... puoi alzarti, per oggi abbiamo finito!” - disse una voce
metallica attraverso un piccolo altoparlante posto sul soffitto. La ragazza si
alzò, si rivestì lentamente ed uscì da quella camera isolata. Il radiologo era
seduto davanti a lei che scriveva sopra un foglio.
“ Mi raccomando, ci vediamo martedì alla stessa ora!” -
continuò con una voce vellutata e al tempo stesso ferma.
“ Certo! Come al solito! – rispose lei, sconsolata. Salutò
l’uomo in camice verde e si allontanò dal reparto.
Elena aveva 33 anni. Le era stato diagnosticato un cancro e ora si stava sottoponendo a svariate cure
allo scopo di rallentarne l’avanzata. Stava perdendo i capelli, era molto
dimagrita e sapeva, con la certezza che gli derivava dalla sua professione di
infermiera, che le sarebbe rimasto ben poco da vivere.
Il tragitto, dall'ospedale a casa sua, era piuttosto lungo
ma ogni giorno che passava sembrava accorciarsi sempre più. Non voleva far
ritorno in quella casa ma doveva. Era debole e sdraiarsi sul suo letto pareva
essere l’unico sollievo. Quando giunse davanti alla porta d’entrata, suonò il
campanello. Sentì dei piccoli passi, come di una processione di nani
all’interno di una cabina telefonica, poi la serratura girò e finalmente poté
entrare.
“ Elena, mia piccola Elena, com’è andata oggi?”.
Era sua madre. Gli rivolgeva la stessa stupida domanda da
almeno 8 mesi. Con lo stesso identico sorriso stampato malamente su un viso
rugoso e raggrinzito. Piccola di statura e magra all'inverosimile, aveva
orrendi capelli bianchi intrecciati che troneggiavano su una testa sgraziata,
come se il suo cranio avesse dimensioni diverse da ciò che lo rivestiva. Stava
perennemente avvolta in un gigantesco drappo di seta nera e aveva al collo un
lungo rosario di legno con agganciato ad esso un crocefisso di avorio.
“ Papà corri, è tornata Elena, la nostra Elena!” - gridò con
voce stridula. Suo padre arrivò dondolando. Era zoppo dalla gamba destra, molto
più alto della madre e anche molto più pesante: diciamo un centinaio di kg in
più.
“ Oh Elena, sei tornata!” - disse l’uomo melodiosamente. Era
un essere insignificante, Senza carattere e completamente succube di sua
moglie. Ricordava le innumerevoli volte in cui lei l’aveva insultato
come un cane, urlandogli in faccia che, da solo, sarebbe morto. E forse aveva
ragione. Li guardò per qualche istante. Le parve di farlo per la prima volta.
Erano davanti a lui:due pazzi arteriosclerotici e, cosa ben più grave, vecchi:
terribilmente, disgustosamente vecchi. La sua era stata una nascita ponderata.
Molto ponderata.
Abbozzò un sorriso e si diresse verso la sua stanza. Si
lanciò sul letto e iniziò ad osservare il soffitto. La madre gli si avvicinò
lentamente.
“ Sai, è tornato di nuovo!” - disse a bassa voce e con un
gran sorriso.
“ Chi?” - chiese Elena; ma la sua domanda suonava come un
rituale, come qualcosa di meccanico, come quando si conosce già la risposta
perché si è sentita decine di volte.
“ PADRE PIO! Ed era splendido!” - rispose la donna con le
lacrime agli occhi. Suo padre stava immobile all'ingresso della stanza,
annuendo estatico.
“ Ha di nuovo chiesto di Te! Non vede l’ora di averti
accanto a Lui. Tu sei l’eletta!” - gracchiò.
Erano pazzi. Indiscutibilmente psicopatici. Avrebbe potuto
parlarne con qualcuno che li avrebbe scaraventati in qualche manicomio per il
resto dei loro giorni, ma non poteva farlo: aveva bisogno del loro denaro per
continuare le visite e comprare i farmaci. Non sarebbe riuscita a lavorare per
procurarseli. Doveva prendere tempo. Forse sarebbe guarita o forse, ancor
meglio, sarebbe morto.
“ DIO E’ IN QUESTA CASA E VUOLE NOSTRA FIGLIA!” - urlò ad un
tratto la donna, alzando le mani al cielo.
“ PRENDI QUELLO CHE VUOI, O MIO SIGNORE, PER LA TUA GLORIA E
LA TUA POTENZA!” - continuò cadendo in ginocchio e iniziando a pregare.
L’uomo sulla porta era a mani giunte e pregava
concitatamente. Elena piangeva in silenzio. Non era già abbastanza dover morire
così giovane? Perché sopportare tutto questo? Quale malefica mente lo aveva
ideato? E perché proprio a lei e non a questi vecchi idioti? Troppe domande
intelligenti in un mondo stupido.
“ Potete uscire da questa stanza che devo pregare?” - chiese
Elena cantilenando.
“ Ma certamente, tesoro mio!” - la donna si alzò sorridendo
e si diresse verso la porta dove il marito era ancora assorto.
“ Vieni papà…lasciamo il nostro angelo alle sue preghiere!”
- detto questo uscirono.
Aveva deciso di assecondarli. Era più semplice che lottare.
Tanto non si sarebbero mai accorti della sua sofferenza. Non c’era altro da
fare. Erano sempre stati così. Fin da quando poteva ricordare, avevano
costantemente attribuito, qualunque cosa accadesse loro, nel bene e nel male,
alla volontà divina. C’era sempre una spiegazione a tutto. Perfino quella volta
in cui il televisore si guastò a causa di un banale inconveniente, riuscirono a
relativizzare quella situazione dandole una spiegazione “celeste”: Padre Pio non
voleva che loro guardassero quei programmi così, da quel giorno, l’apparecchio
sparì dalla casa. Erano sprofondati in una sorta di corto circuito religioso che con gli anni
degenera e può portare chiunque ad una lucida pazzia o a una opaca realtà.
“ Elena, il pranzo è in tavola!”. La disgustosa voce mielosa
di sua madre la riportò alla realtà. Erano trascorse quasi tre ore da quando
aveva iniziato a viaggiare sui suoi pensieri.
“ Arrivo subito! - rispose - dammi ancora 5
minuti!”.
“ Come vuoi tu!” - belò la donna attraverso la porta.
Si sedette sul letto. La testa era come una trottola. Si
sentiva debole a causa dei farmaci. Tentò di alzarsi con fatica e quando vi
riuscì, iniziò a dirigersi verso la cucina. Più si avvicinava, più si facevano
chiare le lente preghiere in latino che i suoi genitori usavano recitare prima
del pranzo. Si adagiò sulla sedia e fece finta di parteciparvi, muovendo le
labbra a casaccio. Poi le preghiere, come erano iniziate, finirono. Solo allora
pensò di piluccare qualcosa dal tavolo.
“ Oh, Elena,come sei magra! Dovresti mangiare di più!” -
esordì la madre. Non sapeva, la megera, che tre quarti di ciò che ingoiava
giornalmente finiva nello scarico.
“ Prendi troppe di quelle orrende medicine!” - sentenziò la
vecchia.
Il padre annuiva, mangiando come un maiale all'ingrasso.
“ Non c’è nulla che tu possa fare per evitare ciò che è
scritto nell'alto dei cieli!” - disse la donna con gli occhi sbarrati, fissando
un punto sopra la sua testa.
Elena mangiava nervosamente e dal più profondo del suo animo
sentiva salire quell'odio che sino ad allora era rimasto sopito.
“ PADRE PIO TI VUOLE! VUOLE LA NOSTRA FIGLIOLA! VUOLE CIO’
CHE DI PIU’ CARO ABBIAMO E NOI LO LASCEREMO FARE, PERCHE’ LUI E’ UN SANTO CHE
STA NEL CIELO E VIGILA SULLA TERRA!” - urlò la donna, con lo sguardo e le
braccia rivolte al cielo.
La ragazza, a testa bassa, cercava di reprimere quell'enorme
massa di rancore e violenza che stava risalendo, a velocità inimmaginabile, dal
suo più recondito essere.
“Figlia mia - intervenne il padre - lasciati andare. Cerca
di capire l’immensa fortuna che ti è capitata quando Padre Pio ha deciso di
scegliere Te per il regno dei cieli! Ah, se questa grazia fosse capitata a
noi!”.
Anche lui alzò il suo testone matto verso il soffitto,
con le mani giunte e tremanti. Era veramente troppo! Certo, non poteva far
nulla per evitare di morire ma, forse, poteva far qualcosa per evitare, a quei
due pazzoidi, di vivere. Afferrò con la mano destra il coltello accanto al suo
piatto e con un breve ma poderoso colpo lo conficcò nel petto dell’uomo alla
sua sinistra.
Calò un silenzio innaturale. L’affondo era stato letale. Gli
doveva aver sicuramente aperto il cuore in due, a quell'essere, perché rimase
con gli occhi sbarrati al cielo, appoggiato allo schienale e con ancora la
forchetta in mano.
Elena sfilò quel coltello dal petto del padre con un unico
movimento. Lo strinse nella sua mano e girò lo sguardo verso la madre che,
annichilita dal terrore, era pietrificata e terrea al suo fianco.
“ Oh, mamma…mammina mia! Ti immagini la felicità di papà
adesso? Egli è finalmente con Padre Pio; felice ma sostanzialmente triste
perché tu non sei con lui a condividere quella gioia! Non credi?” - e rise come
non aveva mai fatto prima.
La madre, riavutasi dallo shock, iniziò una inutile e penosa
fuga verso la porta d’uscita, urlando come una vacca al macello.
Ma Elena fu più veloce. La raggiunse e le vibrò il primo
colpo alla schiena. La donna cadde rantolando. Poi sfilò la lama e colpì ancora
e ancora e ancora.
Esaurite le forze si riposò per qualche secondo. Dopo si
avviò verso il lavandino; lavò accuratamente il coltello, mise in ordine la
cucina, lavò i piatti e stese una tovaglia pulita sul tavolo. Suo padre era
sempre seduto con gli occhi sbarrati al cielo e la testa lievemente inclinata a
destra. Lo guardò come un oggetto strano: la morte lo aveva reso,come dire:
buffo!
Andò in bagno, fece una doccia, si cambiò i vestiti ed uscì,
evitando accuratamente di sporcarsi le scarpe con quel sangue, ormai inutile,
sparso sul corridoio.
Scese in strada e si sentì stranamente felice al pensiero
che i suoi genitori ora erano con il loro santo di Pietrelcina. C’erano
arrivati prima di lei, come ospiti inattesi. Quasi le sembrava di vederli
tutti e tre che cantavano e ballavano felici.
Un brivido di gioia le scosse il corpo.
Camminò fino al posto di polizia più vicino e prima di
entrarvi pensò alla condanna.
Gli avrebbero dato non meno di vent’anni.
VENT’ANNI!!!
Rise.
Non sarebbe vissuta così a lungo.
Alvaro.
Elena e le sue follìe demoniaco-disperate... Racconto dark,ricorda i fumetti anni 70 delle "storie che finiscono male!"...
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