Il suo nome è Helmut.
Ha 92 anni.
Vive a Dresda, una città nell’est della Germania, ex D.D.R.
Abita all’ultimo piano di un casermone altissimo,
senza ascensore, in Talkincherstrasse 27.
E’ cieco ormai da 40 anni,
a causa di una grave forma degenerativa del nervo ottico.
Ai tempi dell’ultima guerra,
era un ufficiale delle S.S.
A Mausghen,
il quartiere dove abita,
lo sanno tutti.
I più giovani se ne fregano,
i più vecchi fingono di non ricordare.
Da 17 anni a questa parte
Helmut non abbandona la sua abitazione:
troppo vecchio, troppo stanco.
A provvedere per la sua magra spesa quotidiana
ci pensa sempre Sigmund,
il figlio disoccupato di Gerard
il postino del primo piano.
“…rispetto ci vuole, figliolo mio, rispetto! Ecco quello che
dovrebbe avere
il nostro governo ad un ex combattente che lottò
strenuamente per i grandi ideali della nostra beneamata Germania!”.
Questo è quel che dice sempre al figlio
il nostalgico portalettere in pensione,
poco prima che lui esca
per acquistare le poche cose destinate ad Helmut,
nel piccolo emporio sotto casa,
tra Prattelnstrasse e la Garchingplatz.
Anka, la proprietaria dell’emporio,
mette sempre ciò che gli elenca il giovane in una busta di
plastica.
Quando gliela consegna
lui paga e attende mentalmente la solita frase:
“SALUTAMI IL VECCHIO”
dice quasi urlando Anka.
Sigmund abbozza sempre un sorriso, si volta e se ne va con
passo lesto.
Una volta arrivato davanti alla porta di Helmut,
deposita il sacchetto e suona tre volte il campanello d’ingresso.
Poi ridiscende le scale,
apre la porta di casa
e prima di chiudersi nella sua stanza
riesce sempre a sentire
il vecchio padre che borbotta:
“…rispetto! Ecco quello che manca oggigiorno: RISPETTO!”.
Nel mentre, Helmut,
apre la porta,
prende il sacchetto,
che è sempre nello stesso posto,
lo poggia sul tavolo,
estrae quello che gli serve,
lo dispone davanti a sé con cura
e inizia a mangiare…lentamente.
Dopo,
terminato il magro pranzo,
si siede sul divano,
con la schiena dritta
e gli occhi puntati verso un sole buio da decenni.
Da quel momento
fino all’ora di andare a letto
sarà solo un incredibile susseguirsi di ricordi del suo
passato
passato
passato
passato
passato
“Ci
dispiace doverla informare che in data 25/09/1941, Lei sarà ufficialmente
sollevato dal Suo incarico di Responsabile della Logistica e Distribuzione
Vettovagliamenti ai campi 18 e 21 del lager di Buchenwald, a causa del
progredire della Sua malattia. Le sarà comunque affidato l’incarico di 2°
Ufficiale Addetto alla Riduzione Numerica dei prigionieri nel campo 10 di
Maidanek, Lublino,Polonia.
Le
sarà inoltre riconosciuta una indennità di Reichmark 10 per eventuali spostamenti
all’interno del territorio
(
Seguono istruzioni.)”.
Questo era, all’incirca,
quello che recitava la lettera
che lo informava della sua nuova destinazione.
Era stato rimosso dall’incarico precedente
perché non riusciva quasi più a leggere
le notevoli quantità di scartoffie
che gli arrivavano giornalmente.
Aveva commesso troppi errori
negli ordini di consegna del cibo ai prigionieri ebrei.
Si era sempre domandato
cosa avrebbero cambiato
tre o quattro kg in più di patate o cipolle
sul quantitativo stabilito spettante ogni sei prigionieri.
Ma gli ordini non andavano discussi: andavano eseguiti.
Lo avevano tolto da un incarico tranquillo
per dargliene uno spaventoso: ADDETTO ALLA RIDUZIONE
NUMERICA.
Era un eufemismo del Reich per non scrivere STERMINIO.
Quando Helmut arrivò a Maidanek,
il 3 ottobre 1942,
dopo aver subito un delicato intervento agli occhi,
gli fu spiegato sommariamente ciò che avrebbe dovuto fare.
Non era difficoltoso.
Anche con la sua scarsa vista, poteva portarlo a termine.
Si svegliava alle 7.
Alle 8 si radunava con gli ufficiali nel Cortile 10,
detto l’anticamera della Morte.
I prigionieri erano già tutti in fila
da almeno 3 ore
con le sole mutande addosso.
A volte
quando faceva un freddo tremendo
4 o 5 di loro erano già a terra, morti assiderati.
Quando accadeva gli ufficiali erano felici
“…vuoi vedere che oggi a pranzo ci arriviamo in anticipo?”
Dopo questa frase tutti iniziavano a sghignazzare.
Erano ragazzi in gamba: riuscire a scherzare con un freddo
del genere, era cosa per pochi!
Gli ebrei
uno ad uno
nel più assoluto silenzio
si inginocchiavano
a capo chino
accanto un muro rivestito di marmo grigio.
Su un tavolo c’erano 3 Luger cariche.
Un sottufficiale, addetto al munizionamento,
lubrificava e ricaricava le stesse
mano a mano che le ore passavano.
I movimenti sempre uguali: armare la pistola,
puntarla a 10 cm dalla nuca del soggetto e premere il
grilletto.
A parte il freddo o il caldo,
qualche schizzo di sangue sul soprabito d’ordinanza
e crampi all’indice destro,
ci si abituava in fretta
e tutto diventava una “routine”!
Se non si inceppava la pistola
si potevano eseguire “consistenti riduzioni” ogni giorno.
Ma una mattina di Aprile del 1943
la sua malattia agli occhi
lo avvolse nelle tenebre.
Non riuscì a scendere nel Cortile 10.
Rimase seduto sul letto e attese.
Fu congedato 7 giorni dopo.
Dopo la fine della guerra
riuscì anche ad evitare Norimberga.
Non si sa come.
Ma non fuggì mai.
Rimase come…dimenticato,
come sospeso,
come appeso nel suo buio presente
presente
presente
presente
presente
presente
presente.
E’ molto tardi ma Helmut è ancora seduto, con la schiena
sempre dritta, sul suo letto.
Come in quell’aprile del
’43. I ricordi non paiono turbarlo più di tanto. La guerra è guerra. C’è
sempre quello che vive e quello che muore. A volte è solo questione di fortuna
esser vivi anche se, nella maggior parte dei casi, ci si sente davvero
sfortunati ad esserlo.
Poi, il vecchio ufficiale, si sistema sotto le coperte
mentre i suoi occhi spenti iniziano a gonfiarsi di lacrime.
Lacrime di vergogna.
La vergogna di non essere riuscito a servire il proprio
paese come avrebbe voluto.
Alvaro.
Un tuffo in una scheggia di un passato tragico,tragico come tragiche sono innumerevoli vicende umane,sia pure in ambiti e secondo rituali differenti. Dove ognuno svolge un suo ruolo,in una commedia,o meglio,tragi-commedia delle parti,nela quale ciascuno sceglie il suo personalissimo narcotico. Ale
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