciò accadesse.
Al prete, non gli importava un accidente di quei "delinquentucoli", come amava definirli. L’unica cosa veramente importante, per lui, erano i soldi. Ah! Quelli si! E ne usava molti per riempirsi la pancia di cibo raffinato. A chi non era capitato di vedere, almeno una volta, il furgone del ristorante “ Chez Louis”, fermarsi nel retro della sacrestia e scaricare velocemente i costosi manicaretti già pronti per lui?  Questo accadeva due volte al giorno: pranzo e cena. Per la colazione, il sant'uomo, era solito recarsi nella pasticceria in fondo alla strada già di buon mattino, ben sapendo che il proprietario, un uomo timorato di Dio, non avrebbe mai osato farlo pagare.
Se tutti quei poveretti avessero saputo dove andava a finire il denaro delle elemosine, quel lungo crocefisso, che pendeva dal suo collo, glielo avrebbero piazzato in un altro posto anziché intorno al collo. E con una gioia immensa!
Alvaro si alzò improvvisamente da quella sedia, nell'angolo della cucina, appoggiò la pistola ad aria compressa sul tavolo e si diresse verso il suo armadio. Lo aprì e frugò sotto due coperte di lana ben piegate: una Cougar Magnum scintillante fece la sua comparsa, prezioso “souvenir” dell’ultima missione compiuta. La accarezzò per un attimo, lasciando che la luce rimbalzasse su di essa. Poi iniziò a caricarla: lentamente ma con decisione. Quand’ebbe terminato la infilò in tasca e uscì dal suo appartamento. Giunto in strada, indugiò sulle carcasse dei piccioni a terra e sputò nella loro direzione: aveva sempre odiato quegli stupidi uccelli che riempivano il mondo del loro sterco bianco.
Erano quasi le 18, quando Alvaro arrivò davanti alla porta della chiesa. Il grosso portone di legno lavorato a mano era già chiuso.

“ Maledizione !” - esclamò Alvaro. Poi, con calma, dopo essersi guardato intorno, scagliò due pugni sullo spesso legno. Subito dopo un altro, ma molto più forte. Appoggiò l’orecchio e sentì lo scalpiccio di passi veloci avvicinarsi.

“ Chi è che vuole buttare giù la porta?” - urlò dall'interno il prete.

Alvaro ingoiò un po’ di saliva e contrasse le corde vocali per contraffare la voce.

“ Oh, mi scusi tanto, ma volevo lasciare la mia offerta per la Chiesa! Sono arrivato in ritardo!!” - gracchiò alla belle meglio.

“ Capisco - disse il sacerdote sempre da dietro la porta - non può tornare domani?”.
“ Oh…si, credo che lo farò anche se…anche se - a quel punto Alvaro abbassò astutamente la voce - ho un po’ di paura a tornare a casa con tutto questo denaro. Sa, oggigiorno c’è da aver paura d’ogni cosa!”.

Ci fu una piccola pausa, poi il chiavistello iniziò a girare. In maniera lenta ma costante.
Un movimento simile a quello che fece Alvaro nell'estrarre la sua Magnum dalla tasca.
Quando la porta si aprì il prete tuonò dalla fessura creatasi: “ Mi dia l’offerta e che Dio la benedica!!”.

Alvaro, invece, infilò la canna dell’arma e fece fuoco. Un colpo assordante riecheggiò tra le case dietro a lui. Diede una spinta al portone ed entrò: il corpo dell’uomo di chiesa giaceva a terra con la gola spappolata e gli occhi sbarrati. Gli sferrò una pedata, come per accertarsi che fosse veramente morto, anche se non v’era più alcun dubbio.
La pozza di sangue che si era formata intorno a quel cadavere, per effetto dello spostamento dovuto al forte calcio, ruppe il suo quasi perfetto disegno geometrico, iniziando a scivolare in una piccola fessura dovuta all'imperfezione del pavimento
logoro dai secoli. Osservò quel fiumiciattolo sempre più in piena. Poi si diresse verso il gigantesco crocefisso, appeso ad una lunga catena che scendeva dal soffitto. Lo guardò come disgustato, ormai totalmente assorbito dalla follia. Caricò lo sputa fuoco e sparò due volte: la catena saltò via e il crocefisso precipitò a terra con un boato. L’impatto aveva distaccato la figura del Cristo dalla croce. Alvaro gli si avvicinò.

“ Vedi…ora sei libero…puoi andartene!!” - disse con una specie di cantilena.

La scultura lignea giaceva al centro della navata principale, con una grossa incrinatura all'altezza del fianco.

“ Hai capito? Sei libero! Alzati e vattene!” - urlò questa volta Alvaro.

Indietreggiò di un passo, puntò l’arma in direzione del cristo e fece fuoco.
Una. Due. Tre volte. Il legno, vecchio di secoli, saltò in aria come ridere. Poi, a casaccio, sparò in rapida sequenza.

Ciò che l’uomo aveva costruito secoli prima per devozione, veniva ora distrutto dall'uomo per pazzia. Era sempre l’essere umano il vero colpevole. Poteva costruire intorno a sé meravigliosi palazzi o spaventose prigioni, ma solo grazie alla sua intelligenza avrebbe scelto, tra i due, il luogo migliore dove trascorrere la propria vita.

Smise di colpo. Abbassò l’arma e la appoggiò alla coscia destra. Ne avvertì il calore.
La chiesa, all'esterno, era completamente circondata dalla polizia. Da lì a non molto i gruppi speciali sarebbero entrati in azione. Il primo ad intervenire fu un anziano ufficiale, dotato di uno spiccato senso della comunicazione. Entrò cautamente dal portone e quasi s’inciampò nel cadavere del prete. Lo stomaco gli si torse e le budella lo frustarono dall'interno.
Camminò lentamente e intravide Alvaro al centro della navata principale, di spalle…un bersaglio fin troppo facile: ma la sua saggezza, alle soglie della pensione, gli impose di cercare la trattativa e di salvare la vita a quel giovane.

“ Figliolo - urlò - stai calmo, io voglio aiutarti! Nessuno ti farà del male!”

Alvaro non si voltò neppure. Si era esercitato migliaia di volte, quando era in Legione, ad inquadrare il nemico alle spalle, basandosi solamente sulla voce per localizzare il bersaglio.

“ Adesso getta la pistola e non ti accadrà nulla, parola di…”

Non riuscì nemmeno a pronunciare il proprio nome: Alvaro piegò il polso all'indietro e la pistola, che era appoggiata lungo la sua coscia destra, volse la sua canna dal basso verso l’alto. Il pollice, anziché l’indice, fece pressione sul grilletto.
La testa di quel poveraccio esplose e, per un attimo, il corpo sembrò fare ancora un mezzo passo senza di essa.  Poi cadde.

Tornò velocemente il silenzio.

All'esterno, un commando di teste di cuoio stava preparandosi ad entrare.

Alvaro, all'interno, guardò il cadavere del prete, quello del poliziotto e infine ciò che restava del cristo di legno.
Sorrise. Tirò su rumorosamente, quindi sputò.

“ Tre! Sono tre! E io odio i numeri dispari!” - urlò come indemoniato.

Lentamente alzò la sua fidata Cougar Magnum.
Girò su sé stesso, come in una stupida danza.

Aprì la bocca e v’infilò la canna. Ne avvertì il calore.

Chiuse gli occhi.

Una lacrima fuggì da essi.

Poi, dopo un lungo sospiro, premette il grilletto.


                                                                                                            Alvaro.

Interculturalità.

" Caro Alvaro,la comunicazione tra culture diverse assume un 'importanza sempre maggiore. Nell'era dell'internalizzazione e della globalizzazione i flussi migratori degli anni sessanta e la caduta del muro di Berlino hanno aperto le frontiere dell'europa dell'est scaraventando il mondo in un villaggio globale. La comunicazione interculturale come settore di ricerca scientifica non si può avvalere di una tradizione particolarmente lunga sul processo di disfacimento della cultura di minoranze sociali mentre la linguistica strutturalista ha intrapreso lo studio di fattori culturali. I fenomeni presenti in una cultura si distinguono secondo la forma. L'approccio semiotico è anche riconducibile alla definizione di cultura: significati incarnati in simboli, diventano metafore culturali rivelando la storia di un paese. Dall'incontro di lingue diverse possono nascere idiomi totalmente nuovi creando così una varietà linguistica estremamente semplificata ed impoverita rispetto alla lingua d'arrivo." 

E' così che il tipo accanto a me spiegò il significato di INTERCULTURALITA'  mentre mi sorseggiavo il terzo Jack Daniel's con un quinto di acqua.

Lo guardai dritto negli occhi e gli dissi:

"CREDI DAVVERO A QUELLO CHE DICI?"

Scosse la testa e fece cenno al barista di versargliene ancora un bicchiere, poi parlò:

" Credo, mio caro Alvaro, che sia indispensabile integrare la didattica moderna delle lingue straniere oltre che con un abilità comunicativa che permette di compiere degli atti linguistici anche con una competenza interculturale creando in questo modo una competenza comunicativa interculturale."

Risi di gusto. Non capivo un accidente del suo lessico ma comprendevo che era in buona fede.

" Chi vuole comprendere e comunicare in un altra lingua deve abbandonare non soltanto il proprio contesto linguistico di riferimento ma anche il sistema culturale di appartenenza."

Alzai il bicchiere e feci un brindisi rivolto a quel ragazzo che tanto sapeva e tanto bene parlava.

Il giovane, però, mal sopportava l'alcol quindi divenne vago e confuso.

" La didattica orientata verso un approccio interculturale ricorre anche ad altre discipline indispensabili per raggiungere l'obiettivo della comunicativa interculturale. La didattica moderna chiede da tempo un insegnamento della cultura attraverso la lingua inducendo a considerare la cultura come quinta abilità  accanto a quelle tradizionali della comprensione scritta/orale. "

Subito dopo l'enunciazione di questa verità scivolò dalla sua seggiola e cadde a terra. Gli alzai il capo e diressi il suo vomito oltre il prezioso tappeto di Hamnrack. Fu in quel momento che lo sentii mormorare:

" ...uno dei padri fondatori della germanistica interculturale ha strutturato la disciplina in cinque sezioni alle quali si aggiungono, in un secondo momento, la componente multimediale..."

Il titolare del bar gli getta un bicchiere di acqua in faccia. 
Accarezzo l'intellettuale e gli asciugo il viso poi, come un vigliacco, esco dal bar.
La luna è assente in questa notte di maggio. Le prime lucciole sfavillano tra gli ulivi. Metto in moto la mia Honda e con un rombo mi allontano dal parcheggio del locale. Il mare è alla mia sinistra. Imbocco la galleria di Cavi a 180 km/h con ancora in mente le dissertazioni del ragazzo. Poco prima di uscire dalla galleria scalo una marcia. 

INTERCULTURALITA'! - penso.

Con un 'impennata arrivo a 210 km/h ed esco dalla galleria.
Uno sfavillio di luci blu nello specchietto retrovisore mi gela il sangue.

LA POLIZIA! - urlo tra me.

Metto la freccia a destra e mi fermo.
Un poliziotto esce dalla sua auto e mi viene accanto con un sorriso. E' un ragazzo di colore.
Mi viene in mente un vecchio proverbio indiano che recita:

" la vita è un gioco: giocala!"

Mi sfilo i guanti, il casco e mi preparo all'ennesima interpretazione da Oscar.

Sarà interculturale?
Probabilmente si.

                                                                                          Alvaro.




sabato 14 settembre 2013

L'ingegnere aeronautico.

Alvaro arrivò all'aeroporto in perfetto orario. Le strade di New York, a quell'ora del mattino, erano ancora scorrevoli e il tassista, un cingalese, durante il tragitto gli aveva raccontato i particolari del matrimonio di sua figlia che si sarebbe celebrato da lì a non molto. Alvaro aveva ascoltato ma con distacco. Era ancora immerso in una sua personale considerazione su quello che la sera prima, alla Sala Congressi dello Sheraton, aveva esposto al solito pubblico : ministri e alte cariche del dipartimento aviazione americano, piloti civili e militari. Alvaro era un ingegnere aeronautico di fama mondiale. Aveva supervisionato e periziato centinaia di casi in cui un incidente aereo diventava misterioso. La solita esigenza, soprattutto delle compagnie assicurative, di conoscere se vi era stato un errore umano o un malfunzionamento dell’aeromobile. Pensava anche agli applausi ricevuti, alle strette di mano, alle facce che gli promettevano conferenze nei posti più disparati del mondo .

“Ha solo una valigia, signore?”

 Alvaro riemerse da quei pensieri e si accorse della ragazza del check-in che gli sorrideva. Si, si, rispose e, consegnato il ticket, si avviò al Gate numero 11. L’imbarco fu immediato. L’ hostess della Alitalia, con un sorriso, gli indicò la zona dell’aereo in cui avrebbe dovuto sedersi. Una volta individuata la poltroncina si accomodò, allacciandosi subito le cinture di sicurezza. Sfilò dalla tasca della giacca la mascherina per gli occhi ma prima di indossarla pregò la hostess di non disturbarlo per l’ora di colazione poiché aveva sonno arretrato da smaltire. La ragazza lo rassicurò. Poi, con un gesto meccanico, fatto chissà quante volte, la indossò e in un buio confortevole sprofondò istantaneamente nel sonno.

“Signore, si svegli! Signore, mi sente? Signore?”

Si sfilò la mascherina e, con uno sguardo appannato, vide il viso della hostess abbozzare un sorriso che sapeva essere di circostanza ma sostanzialmente triste. Diede, d’istinto, un’occhiata all'orologio: erano passate circa 3 ore.

“ Cosa succede?”
 “Può seguirmi in cabina di pilotaggio?”
 “Certo che posso, ma cosa sta succedendo?”
 “Non ho idea. Il comandante mi ha detto di chiamarla.”

 Mentre si avvicinavano alla prua dell’aereo, la sua attenzione cadde su una sensazione a livello uditivo. Era come se mancasse qualcosa. Era come se…come se il rumore di fondo dei jet non fosse così netto e delineato. Quando varcò la soglia della cabina venne informato che il velivolo stava perdendo potenza inspiegabilmente. Si era tentata ogni manovra. Il suo udito non lo aveva ingannato.

“Stiamo scendendo di quota?”
“Si.”
“Qual è il rateo di discesa?”
“Preoccupante rispetto alla perdita di potenza.”

 Perdita di potenza. Sapeva esattamente di cosa si trattava.

 -Indicata con P, la potenza disponibile, se si utilizza energia chimica come sorgente, è l'energia disponibile nell'unità di tempo. Questa è costituita da due termini: il primo dovuto alla portata in massa di combustibile (o di propellenti) per l'energia per unità di massa fornita nella combustione ed il secondo dovuto all'energia cinetica posseduta dal combustibile (o dai propellenti) trascinati dal veicolo nel quale sono stivati. Indicando con V la velocità del veicolo, con M la massa del combustibile, con Q il potere calorifico del combustibile (l'energia che può essere fornita bruciando un'unità di massa di combustibile), si ha quindi che: …-

 “Signore? A cosa sta pensando? Le viene in mente qualcosa circa il rendimento propulsivo del velivolo? Nel qual caso noi…”

 Rendimento propulsivo? Ma certo! Era la sua materia preferita!

-Una parte della potenza del getto viene persa sotto forma di energia cinetica residua del getto. Di ciò si tiene conto nel coefficiente di rendimento propulsivo, il rapporto tra potenza propulsiva e potenza del getto o, il che è lo stesso, tra il lavoro impiegato per la propulsione ed il lavoro fornito al fluido. La potenza propulsiva può essere scritta come la spinta del motore T moltiplicata per la velocità di volo V mentre la potenza del getto può essere scritta come la differenza di energia cinetica del flusso nell'unità di tempo e quindi il rendimento propulsivo subirà un decremento, dopo alcuni passaggi matematici, nella ragione di…-

“Signore? Sta bene signore?”

 Scosse la testa e alzò un braccio come in un segno di comprensione. Poi disse che se non avessero trovato un luogo d’atterraggio entro pochi minuti i motori si sarebbero fermati. Calò il silenzio. Erano nel mezzo dell’Oceano Atlantico ed era gennaio. Lentamente Alvaro uscì dalla cabina, camminando lungo il corridoio tra i passeggeri ignari. Precipitare sull'acqua non era una bella cosa.

 -C'è una evidente distinzione tra un ammaraggio controllato (che è comunque una manovra di emergenza) e uno schianto non controllato con l'acqua. Quest'ultimo può portare alla distruzione dell'aereo, analogamente a quanto può accadere in un impatto contro il suolo.-

 Ad un certo punto si fermò. Guardò attentamente tutte quelle persone e pensò che erano un pubblico molto differente da quello a cui lui era abituato. Improvvisare una conferenza non avrebbe risolto le cose. Quando arrivò al suo sedile ci si sprofondò dentro e con calma attese che il display “ Allacciare le cinture di sicurezza” si illuminasse. Guasto meccanico o errore umano? Sorrise. Qualcun altro, a posteriori, lo avrebbe stabilito.

                                                                                                                          Alvaro.

Apocalypsblues

Non è il tempo che passa
siamo noi che passiamo.
Il peso del mondo
è la negazione dei sogni
nel pensiero della costruzione di un miracolo
e di un’umanità ardente di purezza.
Riposati senza amore, mia cara
dormi senza sogni,
non essere ossessionata da angeli vendicatori
o da desideri estremi di annientamento.
Sei una bellissima pazza!
Si, tu lo sei!
Il tuo peso grava senza nulla avere
se non il pensiero
di una solitudine di eccellenza.
Hai visto il tuo tiepido e meraviglioso corpo
fremere al buio mentre la mia mano si muove?
No!
Il centro della tua carne è vibrante di felicità
mentre l’anima
ha sempre ceduto a se stessa.
Sei l’allucinata del tuo Iddio.
Corri attraverso i  misteri!
Vomita le nostalgie di un’altra vita!
Il problema è sempre l’anima.
Perdoniamo a chiunque la loro innocenza.
Siamo lontani.
Ignari.
Siamo giovani stranieri
dietro alla realtà di uno smistamento ferroviario
davanti a un fiore di parole d’asfalto
con un batuffolo di cotone intriso di sangue
che è rimasto dentro la mia tasca per trent’anni.
Ti offro un fiore, mia dolce ragazza.
E’ un brutto fiore spinoso
un fiore industriale,
un fiore disoccupato,
un fiore di guerra e strazio
un fiore ceduo che risale verso il cielo,
un fiore di tristezza e pianto.
Un maledetto fiore di questo maledetto mondo che è al termine.
Ma ora
mia cara e radiosa (ma non solare) donna
assaggia la mia bocca nel tuo orecchio:
e sappi che il 31/12/2013 saremo ancora vivi.
Io e te.
Insieme a Ray Charles
dentro un blues
chiamato Apocalisse.



                                                                                            Alvaro