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web sito ImageChef Custom Images "Ormai quasi giunto al termine della mia vita di peccatore, mentre declino canuto insieme al mondo, mi accingo a lasciare su questo blog testimonianza degli eventi a cui mi accadde, mi accade e mi accadrà di assistere durante il periglioso viaggio che mi separa dalla tomba. E Dio mi conceda la grazia di essere testimone trasparente e cronista fedele di quanto ho visto. Possa la mia mano non tremare mentre mi accingo a scrivere certi eventi e ricordare l'inquietudine sottile che opprime l'animo mio mentre mi collego quotidianamente a questo blog poiché oggi ho la certezza che sto rettamente interpretando gli indubitabili presagi ai quali, da quando nacqui, stoltamente, non diedi peso ."

martedì 17 giugno 2014

Matteo che voleva volare.

Facevamo coppia fissa.
Io e Lui.
Estate del ’73.
18 anni in due.

Il mondo non c’interessava.
Galoppavamo con la fantasia.
Dalla mattina alla sera.
Giù in cortile.

Tra i casermoni vecchi e grigi del nostro quartiere.

Imitavamo le gesta dei supereroi che leggevamo.

Era bello giocare con lui
perché non si bisticciava mai per il ruolo principale;

potevi fare quello che volevi,
rivestire i panni di qualunque personaggio,

dato che a Matteo
interessava solo VOLARE!

Mi spiego: se la nostra città da salvare
era invasa dagli alieni
ed io lottavo strenuamente
per sconfiggerli,

lui, ad un certo punto,
alzava le braccia
come fossero ali di un aereo
e
imitandone i motori

arrivava a velocità fantastica
compiendo evoluzioni tali
da far impallidire il più provetto dei piloti.

Quando, invece,
la nostra città mentale era tranquilla,
perché gli alieni si erano momentaneamente ritirati,

Matteo la pattugliava dall’alto,
sempre con le braccia tese,
come uno sceriffo volante,
pronto a scendere in picchiata per ristabilire l’ordine.

Un giorno mi disse:

“…sono sicuro che riuscirei a volare!”.
“ Ah si? - gli risposi - e come?”.
“ Guarda là, ”- e indicò una parte del terreno, poco distante da noi, leggermente in discesa.

“ E allora?” - domandai incuriosito.
“ Potremmo costruire delle ali con del cartone, legarle alle mie braccia e poi…con un po’ di rincorsa…”.

Lo guardai dall’alto dei miei 10 anni.
I suoi occhi luccicavano d’ingenuità.

“ Sul serio credi di poter volare con delle ali di cartone?” - chiesi.
“ SI!” - fu la sua secca risposta.
Trascorremmo l’intero pomeriggio a costruire quelle ali.
Quando furono pronte, gliele legai alle braccia.
Andammo su quel terreno in pendenza.
Prese la rincorsa.
La giornata era stupenda e il sole bruciava la pelle.
Quando arrivò nel punto prestabilito, spiccò il salto.
Sbatté un paio di volte le braccia in un ultimo, disperato tentativo.
Poi cadde a terra.
Lo guardai piangere. Da lontano.
Urlava, strappava a pezzi quel cartone che l’aveva tradito.
Dopo quell’episodio non ne parlammo più.
Continuammo a giocare. Come sempre.

Io a terra. Lui in cielo.

Un mattino, come al solito ci incontrammo
e gli dissi che me ne sarei andato via per un po’,
i miei mi portavano in vacanza.

Ci rimase male, ma poi disse:
“…vabbè, volerò da solo!”.

Il giorno seguente partii per il mare con i miei genitori.

Per 30 giorni mi annoiai.

Odiavo tutta quell’acqua in movimento,
la gente,
la sabbia;
odiavo ciò che gli altri amavano.

L’unica cosa che mi divertiva
era osservare i gabbiani litigare per il cibo.
Quando li vedevo librarsi in volo,
rimanendo ore a galleggiare nel vento,
pensavo a Matteo
e a come sarebbe stato felice
nel fare la stessa cosa.

Le vacanze finirono
quindi ritornai nel mio quartiere;
senza mare,
senza sabbia,
senza gabbiani,

con gli edifici
talmente attaccati tra loro
che a volte
a mezzogiorno
eravamo anche senza sole.

Cercai Matteo.
Ma in giro non c’era.

Dal mio cortile potevo vedere
le finestre chiuse del suo appartamento.
Pensai che se ne fosse andato in vacanza anche lui.

Ero triste, così me ne tornai a casa.

Alla sera
venni a sapere dai miei genitori
che 4 giorni dopo la nostra partenza
Matteo cadde giù dal suo terrazzo,
al settimo piano,
sfracellandosi al suolo.

I suoi genitori se n’erano andati,
trasferiti in un’altra città,
molto lontano da lì,
portandosi dietro anche il povero Matteo.

Non riuscii mai a sapere
quale fosse la città
in cui andarono,

perciò non lo rividi mai più.

Nemmeno in foto. Su una lastra di marmo.
Ma è rimasto nella mia memoria.
Sento ancora la sua voce infantile
e vedo i suoi occhi ingenui.

A volte,
ancora adesso,
dopo 41 anni,
mi ritrovo a piangere.

So che non è stato un incidente,
bensì l’ennesimo tentativo di volare.

Ma è un segreto che rimarrà tra noi due.

Mi auguro che gli dei
siano gentili con Te,

e che, impressionati dalla tua determinazione,
ti regalino un bellissimo paio di ali,

come quelle dei gabbiani

ma grandi come quelle delle aquile,

permettendoti di pattugliare il mondo dall’alto,

come sarebbe piaciuto a Te.

Io
invece
sono ancora qua,
non so per quanto

e non so ancora adesso il perché.

Ma se mi dovessi trovare nei guai
per le strade del mondo
fai come facevi in quella calda estate del ’73:

scendi in picchiata e salvami.

Anche se so

che l’hai già fatto

più di una volta.


                                                                                                  Alvaro

1 commento:

  1. E' uno dei racconti più struggenti di Hal. Matteo e il suo sogno di volare...piace pensare che da qualche parte gli angeli gli abbiano applicato due ali,e il suo spirito possa librarsi nel sole. In fondo,sotto sotto,aspiriamo tutti al Cielo,nei nostri cuori. Ale

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