VOTAMI!

web sito ImageChef Custom Images "Ormai quasi giunto al termine della mia vita di peccatore, mentre declino canuto insieme al mondo, mi accingo a lasciare su questo blog testimonianza degli eventi a cui mi accadde, mi accade e mi accadrà di assistere durante il periglioso viaggio che mi separa dalla tomba. E Dio mi conceda la grazia di essere testimone trasparente e cronista fedele di quanto ho visto. Possa la mia mano non tremare mentre mi accingo a scrivere certi eventi e ricordare l'inquietudine sottile che opprime l'animo mio mentre mi collego quotidianamente a questo blog poiché oggi ho la certezza che sto rettamente interpretando gli indubitabili presagi ai quali, da quando nacqui, stoltamente, non diedi peso ."

domenica 15 giugno 2014

Turno di notte.

Stavo scendendo le scale dell’istituto “ Devoto” di corso Genova. Erano le sei del mattino e all’esterno un tiepido dicembre seduceva gli abitanti di Lavagna sul fatto che quello avrebbe potuto essere l’unico anno senza inverno. Ovviamente si trattava solo di un illusione: era in arrivo una perturbazione dalla Siberia , diretta sull’Italia, che avrebbe fatto scendere di parecchio la colonnina di mercurio. Quando mi trovai nell’atrio dell’entrata, scorsi il collega preposto al controllo che si era assopito. Aveva le braccia sulla scrivania e la testa su di esse. Quella visione mi fece ricordare quando, oltre 60 anni prima, le suore dell’asilo mi costringevano al riposino dopo pranzo mentre io avrei voluto giocare a pallone nel cortile.  La notte per alcuni era dura. Per me non lo era mai stata. La notte, per me, era una sorta di estensione diurna all’interno della quale c’era solo meno luce e più silenzio. Decisi di non disturbare il collega e alzando lo sguardo vidi che le uniche a seguirmi erano le tre videocamere della sicurezza. Allungai il braccio sulla scrivania e con le dita cercai l’interruttore per aprire il cancello all’esterno. Il ragazzo ronfava in maniera ritmica e a tratti , con la lingua, riprendeva la saliva che gli si era depositata sul labbro inferiore. Con un passo lento e silenzioso varcai la soglia dell’Istituto e  richiusi il cancello alle mie spalle. Mi incamminai verso la passeggiata in riva al mare. Non avevo voglia di tornare a casa. Nessuno mi aspettava. Quando arrivai davanti al mare inspirai ed espirai come mai avevo fatto. Il mare era mosso e, a tratti, sembrava essere risucchiato e ributtato al largo  proprio da quella mia forzata respirazione. Diedi un’occhiata alla costa e scorsi le luci di Portofino. C’ero andato un paio di volte nella mia vita ma non era scattato nulla tra noi. All’orizzonte, le luci di una nave da crociera stavano scivolando verso est in qualche posto caldo del mediterraneo. Scorsi una panchina e mi sedetti. Poi, come tutte le volte che mi trovavo in quella posizione, iniziai a pensare. I miei ricordi partivano tutti, chissà perché, da quando all’età di 49 anni avevo deciso di cambiare radicalmente la mia vita decidendo di frequentare corsi che mi avrebbero qualificato ad esercitare l’assistenza agli anziani. Mi ricordavo anche che in quel periodo non mi ero mai posto il problema del “diventare vecchio e malato” . Ero sempre stato uno scavezzacollo, con un ottimo lavoro che mi permetteva di guadagnare bene e di girare il mondo continuamente perso dietro a qualche gonna semplice da sfilare e altrettanto facile da abbandonare nella biancheria sporca. Poi era arrivata lei. Una donna minuta, intelligente, forte come un leone e timorata di Dio che mi spiegò che l’aver timore non significava aver paura  ma  rispettare, con  profonda riverenza  il Creatore, insieme ad un sano terrore di dispiacergli. Ma  era stato proprio Dio ad “incastrarmi” . Mi aveva fatto conoscere altre mete; altri orizzonti. Mi aveva cambiato, filtrato, depurato e fatto vedere quanto di male avevo combinato  insieme alle  persone che  avevo fatto soffrire . E proprio quando pensavo di aver messo le cose a posto con il genere umano,  con una piccola ipoteca sulla mia salvezza eterna,  un giorno squillò il telefono e qualcuno mi annunciò che sarei stato assunto in una casa di riposo per anziani. Da allora ho passato vent’anni spendendo una cospicua parte del mio tempo ad aiutare anziani malati, accompagnandoli verso la loro morte. Dei loro volti non ho più ricordi ma sento ancora su di me la loro angoscia che precedeva sempre il momento in cui dovevano lasciare questa vita.
Ad un tratto qualcuno mi  afferra delicatamente per un braccio. Alzo lo sguardo e vedo che il sole è sopra l’orizzonte e accanto a me c’è il ragazzo che, all’entrata dell’istituto, avevo lasciato dormire beatamente. Mi sussurra ad un orecchio che gli ho fatto prendere uno spavento terribile e di non farlo mai più se no perderà il suo posto di lavoro. Gli rispondo che non capisco poichè , una volta finito il mio turno di notte, sono libero di fare ciò che voglio. E poi sono anni che non faccio straordinari e non è mia intenzione iniziarli a fare proprio ora, alla mia età.  Ma quello che mi dice, con estrema calma, mi fa ricordare che in quel luogo ci ho lavorato solo dieci anni. Dieci anni? E gli altri dieci? Sento come un colpetto nella mia testa e la parte ancora funzionante del mio cervello, quella non ancora colpita dalla malattia mentale, si mette in moto scodellandomi la realtà nella quale vivo e cioè quella di un paziente in fase terminale con delle piccole finestre di memoria attivate da decine di farmaci.  Penso a questo mentre il giovanotto mi fa cenno di salire sull’autoambulanza. Il sole è ormai alto su Lavagna. So per esperienza che anche quelle piccole finestre, prima o poi, si chiuderanno confinandomi in un mondo all’interno del quale nessuno potrà mai più entrare.  Quando torno  al Devoto  mi accompagnano in una stanza. Una infermiera mi mette in mano un farmaco e mi dice gentilmente di ingerirlo. Mi volto verso il comodino e vedo la foto di una donna piccola e minuta che mi guarda felice. Quanto mi è mancata  in tutti questi anni! Accanto alla foto c’è la mia vecchia Bibbia. La apro e lascio che mi si schiuda  davanti agli occhi come in  un sorriso, concedendomi, per l’ennesima volta, forse per l’ultima,  di trovare conforto in lei.   
  

1 commento:

  1. Commovente excursus del protagonista,nei meandri del suo dramma esistenziale.Il corollario del paesaggio e le reminescenze ,di un passato più o meno remoto ,rendono
    questo racconto molto suggestivo e velato di inconsolabile malinconìa. Ale

    RispondiElimina